Un padre di famiglia
di Giuseppe Di Lello (il manifesto, 07.04.2016)
Un padre e una madre, sposati in chiesa con rito concordatario e poi la prole: quella di Totò Riina è una vera famiglia italiana secondo gli stringenti canoni formali dei partecipanti al family day. Come tale si comporta anche nella sostanza, con il marito attento all’educazione dei figli, premuroso e sempre presente, specialmente la sera a cena quando la famigliola si ritrova intorno al desco, non sappiamo quanto frugale.
Poi, come in ogni famiglia normale, tutti insieme si guarda anche la Tv e ci si aggiorna col telegiornale.
Scorrono le immagini delle stragi di Capaci o di Via D’Amelio e il patriarca, forse tra sé e sé, o forse ad alta voce, perché nelle famiglie normali non ci debbono essere segreti, pensa che sarebbe stato molto più gratificante essere sui luoghi al momento di quelle esplosioni, dato che era stato lui a deciderle, programmarle e farle eseguire: poi però, per qualche contrattempo, avrebbe potuto far tardi per la cena familiare e questo non se lo poteva permettere.
La mia è una ricostruzione fantasiosa del menage familiare dei Riina, ma non troppo azzardata, posto che il rampollo ospitato dalla Tv di stato a «Porta a porta» ne ha propagandato più o meno una immagine abbastanza simile. Il suddetto ha ovviamente escluso ogni riferimento a Cosa nostra che senza dubbio nelle conversazioni familiari doveva ricorrere spesso, viste le dure condanne per mafia collezionate da tutti i maschi e, certo, non a loro insaputa.
Ogni anno non vi è scuola che non organizzi un corso sulla legalità e contro le mafie, giornate del ricordo, messe di suffragio, cortei e chi più ne ha, ne metta: poi la Tv di stato ci regala una patetica performance per dirci che i valori della famiglia, quella normale secondo concordato, possono essere coltivati anche in quella di un mafioso come Totò Riina, che si prende somma cura dei suoi figli, anche se poi, fuori dalle sue mura domestiche, ha fatto ammazzare decine di figli degli altri: questo purtroppo è il messaggio che passa.
Non c’è dubbio che non è «informazione», anche se censurarla sarebbe arduo perché solo nei regimi autoritari ci sono canoni standard ai quali adeguare le «opere dell’ingegno».
La Tv di stato, però, pur essendo libera di mandare in onda il Riina junior show, avrebbe dovuto spiegare che era una fiction, dato che nella realtà si trattava non di una famiglia normale, ma di una famiglia mafiosa.
Scandalo Vespa? Ma no, Vespa è il padrone della televisione e fa quello che vuole, anche perché tutto il mondo politico, trasversale quanto mai, sbava per sprofondarsi nelle poltrone del suo salotto consapevole che chi non è invitato non conta granché.
Per una sera questa massa di ipocriti si strapperà le vesti per l’offesa al sentimento antimafioso degli italiani e alle vittime di Totò Riina, ma poi, da domani, tornerà a chiedersi ansiosa quando arriverà il sospirato invito.