QUANDO DIO GIOCA CON IL CAPITALE
di MIGUEL GOTOR (la Repubblica, 21 agosto 2013)
Il tradizionale dibattito storiografico sulle origini del capitalismo si è arricchito in questi anni di una nuova prospettiva. Diversi studiosi, si pensi a Jack A. Goldstone e a Paolo Prodi, si sono interrogati sulle ragioni dell’ espansione europea nel corso dell’ età moderna, valorizzando il ruolo svolto dalla religione cristiana nel determinare questa spinta verso l’ esterno sia a causa dei conflitti fra cattolici e protestanti, sia per le continue tensioni con le altre due religioni monoteiste presenti nello spazio europeo, l’ ebraismo e l’ islamismo.
Nel solco di questa discussione, forte di un’ angolazione originale e di una tesi solida, si inserisce anche l’ ultimo libro di Gérard Delille L’ economia di Dio. Famiglia e mercato tra cristianesimo, ebraismo, Islam (Salerno Editrice, euro 16). Secondo l’ autore non si può comprendere la peculiarità dello sviluppo occidentale se si prescinde dall’ analisi del modo con cui ebraismo, cristianesimo e islamismo hanno definito i loro rispettivi sistemi di parentela, filiazione e alleanza. Mentre Platone nella Repubblica aveva auspicato una società in cui i figli fossero di tutti così da assicurare il governo dei "migliori" senza privilegi dovuti alla discendenza, le tre religioni monoteiste hanno affermato una nozione naturalistica della filiazione per meglio imporre il carattere universalistico della loro fede.
Gli ebrei hanno adottato un sistema bilineare in base al quale la discendenza, nell’ ambito di una predominanza maschile, è affidata sia al padre sia alla madre come dimostra il matrimonio tra uno zio e la sua nipote e il meccanismo del levirato, in base al quale se un uomo sposato moriva senza prole, suo fratello doveva sposare la vedova e il loro primogenito sarebbe stato considerato legalmente figlio del defunto.
I cristiani hanno prevalentemente costruito un modello cognatizio che consente il trasferimento della parentela e della relativa eredità in ugual misura sia ai maschi sia alle femmine.
Gli islamici invece hanno aderito a un sistema agnatizio, in cui la proprietà, il nome e i titoli si trasferiscono soltanto dal padre al maschio primogenito.
È importante soffermarsi su questi aspetti perché da queste differenti organizzazioni della parentela discendono una diversa circolazione dei beni, sotto forma di doti matrimoniali e di eredità, e un diverso sviluppo delle reti economiche con conseguenze sociali e antropologiche di non poco momento.
Ad esempio, le relazioni di tipo cognatico proprie del cristianesimo hanno favorito una progressiva parità tra uomo e donna. Inoltre, il divieto di unioni tra parenti e la capacità della donna di ereditare, di trasmettere la proprietà e di sposarsi al di fuori della famiglia, hanno consentito una maggiore circolazione delle ricchezze e la formazione di un mercato autonomo, ma anche l’ unione di Regni diversi senza guerra né sangue, bensì per via matrimoniale.
Gli ebrei hanno a lungo avuto in comune con i musulmani una tradizione endogamica funzionale a mantenere la proprietà dei beni nella famiglia, ma in assenza di un proprio Stato hanno trasformato la diaspora in un’ occasione per alimentare reti commerciali su scala globale. I recenti sommovimenti in alcuni Paesi arabi sono forse il segnale di un cambiamento in corso anche su quella sponda del Mediterraneo.
Tuttavia la lotta per l’ emancipazione della donna non è solo una questione di ordine etico, politico e civile, ma un fattore che condiziona i meccanismi di circolazione di beni e determina quindi la creazione di un mercato autonomo in grado di modificare i rapporti di forza tra potere e società civile.
È dunque il presupposto di una battaglia di civiltà che rivela come la democrazia non sia un bene di famiglia che si eredita per filiazione, ma si afferma attraverso il conflitto tra padri e figli.