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EVANGELO E TEOLOGIA POLITICA DEL "MENTITORE". PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO, CHE GIA’ DANTE SOLLECITAVA ...

KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI"). Una pagina di Kant e una nota di Federico La Sala

sabato 18 gennaio 2014
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
[...] un medico, un giudice, o un uomo politico, può avere in capo molte belle regole patologiche, giuridiche o politiche, al punto da poter diventare egli stesso un profondo insegnante in proposito, e tuttavia cade facilmente in errore nell’applicazione di esse, o perché manca di capacità naturale di giudizio (...) o anche per il fatto che egli non è stato sufficientemente addestrato per questo giudizio, mediante esempi e pratica (...)

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> KANT E SAN PAOLO. ---- Testo integrale del discorso Benedetto XVI nella Westmin­ster Hall di Londra.

domenica 19 settembre 2010

il discorso

-  Il «giusto posto» del credo religioso nel processo politico al centro della riflessione del Papa nella Westminster Hall di Londra.

-  Il modello: Tommaso Moro, lo statista che nel primato di Dio seppe radicare la sua libertà di coscienza e la dedizione al bene comune

-  «Dall’alleanza fede-ragione un’etica per la democrazia»

-  la sfida

-  Il processo democratico è fragile se i «principi morali» che lo sostengono si basano soltanto sul consenso sociale. È questa la «sfida reale» che Ratzinger ha additato rivolgendosi, ieri in Parlamento, al corpo diplomatico e agli esponenti della cultura, della società civile e dell’economia

Pubblichiamo il testo integrale del discorso pronunciato ieri pomerig­gio da Benedetto XVI nella Westmin­ster Hall di Londra all’incontro con gli esponenti della società civile, del mondo accademico, culturale e imprenditoriale, con il corpo diploma­tico e con i leader religiosi. (AVVENIRE, 18.09.2010)

Signor presidente,

la ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome di questa distinta assemblea. Nel rivolgermi a voi, sono consapevole del privilegio che mi è concesso di parlare al po­polo britannico e ai suoi rappresen­tanti nella Westminster Hall, un edi­ficio che ha un significato unico nel­la storia civile e politica degli abitanti di queste Isole.

Permettetemi di manifestare la mia stima per il Parlamento, che da se­coli ha sede in questo luogo e che ha avuto un’influenza così profonda sullo sviluppo di forme di governo partecipative nel mondo, special­mente nel Commonwealth e più in generale nei Paesi di lingua inglese. La vostra tradizione di «common law» costituisce la base del sistema legale in molte nazioni, e la vostra particolare visione dei rispettivi di­ritti e doveri dello Stato e del singo­lo cittadino, e della separazione dei poteri, rimane come fonte di ispira­zione per molti nel mondo.

Mentre parlo a voi in questo luogo storico, penso agli in­numerevoli uomini e don­ne che lungo i secoli hanno svolto la loro parte in importanti eventi che hanno avuto luogo tra queste mura e hanno segnato la vita di molte ge­nerazione di britannici e di altri po­poli.

In particolare, vorrei ricordare la fi­gura di san Tommaso Moro, il gran­de studioso e statista inglese, ammirato da credenti e non credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui era «buon servitore», poiché a­veva scelto di servire Dio per primo. Il dilemma con cui Tommaso Moro si confrontava, in quei tempi diffici­li, la perenne questione del rapporto tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio, mi offre l’oppor­tunità di riflettere brevemente con voi sul giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politi­co.

