Il caro estinto
di Furio Colombo
Che cosa distingue la televisione politica di questi giorni, del dopo Grillo e del dopo Casta, dalle sorprendenti incursioni popolari sia di piazza che di tv, al tempo di «Mani pulite»? Credo di poter dire che, adesso, c’è un’aria funebre.
Sto pensando ad AnnoZero di Santoro di giovedì scorso (su giustizia, ingiustizia e magistrati perseguitati). Ma gli altri talk show politici pur essendo più cauti e conformisti, non sono meno lugubri. Sono processi a un cadavere.
Del resto provo quella sensazione di inopportuna esibizione nel luogo sbagliato quasi ogni giorno al Senato. I nostri avversari cantano e ballano un po’ barbaramente e credono di farlo intorno alla salma o al corpo morente del loro odiato nemico (odiato perché, fino all’ultimo respiro, pretende di far pagare le tasse). Invece partecipano, sia pure in modo sgangherato, a una cerimonia funebre collettiva.
Torno per un istante ad AnnoZero. Il senso cupo, da «day after» del programma di giovedì 7 ottobre, era dato dalle parole estreme dei giudici (Forleo, De Magistris), dalle parole estreme di voci e volti diversi e dolenti dei «testimoni» (storie, esperienze presentate come esemplari), dal grido, che mi pareva senza speranza, dei giovani automobilitati in Calabria, dagli applausi così intensi e rabbiosi proprio perché terminali. Ti diranno che simili trasmissioni sono deliberatamente caotiche, che i pezzi sono fuori posto, che i percorsi sono guidati dai temi da sostenere, che l’enfasi era eccessiva. È possibile.
Ma nessuna «errata corrige» ti potrebbe sottrarre al senso di fine, di capolinea, potrebbe dirti se c’è giustizia dopo questa giustizia, se c’è ceto politico e classe dirigente dopo questi personaggi, se c’è vita (vita pubblica, vita insieme) dopo questa vita bloccata dal muro dei carichi pendenti di un mondo finito che viene prima, e non sgombera.
Ma le sedute quotidiane al Senato sono anche più cupe e più tristi perché il senso di ultimo giorno che ispirano (votare all’improvviso ogni cosa che nega o ne disfa un’altra pur di giocare scherzi, segnare disprezzo, bloccare la piccola, lentissima macchina, accreditarsi un punto al costo di bruciare nel niente ore, giorni, settimane, mesi ormai) quel senso di ultimo giorno e di applauso alla salma avviene non nel tempo libero della televisione ma nelle mattine e nei pomeriggi di lavoro di una camera della Repubblica.
Con un pauroso aumento dei costi si discute a vuoto, per tempi lunghissimi, di riduzione dei costi, che ciascuno attribuisce esclusivamente alla parte avversa, ma mai che ci si fermi a domandarci: i costi di quale politica, per fare che cosa, al servizio di chi?
Con una immensa spesa di energia, tempo, fatica, persino talento, ogni volta che il lavoro parlamentare sta per cominciare, il convoglio viene spinto in una piazzola di sosta, che dura un giorno o una settimana muovendo nel vuoto dibattiti feroci e senza scopo, senza destinatari, senza un qualsiasi punto di possibile conclusione.
Pensano davvero, i senatori della Casa delle Libertà che ci sia un popolo disposto a battersi per il generale Speciale, la cui unica battaglia, tutta privata, riguarda la sua carriera?
Quando giovedì scorso in Senato, il presidente di turno, Calderoli, ha interrotto il confuso dibattito a vuoto per annunciare che era morto il soldato italiano D’Auria, ferito a morte in Afghanistan nel blitz inglese per liberarlo, in quel minuto quel gruppo di uomini e donne che costano molto e si costringono a vicenda a non lavorare (quasi fermi ormai da un anno) hanno sentito nel soffio gelido di morte - e nel minuto di silenzio - che qualcosa di vero, di reale e di tragico li stava sfiorando. Più vero dell’inutile e umiliante dibattito su quel personaggio da opera buffa che è il generale Speciale. Ancora più tragica la missione di quel caduto italiano perché di essa non sappiamo niente, non ci hanno detto niente, non abbiamo voluto sapere niente. Mentre noi siamo qui a ripetere il rito di qualcosa che è proprio finito.
Loro dicono che è finito Prodi. Ma, come in una "funeral home" californiana, esibiscono il loro leader imbellettato, finto, e col sorriso fissato dal truccatore per promettere un’altra vita. Anche l’improvvisato abbraccio fra il ministro Di Pietro e il leader post-fascista Fini, non vi sembra uno di quegli improbabili gesti di conciliazione-disperazione tipico dei funerali?
Solo che in questo funerale, evocato in modo particolarmente suggestivo dalle luci basse, le voci con effetto di rimbombo o di eco (un difetto tecnico ma efficacissimo) e gli applausi disperati della trasmissione "AnnoZero", non c’era neppure la salma. Della cosidetta seconda Repubblica sembra che non sia rimasto niente.
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Ecco perché il profilarsi nel confuso orizzonte del Partito democratico disturba il caro estinto al punto da fargli dichiarare (a lui, mentre ci guarda col sorriso fisso) che "tutto comincia con il 14 ottobre".
Il 14 ottobre è il giorno delle primarie che dovranno eleggere il segretario e leader del nuovo partito, non il salvatore. Soltanto qualcuno vivo e normale, che ha già dato una buona prova di tenere la casa in ordine e che ha come programma di non restare inchiodato in un punto a rivedere per sempre lo stesso blob del passato.
Lo dico per coloro che, per tante buone ragioni, si sono scostati a sinistra, con la stessa persuasione di alcuni grandi americani degli anni Sessanta (Norman Mailer, Leonard Bernstein, Leroy Jones, James Baldwin) che stavano più vicino alle Pantere nere che a Martin Luther King, e non volevano votare per Kennedy (e poi altri di loro per Carter, per Clinton) perché dicevano: sono troppo moderati, sono uguali ai repubblicani. Ma quando si sono trovati di fronte a Nixon, a Reagan, a Bush padre, a Bush figlio, hanno potuto constatare l’immensa diversità di mondi, di visione della vita e del destino degli esseri umani. Lo dico per coloro che si mantengono scettici e separati mentre muore un’intera epoca di vita pubblica, e l’intravedere una nascita sta scuotendo e buttando all’aria tutti i progetti e le certezze acquisite degli officianti della ripetizione infinita dei riti di fine stagione.
Lo dico perché noto la differenza tra lo scompiglio di chi prende male questa nascita perché la prende sul serio, e l’incertezza o freddezza o disincanto di tanti per cui sarebbe più naturale partecipare a un buon lavoro di costruzione.
Si può fare un elenco di errori anche gravi, è vero, nella nascita di questo partito, dal regolamento cervellotico alla esclusione di persone e valori che sarebbero stati un bel contributo (penso a Pannella, penso a Di Pietro, prima dell’incomprensibile abbraccio con Fini). Ma bastano questi errori per disinteressarsi di tutto in un momento estremo?
È il momento in cui il Paese (mentre nel bunker Prodi e Padoa Schioppa cercano di mantenere onorato e credibile ciò che resta della Repubblica) potrebbe voltare per sempre le spalle al caro estinto. L’alternativa è il suo ritorno con frasi registrate del tremendo già detto, il sorriso fisso del truccatore e la officiante Michela Brambilla col reggicalze e tutto.
* l’Unità, Pubblicato il: 07.10.07, Modificato il: 07.10.07 alle ore 19.09