di Giulio Giorello (Corriere della Sera, 06.10.2010)
È vero, pratico il consiglio del poeta Cecil Day Lewis, alias il giallista Nicholas Blake: mai lasciarsi coinvolgere in una discussione con dei teologi. Faccio, però, un’eccezione per rispondere alle garbate critiche che dalle pagine di «Avvenire» (5 ottobre) Vittorio Possenti rivolge al mio libro Senza Dio , edito da Longanesi. In breve, non mi sarei occupato abbastanza dell’Altissimo, rischiando così di «confondere il Signore con il Dio Padrone». Ma non è «padrone» il primo significato di quel termine - dominus - cui tanta teologia ha consacrato i suoi sforzi d’intelletto e sentimento?
Possenti mostra così che ho colpito nel segno, poiché la mia idea di ateismo è quella di una provocazione continua ai credenti e ai praticanti di qualsiasi religione a chiarire i loro presupposti, nella convinzione che questo lavoro serva a tutti, credenti o non credenti: l’ateismo è soprattutto un metodo.
Possenti mi chiede: per arrivare a che cosa? Potrei ribattere con le parole di un mio «lettore»: magari per «arrivare a Dio prescindendo da Dio». Ossia da tutte le gabbie in cui i signori della teologia e della morale hanno imprigionato il Dio che ci parla in grandi testi come i Vangeli o il Corano, facendone semplicemente un pretesto per giustificare coazione o gerarchia.
Concordo con Possenti che solo nella coscienza può sorgere l’esigenza della legge morale e civile, ma non vedo proprio perché io o qualsiasi altro «libertario» dobbiamo indicarne un qualche «fondamento» a cui sottometterci con spirito di «servizio».
La possibilità di costruire un’autentica solidarietà senza «fondarla come su solida roccia» (cioè, detto senza retorica, senza imporla a chi la pensa diversamente) non è un dettaglio accademico, ma una questione cruciale per qualsiasi democrazia matura. Proposta per gli amici di «Avvenire» (e per tutti i cattolici aperti al confronto delle idee): perché non proviamo a rispondere insieme?