Famiglia: perché l’idea di naturalità non ci serve
di Paola Scellenbaum *
Uno dei motivi - forse il principale - che mi spinge a scrivere sull’ultimo libro di Chiara Saraceno è che in Coppie e famiglie. Non è questione di natura*, la sociologa parla della famiglia - o meglio delle famiglie «al plurale» - senza distinguere casi particolari ma approfondendo le differenze tra le diverse forme di aggregazione famigliare, dando così uguale legittimazione a ognuna. Senza pregiudizi, ma con la voglia di scoprire come si vive nelle famiglie di oggi.
È come se in questo libro ci venisse detto - con autorevolezza - che le famiglie sono uguali e diverse. Non è un libro sulla famiglia che in appendice parla anche delle altre forme famigliari e non è nemmeno solo un libro sulla famiglia omosessuale (definizione che viene articolata e criticata in quanto anche le parole che utilizziamo per nominare le situazioni sociali sono importanti e dicono delle lenti sociali attraverso cui guardiamo i fenomeni) o sulle coppie di fatto (sulla cui definizione vi sarebbe molto da dire), che peraltro sono tornate all’attenzione degli studiosi.
Non è nemmeno solo un libro sulle famiglie transnazionali, ovvero sui rapporti tra le persone quando vi è emigrazione e quando si è madri o padri a distanza, quando si pratica il Lat Living Apart Together, magari con l’ausilio delle nuove tecnologie. È un libro, appunto, su tutte queste forme di famiglia, che vengono analizzate a partire dai mutamenti demografici e dalle trasformazioni sociali all’interno di una cornice concettuale che fa riflettere e pensare o ri-pensare le relazioni famigliari.
Insomma, «figli e genitori si diventa, in molti modi», come afferma Saraceno. Ed è lo sguardo d’insieme che conta. Per fare questo, la sociologa attinge a una vasta letteratura scientifica di matrice socioantropologica e storica - ovviamente internazionale - citando alcuni testi «classici» comparsi prima in ambito anglosassone a metà degli anni Ottanta (allora ero una giovane ricercatrice in California e ricordo il dibattito su questi temi), giunti anche in Italia.
E così veniamo al secondo motivo per cui questo libro è davvero significativo: la sociologa invita a riconsiderare un dibattito molto vivace che vuole che sul terreno della famiglia si scontrino diverse visioni delle relazioni, della società, della cultura. Ovvero, ci viene detto che quando si parla di relazioni famigliari e di genere femminile e maschile non è questione di natura. È un’affermazione molto importante che spero possa stimolare la riflessione e il dibattito anche all’interno delle nostre chiese, proprio nell’anno in cui si discute il documento preparatorio presentato in Sinodo dalla Commissione «Famiglia, matrimonio, coppie di fatto», nominata dalla Tavola valdese.
Il fatto che la differenza di genere non sia questione di natura, significa che non vi sono forme famigliari «naturali» - o magari più naturali di altre - e dunque non vi sono nemmeno forme famigliari contro natura. Ci viene cioè detto che sono la società e la cultura (e dunque anche la cultura protestante e la fede vivente) a stabilire, nei diversi contesti storici e sociali, ciò che è socialmente accettabile. Non è la natura.
Questo sembra difficile da comprendere in quanto per molti anni si è parlato di differenza sessuale (anche in ambito femminista, si pensi a esempio al «pensiero della differenza») come se la differenza fosse appunto una questione di «essenza» e non invece il prodotto storico-culturale e il riflesso dei rapporti tra i generi. Così facendo, si è oscurato un dato fondamentale: che le differenze di genere hanno molte più sfumature rispetto alla dicotomia basata sulla differenza sessuale uomodonna o maschilefemminile e questo è ben visibile nelle coppie omosessuali che vivono la loro affettività tra uomini o tra donne, pur mantenendo diversi ruoli e diverse inclinazioni di personalità.
Insomma, ci possono essere più differenze tra due uomini o tra due donne che tra un uomo e una donna, in quanto anche il maschile e il femminile sono frutto di esperienze che si intrecciano con la cultura, la provenienza, la classe sociale, le esperienze lavorative, l’eticità, la religione, ecc.
Insomma, è materia complessa quando la si guardi nella sua trasformazione nei paesi occidentali, figuriamoci se poi dovessimo analizzarla anche tenendo conto delle culture non europee - che però sono ormai parte integrante della nostra società: insomma, non si può che parlare di «famiglie al plurale» e cercare di vivere le relazioni famigliari come espressione dell’amore, della fede e della speranza che invita a rivolgere lo sguardo al futuro. Continuando a riflettere.
* in “Riforma” - settimanale delle chiese Evangeliche Battiste, Metodiste e Valdesi - del 16 novembre 2012