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CRISI POLITICA E "SACRA FAMIGLIA [UNITA]"!!! NON SOLO LA TEOLOGIA (E LA FILOSOFIA), MA NEMMENO LA SOCIOLOGIA SA DISTINGUERE TRA FAMIGLIA DEMOCRATICA E FAMIGLIA DI "MAMMASANTISSIMA" E DI "MAMMONA"...

"FAMILISMO AMORALE" E SOCIETÀ. LA FAMIGLIA CHE UCCIDE: IL LATO OSCURO DELLA FAMIGLIA. Una nota di Chiara Saraceno - a cura di Federico La Sala

(...) l’enfasi un po’ asfissiante sulla famiglia come panacea universale rende più muti e ciechi quando le cose non vanno (...)
giovedì 12 agosto 2010
[...] questa cecità al lato oscuro della famiglia, alle piccole o grandi
violenze che si producono al suo interno non solo quando c’è trascuratezza o abbandono, ma quando
l’intimità diviene mancanza - o non riconoscimento - di confini tra le persone e il senso di
appartenenza diventa pretesa di possesso, lascia particolarmente indifese le vittime di violenze
famigliari. Per vergogna, indicibilità, speranza che le cose cambino, malinteso senso di pudore, esse
spesso faticano a denunciarle e (...)

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> "FAMILISMO AMORALE" E SOCIETA’. --- Famiglia. Perché la politica non riconosce quel che esiste già (di Chiara Saraceno)

giovedì 22 novembre 2012

Famiglia Perché la politica non riconosce quel che esiste già

di Chiara Saraceno (la Repubblica, 22 novembre 2012)

Non c’è forza politica che non sostenga di voler «difendere la famiglia ». Peccato che questo voglia per lo più dire non modificare per nulla la legislazione al fine di ampliare i gradi di libertà nelle scelte individuali e riconoscere i rapporti famigliari - di mutua solidarietà e affetto - effettivi. Siamo ancora all’anno zero per quanto riguarda il riconoscimento delle coppie omosessuali ed anche di quelle eterosessuali di fatto.

Chi vuole divorziare, continua a dover passare per la “pausa di riflessione”, di ben tre anni, che il nostro paterno legislatore continua a ritenere necessaria a noi sventati cittadini che altrimenti divorzieremmo con troppa disinvoltura e senza riflettere. Pazienza se in quei tre anni si creano nuovi legami d’amore da cui nascono figli, destinati ad essere solo “naturali” fino a quando i genitori non potranno legalizzare il loro rapporto. E pazienza se l’impossibilità a sciogliere definitivamente il matrimonio non facilita alla (ex) coppia e soprattutto ai figli, se ci sono, il processo di elaborazione della separazione e di ridefinizione di rapporti e responsabilità.

Persino su una questione che apparentemente trova l’accordo di tutti, la completa equiparazione di figli naturali e legittimi, il parlamento fatica a trovare il tempo e la voglia di sciogliere i dissensi rimasti. I figli naturali, che sono ormai un quarto dei nuovi nati ogni anno, continuano ad avere diritti e persino una parentela legale più ridotti dei figli legittimi.

Nel campo delle norme che regolano la famiglia, la sessualità e la riproduzione, l’Italia ha una delle legislazioni tra le più restrittive tra i Paesi democratici sviluppati. Dopo la stagione di parziale apertura e di importanti riforme degli anni Settanta, che videro la riforma del diritto di famiglia, la liberalizzazione della contraccezione e la legalizzazione dell’aborto, nulla è sostanzialmente più cambiato, salvo, talvolta, in direzione di ulteriori restrizioni. Si pensi alla legge 40 sulla riproduzione assistita, che solo l’intervento dei tribunali è riuscito a correggere nelle parti più invasive della libertà e della salute delle donne e dei nascituri.

Certo, in questa resistenza del legislatore italiano a cambiare le norme, per tener conto dei mutamenti culturali e delle nuove consapevolezze di soggetti prima tacitati (le donne, gli omosessuali), conta la forte presenza e pressione della Chiesa cattolica, ben più chiusa di quelle protestanti su questi temi.

Ma il problema vero è sempre la scarsa laicità dei nostri governanti e della cultura di cui sono impregnati, unita agli scambi più o meno taciti tra diritti dei cittadini e sostegno della gerarchia cattolica alla propria parte politica effettuati dai più cinici tra loro. La stagione berlusconiana e leghista è stata un esempio estremo di questo scambio, ma non l’unico.

Il risultato solo apparentemente paradossale è che il Paese dove, in nome della difesa della famiglia, non si riconoscono molte famiglie concretamente esistenti e non si rispetta la capacità dei cittadini di decidere su di sé, è tra quelli con le politiche per le famiglie più deboli e più vulnerabili ogni volta che si presenta la necessità di effettuare qualche taglio di spesa.

Ci si aspetta che la solidarietà famigliare «faccia fronte»; che i genitori continuino a mantenere i figli a lungo in un contesto di disoccupazione giovanile diffusa; che le nonne, occupandosi dei nipoti, aiutino figlie e nuore a stare nel mercato del lavoro (sempre che non vengano licenziate perché donne e perché madri); che figlie e nuore si prendano cura degli anziani fragili con o senza l’aiuto di una badante.

Forse non ci sono solo scelte valoriali dietro la resistenza dei legislatori ad allargare i gradi di libertà nelle scelte famigliari. Ci sono anche ragioni utilitaristiche. Solo a relazioni famigliari rigidamente definite e normate si possono imporre di fatto, e in parte anche per legge, solidarietà obbligate così pesanti e pervasive. Peggio per chi non può ricorrervi. Anzi, servirà da monito per chi pretende di avere più libertà.


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