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ECONOMIA E TEOLOGIA POLITICA DELLA GRATUITÀ O DEL PROFITTO?! L’economia e la teologia ateo-devota del dio "Mammona" ("Deus caritas est") è finita!!! Ma la gerarchia della Chiesa cattolico-romana continua con il suo "latinorum"!!!

A TORINO SPIRITUALITÀ, LA GRATUITÀ . "Gratis. Il fascino delle nostre mani vuote". Sul tema, un’intervista a Carlo Ossola di Paolo Lambruschi - a cura di Federico La Sala

(...) la ’gratuità’ non è la dépense, il dispen­dio di sé, bensì - al­l’opposto - il rico­noscere che ciò che ci è più prezioso (la vita, in primis) l’abbiamo ricevuto gratis. La gratuità ’la si vede dopo’ averla riconosciuta (...)
mercoledì 22 settembre 2010
[...] «’Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procura­tevi oro, né argento, né moneta di rame, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, per­ché l’operaio ha diritto al suo nutri­mento’ (Mt 10, 8-10). La grazia è un dono, ma la giustizia nella sobrietà è un esercizio che va insegnato, pra­ticato, va ogni giorno riappreso, per­ché questa società chiede, anzi im­pone l’oblio della giustizia. La gra­tuità non mira a un equilibrio tra dato e avuto, ma alla (...)

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> A TORINO SPIRITUALITA’, LA GRATUITA’. --- Immaginare un futuro diverso da quello imposto dal passato (di Laura Boella - Il perdono è rivoluzionario).

martedì 22 maggio 2012

-  Etica e libertà
-  Il perdono è rivoluzionario
-  Un concetto spiazzante, una sfida per il pensiero
-  È un «dono» difficile da interpretare: si perdona la malvagità o l’incoscienza? L’azione o l’agente? Per ricostruire, ricominciare, comprendere o per dimenticare?

-  di Laura Boella, Docente di Filosofia morale alla Statale di Milano (l’Unità, 22.05.2012)

      • IL PERDONO RAPPRESENTA UNO DEI DILEMMI PIÙ LACERANTI DELL’ETICA CONTEMPORANEA, MA È ANCHE UNA DELLE FIGURE MORALI CHE SVOLGONO UN RUOLO, A VOLTE CONTRADDITTORIO, MOLTO FORTE NELLA SOCIETÀ E NELLA POLITICA.

Il perdono oggi non viene evocato solo in relazione a offese, torti, malvagità individuali e private, ma spesso in relazione al male commesso in nome di un’idea di civiltà, di un’ideologia totalitaria, di una fede religiosa, di un progetto politico, e anche in sede legale e processuale, ogni volta che la trasgressione della norma ha un effetto destabilizzante sulla convivenza. Sappiamo quanto le azioni umane e i loro “errori” mettano direttamente in questione la storia, la politica, la sopravvivenza e l’identità di individui e gruppi, la lacerazione e la ricomposizione del legame sociale.

Non bisogna poi dimenticare che la questione del perdono si è posta con particolare forza dopo la Shoah, collegandosi strettamente all’ imprescrittibilità del male. Dopo gli eventi che hanno segnato la storia del ‘900 non è pertanto più possibile pensare il perdono senza il concetto di imperdonabile.

L’autentico significato del perdono deve in effetti districarsi dalle implicazioni molteplici e a tratti contraddittorie di una nozione drammaticamente intrappolata nelle maglie del rancore e dell’oblio, della brama di vendetta e della facile liquidazione o della rinuncia ai propri diritti. Una nozione che, oltretutto, appare difficilmente isolabile da altri nuclei tematici, legati a concetti di ordine spirituale e religioso, quali l’espiazione, la redenzione, la remissione dei peccati, l’assoluzione, la pietà, l’amore del prossimo.

Per fare qualche esempio: si perdona l’incoscienza (non sapeva quello che faceva) o la malvagità? L’azione o l’agente? Per ricostruire, ricominciare, comprendere, convertire o semplicemente per dimenticare? Il perdono presuppone una relazione con un altro oppure è l’affermazione della propria superiorità? Chi viene perdonato può anche non sentirsi destinatario di un atto di amore, bensì oggetto di invadenza, di intrusione nella sua coscienza, nel suo mondo affettivo.

Nell’idea di perdono può essere infatti contenuto un giudizio di valore: colui che perdona si colloca dalla parte del bene, quindi al di sopra di colui che viene perdonato. Da questo punto di vista, il perdono può apparire un atto unilaterale, una concessione che annulla ogni scambio e comunicazione tra due soggetti. A complicare le cose contribuisce l’urgenza dell’appello che il male morale continua a rivolgere all’azione: cosa fare per impedire altre sofferenze causate dalla malvagità? Qual è l’imperativo prioritario: la carità cristiana o la resistenza contro il male? Porgere l’altra guancia o ristabilire la giustizia violata?

Il perdono è sicuramente un concetto spiazzante, una sfida per il pensiero, il cui autentico significato deve essere riappreso. Ciò significa riprendere l’eredità della tradizione ebraico-cristiana, che ne costituisce la fonte, e riscoprirlo in condizioni nuove, quelle del mondo attuale che ne ha un gran bisogno.

Non è certo un caso che i (rari) pensatori che nel ‘900 si sono occupati del perdono siano quelli a cui tutti riconoscono una spiccata sensibilità per i problemi del nostro tempo, e insieme il coraggio di affrontare le zone più rischiose dell’etica, senza cedere a nessuna scorciatoia moralistica. Penso in particolare a Hannah Arendt, a Vladimir Jankélévitch , a Emanuel Lévinas, a Paul Ricoeur, a Jacques Derrida. La loro vitale inquietudine ha accompagnato la consapevolezza che il perdono sia un tessuto fittissimo di conflitti e di paradossi che chiama radicalmente in causa la coscienza di ognuno e ne sconvolge le convinzioni più solide.

Fin dalla sua etimologia il perdono è attraversato dal contrasto tra la logica della pena e della riparazione propria della giustizia, e la logica della gratuità, dell’amore. Perdonare rimanda alla “rinuncia” (a un diritto o a un credito), allo scusare, e al tempo stesso si associa al dono un dono in eccesso, il dono d’amore disinteressato delle chansons dei troubadours (ti amerò en perdos, in perdita, gratuitamente).

L’autentico significato del perdono può essere oggi affermato considerandolo una potenzialità dell’azione: esso rappresenta infatti l’altra faccia del rischio dell’agire, che salva la libertà umana in nome di una nuova forma di responsabilità. È impossibile revocare la storia, fare in modo che le azioni non siano accadute, ma si può continuare ad agire andando in un’altra direzione. L’essenza del perdono consiste nel restituire la capacità di agire a un soggetto che resterebbe inchiodato all’azione compiuta, se non gli si offrisse la possibilità di diventare qualcosa di diverso da ciò che ha fatto.

Il perdono è dunque un dono, un dono di libertà, il dono del potere di ricominciare e insieme il tentativo di ricostruzione di una relazione interrotta in seguito a un’offesa. Come se si richiamasse in vita la possibilità di una libertà autenticamente umana, anche per chi ha sbagliato. È innegabile che si tratti di passaggi difficili tra agire, sentire e pensare, ma dotati di una grande forza etica: quella di assumersi il rischio, o meglio, di immaginare un futuro diverso da quello imposto dal passato.


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