La tradizione parlamentare di questo Paese deve molto al senso istintivo di moderazione presente nella nazione, al desiderio di raggiungere un giusto equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello Stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti. Se da un lato, nella vostra storia, sono stati compiuti a più riprese dei passi decisivi per porre dei limiti all’esercizio del potere, dal­l’altro le istituzioni politiche della nazione sono state in grado di evol­vere all’interno di un notevole gra­do di stabilità. In tale processo storico, la Gran Bre­tagna è emersa come una democra­zia pluralista, che attribuisce un grande valore alla libertà di espres­sione, alla libertà di affiliazione politica e al rispetto dello Stato di dirit­to, con un forte senso dei diritti e do­veri dei singoli, e dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

La dottrina sociale cattolica, pur for­mulata in un linguaggio diverso, ha molto in comune con un tale approccio, se si considera la sua fon­damentale preoccupazione per la salvaguardia della dignità di ogni singola persona, creata ad immagi­ne e somiglianza di Dio, e la sua sot­tolineatura del dovere delle autorità civili di promuovere il bene comune. E , in verità, le questioni di fon­do che furono in gioco nel pro­cesso contro Tommaso Moro continuano a presentarsi, in termi­ni sempre nuovi, con il mutare del­le condizioni sociali. Ogni genera­zione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sem­pre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevol­mente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali?

Queste questioni ci portano diretta­mente ai fondamenti etici del di­scorso civile. Se i principi morali che sostengono il processo democrati­co non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul con­senso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua e­videnza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia.

L’inadeguatezza di soluzioni pragmatiche, di breve termine, ai complessi proble­mi sociali ed etici è stata messa in tutta evidenza dalla recente crisi fi­nanziaria globale. Vi è un vasto con­senso sul fatto che la mancanza di un solido fondamento etico dell’attività economica abbia contribuito a crea­re la situazione di grave difficoltà nel­la quale si trovano ora milioni di per­sone nel mondo. Così come «ogni decisione economica ha una conse­guenza di carattere morale» ( Caritas in veritate, 37 ), analogamente, nel campo politico, la dimensione mo­rale delle politiche attuate ha con­seguenze di vasto raggio, che nessun governo può permettersi di ignora­re.

Una positiva esemplificazione di ciò si può trovare in una delle conquiste particolarmente rimarchevoli del Parlamento britannico: l’abolizione del commercio degli schiavi. La campagna che portò a questa legi­slazione epocale, si basò su principi morali solidi, fondati sulla legge na­turale, e ha costituito un contributo alla civilizzazione di cui questa na­zione può essere giustamente orgo­gliosa.

La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fonda­mento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ra­gione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religio­ne nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciu­te dai non credenti - ancora meno è quello di proporre soluzioni politi­che concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della reli­gione - bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’appli­cazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi.

Questo ruolo «correttivo» della reli­gione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accol­to, in parte poiché delle forme di­storte di religione, come il settari­smo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, que­ste distorsioni della religione emer­gono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione. È un pro­cesso che funziona nel doppio sen­so.

Senza il correttivo fornito dalla reli­gione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come av­viene quando essa è manipolata dal­l’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona u­mana. Fu questo uso distorto della ragione, in fin dei conti, che diede o­rigine al commercio degli schiavi e poi a molti altri mali sociali, non da ultimo le ideologie totalitarie del ventesimo secolo. Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragio­ne ed il mondo della fede - il mon­do della secolarità razionale e il mondo del credo religioso - hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà.

La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al di­battito pubblico nella nazione. In ta­le contesto, non posso che esprime­re la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del cri­stianesimo, che sta prendendo pie­de in alcuni ambienti, anche in na­zioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore.

Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe mes­sa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata. Vi sono al­cuni che sostengono che la celebra­zione pubblica di festività come il Natale andrebbe scoraggiata, se­condo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche modo of­fendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna. E vi sono altri ancora che - paradossalmente con lo scopo di eliminare le discriminazioni - ritengono che i cristia­ni che rivestono cariche pubbliche dovrebbero, in determinati casi, a­gire contro la propria coscienza.

Questi sono segni preoccupanti del­l’incapacità di tenere nel giusto con­to non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della reli­gione nella sfera pubblica. Vorrei pertanto invitare tutti voi, ciascuno nelle rispettive sfere di influenza, a cercare vie per promuovere ed inco­raggiare il dialogo tra fede e ragione ad ogni livello della vita nazionale.

