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EVANGELO E TEOLOGIA POLITICA DEL "MENTITORE". PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO, CHE GIA’ DANTE SOLLECITAVA ...

KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI"). Una pagina di Kant e una nota di Federico La Sala

sabato 18 gennaio 2014
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
[...] un medico, un giudice, o un uomo politico, può avere in capo molte belle regole patologiche, giuridiche o politiche, al punto da poter diventare egli stesso un profondo insegnante in proposito, e tuttavia cade facilmente in errore nell’applicazione di esse, o perché manca di capacità naturale di giudizio (...) o anche per il fatto che egli non è stato sufficientemente addestrato per questo giudizio, mediante esempi e pratica (...)

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> KANT E SAN PAOLO. --- la Rivoluzione Francese ("fraternité", "liberté", "egalité") e la "charité" perduta dei Vescovi e del Papa (di Giuseppe Dalla Torre - Fraternità: perché non continui a perdersi)

venerdì 24 settembre 2010


-   CHARITE’: BERLINO RICORDA A PAPA RATZINGER IL NOME ESATTO

-   SINODO DEI VESCOVI 2008

-   PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga

-   KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI").



LA SOLIDARIETÀ NON BASTA. CARITÀ FONDAMENTALE

Fraternità: perché non continui a perdersi

di GIUSEPPE DALLA TORRE (Avvenire, 24.09.2010)

Nel considerare il volgere della situazione italiana, si è lamentato in questi giorni l’affievolirsi e il venire meno del senso di fraternità. L’osservazione è pertinente per molti aspetti e con riferimento a molti ambiti, anche se vien fatto di chiedersi come possa sopravvivere tale sentimento tra i consociati in una società sempre più individualistica, più edonistica, più crudamente competitiva, in cui l’avere fa aggio sull’essere, in cui non si esita a rompere i vincoli più sacri quando ne vengano meno le utilità personali, in cui l’etica della responsabilità impallidisce.

Bisogna in sostanza avere il coraggio di prendere atto che il problema non deriva da questa o quella scelta politica; il problema è assai più generale e tocca la cultura in cui, volenti o nolenti, siamo immersi. Il problema non è solo italiano, ma lambisce in misura più o meno ampia tutto l’Occidente.

Soprattutto il problema non è di oggi, ma viene di lontano. Tutti sanno che la fraternité , insieme alla liberté e alla egalité, ha fatto parte del vessillo ideale della Rivoluzione francese. A oltre due secoli di distanza ci si dovrebbe domandare perché libertà ed eguaglianza sono diventate acquisizioni consolidate, anche se sempre da custodire con cura e da rifondare e promuovere con intelligenza, mentre lo stesso non sembra potersi dire della fraternità. Insomma: una delle mete ideali della Rivoluzione ha stentato a farsi strada sin qui, dappertutto, a cominciare dalla stessa terra d’origine. In altre parole, mentre libertà ed eguaglianza sono cresciute, la fraternità è rimasta pressocché una espressione vuota, un flatus vocis avrebbero detto i romani; anzi, i vincoli di una certa fraternità che, almeno nei Paesi europei, secoli di cristianesimo avevano suscitato e rafforzato plasmando la cultura del nostro continente, sembrano da duecento anni a questa parte declinare.

Per quanto riguarda il nostro Paese, basti pensare a che cosa si è ridotto, a livello di percezione comune e di principio vivente, quel precetto sui «doveri di solidarietà» che la nostra Costituzione, tralucendo anche qui le radici cristiane della identità italiana, ha osato definire come «inderogabili».

La realtà è che l’evoluzione dei termini tradisce le trasformazioni culturali e del comune sentire. Nella società del passato il senso della coesistenzialità e del doveroso sostegno reciproco era radicato nel principio cristiano della carità, che comprende, ma va oltre la giustizia. Poi venne il tempo della secolarizzazione e, come prevedeva già Newman, si è passati a sostenere «un’educazione totalmente secolarizzata, intesa a far capire ad ogni individuo che essere ordinato, laborioso e sobrio torna a suo personale vantaggio»; a fornire «i grandi principi che devono sostituire la religione e che le masse così educate dovrebbero seguire, le verità etiche fondamentali nel loro senso più ampio, la giustizia, la benevolenza, l’onestà, ecc.; l’esperienza acquisita; e quelle leggi naturali che esistono e agiscono spontaneamente nella società e nelle cose sociali, sia fisiche che psicologiche, ad esempio, nel governo, nel commercio, nella finanza, nel campo sanitario e nei rapporti tra le Nazioni». In un mondo che si scristianizzava la carità è stata sostituita dalla fraternità.

Ma la sostituzione non è servita, perché la pretesa secolaristica di costruire la società senza o addirittura contro la religione ha fatto venire meno il presupposto stesso del riconoscersi fratelli: la discendenza da un Padre comune.

Ecco dunque giungere in sostituzione la solidarietà: termine bellissimo, alto, nobile, ma riferito a un dovere inesigibile e concretamente insoddisfatto, se non radicato in un fondamento più profondo di un mero precetto di legge.


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