La Sapienza della Croce
di Ernesto Balducci *
«Mi ha colpito, oggi, la diversità dei due brani della Scrittura che avete ascoltato. Il primo è l’inno di gloria a Dio, elevato da Paolo alla regalità di Gesù, per mezzo del quale tutte le cose sono state riconciliate e che regna su tutte le potenze del cielo e della terra. Questa esaltazione piena di fede ci costringe a fissare lo sguardo ben al di la delle cose visibili, ben al di là dell’esperienza vissuta, in un’armonia di cui non vediamo riscontri nell’esperienza. La fede, in questo momento, ci sradica, per cosi dire, dalla condizione carnale in cui viviamo e ci colloca in un mondo che non conosciamo.
L’altro brano, quello del Vangelo secondo Luca, ci parla della stesso Gesù, ma dove sono qui, la gloria e la potenza? E dov’è 1’armonia? Dov’è il dominio di Lui su tutte le creature? Abbiarno, al contrario, una demarcazione nettissima fra la realtà di questo mondo che lo deride, lo insulta, lo provoca e la sua realtà di uomo inerme e impotente a salvarsi. Quando Egli parla del Suo Regno, ne fa primo cittadino un delinquente appeso accanto a Lui.
Il pericolo grande della fede - ora ce ne accorgiamo più di ieri - è che diventi un principio immaginativo che ci fa vivere un’armonia del tutto illusoria e momentanea: quella - ad esempio - dell’assemblea eucaristica che stiamo vivendo dove tra poco ci daremo il segno della pace. Godiamo per un momento di una pace che però non ha corrispondenza effettiva nella vita che viviamo. Tutti voi, più o meno, venite infatti da una vita di conflitti, e ci rientrate. E allora nasce dentro di noi una frattura che, tutto sommato, è comoda. Nella vita quotidiana, nella nostra asprezza feriale, viviamo, come si deve, i conflitti: siamo furbi contro i furbi, violenti contro i violenti, adottando, per poter sopravvivere, la legge delle competizioni.
Però la nostra coscienza non è tranquilla e allora abbiamo la comoda opportunità di ritrovarci di tanto in tanto a parlare di un mondo finalmente sottoposto a Dio. Di un mondo fraterno, libero, pacifico. Poi si spengono le luci e rientriamo nella vita di sempre, in cui siamo selvaggi come gli altri, in cui il Vangelo non significa nulla, se non un pio desiderio, una pia aspirazione che riesce a lubrificare diremo cosi - gli attriti insopportabili della vita quotidiana.
Nasce da qui una realtà religiosa che è un duplicato capovolto della realtà effettiva.
Questa frattura è feconda di conseguenze negative. Infatti, anche l’idea di Cristo Re è stata utilizzata, largamente, per negare il significato dei conflitti che stiamo vivendo e per dedurre, della dignità di Cristo, chi sa quali prerogative che ci toccherebbero in questo mondo. Abbiamo presentato credenziali divine per avere successo nelle diplomazie, nei luoghi del potere; ci siamo definiti società perfetta, che può contrattare, quindi, in un piedistallo di superiorità, con le società di questo mondo».
* Ernesto Balducci Il Mandorlo e il Fuoco; Vol. 3 - Borla 1979 - pp.378-379)