La vostra disponibilità in que­sto senso si è già manifestata nell’invito senza precedenti che mi avete rivolto oggi, e trova e­spressione in quei settori di interes­se nei quali il vostro Governo si è im­pegnato insieme alla Santa Sede.

Nel campo della pace, vi sono stati degli scambi circa l’elaborazione di un trattato internazionale sul commercio di armi; circa i diritti umani, la Santa Sede e il Regno Unito han­no visto positivamente il diffondersi della democrazia, specialmente negli ultimi 65 anni; nel campo del­lo sviluppo, vi è stata collaborazione nella remissione del debito, nel com­mercio equo e nel finanziamento al­lo sviluppo, in particolare attraver­so la International Finance Facility, l’ International Immunization Bond e l’Advanced Market Commitment .

La Santa Sede è inoltre desiderosa di ricercare, con il Regno Unito, nuove strade per promuovere la responsabilità ambientale, a benefi­cio di tutti. Noto inoltre che l’attuale Go­verno si è impegnato a de­volvere entro il 2013 lo 0,7% del reddito nazionale in favore degli aiuti allo sviluppo. È stato incorag­giante, negli ultimi anni, notare i se­gni positivi di una crescita della so­lidarietà verso i poveri che riguarda tutto il mondo.

Ma per tradurre que­sta solidarietà in azione effettiva c’è bisogno di idee nuove, che migliori­no le condizioni di vita in aree im­portanti quali la produzione del ci­bo, la pulizia dell’acqua, la creazio­ne di posti di lavoro, la formazione, l’aiuto alle famiglie, specialmente dei migranti, e i servizi sanitari di base. Quando è in gioco la vita umana, il tempo si fa sempre breve: in verità, il mondo è stato testimone delle va­ste risorse che i governi sono in gra­do di raccogliere per salvare istitu­zioni finanziarie ritenute «troppo grandi per fallire». Certamente lo svi­luppo integrale dei popoli della ter­ra non è meno importante: è un’im­presa degna dell’attenzione del mondo, veramente «troppo grande per fallire».

Questo sguardo generale alla cooperazione recente tra Regno Unito e Santa Sede mostra bene quanto pro­gresso sia stato fatto negli anni tra­scorsi dallo stabilimento di relazio­ni diplomatiche bilaterali, in favore della promozione nel mondo dei molti valori di fondo che condivi­diamo. Spero e prego che questa re­lazione continuerà a portare frutto e che si rifletterà in una crescente ac­cettazione della necessità di dialogo e rispetto, a tutti i livelli della società, tra il mondo della ragione ed il mon­do della fede.

Sono certo che anche in questo Paese vi sono molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche auto­rità possono lavorare insieme per il bene dei cittadini, in armonia con la storica pratica di questo Parlamen­to di invocare la guida dello Spirito su quanti cercano di migliorare le condizioni di vita di tutto il genere u­mano.

Affinché questa cooperazione sia possibile, le istituzioni religiose, comprese quelle legate alla Chiesa cattolica, devono essere libere di a­gire in accordo con i propri principi e le proprie specifiche convinzioni, basate sulla fede e sull’insegnamen­to ufficiale della Chiesa. In questo modo potranno essere garantiti quei diritti fondamentali, quali la libertà religiosa, la libertà di coscienza e la libertà di associazione.

Gli angeli che ci guardano dalla magnifica volta di questa antica Sala ci ricordano la lunga tradizione da cui il Parlamen­to britannico si è sviluppato. Essi ci ricordano che Dio vigila costante­mente su di noi, per guidarci e pro­teggerci. Ed essi ci chiamano a riconoscere il contributo vitale che il cre­do religioso ha reso e può continua­re a rendere alla vita della nazione.

Signor presidente, la ringrazio ancora per questa opportunità di rivolgermi brevemente a questo distinto uditorio. Mi permet­ta di assicurare a lei e al signor pre­sidente della Camera dei Lord i miei auguri e la mia costante preghiera per voi e per il fruttuoso lavoro di en­trambe le Camere di questo antico Parlamento. Grazie, e Dio vi benedi­ca tutti!

Benedetto XVI


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