Caro Francesco,
puntualizzo per l’ultima volta alcune cose che stanno su questo sito e in altri luoghi. Le elezioni, in realtà, sono andate così. Al primo turno, Barile ha preso 3 mila e ottocento voti circa. Con tutti gli imbrogli organizzati sulla base della confusione tra il simbolo di Vattimo e il nome del candidato, il filosofo ha ottenuto, si badi, non 1429 preferenze, come riportato al termine delle operazioni, ma 2740 (la fonte è il presidente dell’attuale consiglio comunale). Contando i voti assegnati all’avversarsio di centrosinistra piuttosto che al filosofo, il ballottaggio sarebbe stato fra Vattimo e Barile. A quel punto, spiegami chi l’avrebbe spuntata. Abbiamo denunciato al Prefetto di Cosenza irregolarità elettorali. Non è mai successo qualcosa. Di notte, intorno alle 22,30, dopo i conteggi, i seggi sono stati riaperti. La tv locale assegnava due consiglieri a Vattimo e 749 voti di lista. Inspiegabilmente, dopo un po’ di tempo, si è scesi intorno ai 640. Per Riccardo Succurro, dovevo stare "attento a strane operazioni". Le convocazioni inviate a Vattimo sono sempre state tardive, quando era consigliere, e, in un caso, fuori della legge. Potevamo far cadere il consiglio, ricorrendo al Tar. La città, per quanta campagna informativa sia stata fatta, ha mostrato totale indifferenza. Vattimo è stato ripetutamente denigrato, a partire dalla sinistra tradizionale, Piluso in testa. I confronti televisivi sono stati organizzati in date che potevano compromettere la partecipazione del filosofo. Questa è storia, la conoscono tutti. C’è stato un incredibile dispiegamento di forze per impedire la vittoria e l’azione di Vattimo. Ora vieni a parlarmi di incoerenza, di scuse e scusanti. Tu, dove eri? Hai detto qualcosa, a riguardo. Adesso, è troppo tardi per recriminare. La verità è che c’è stata un’espulsione di Vattimo voluta dagli inizi. Io stesso ho provato a convincere Vattimo che doveva restare. L’ultimo episodio, con una convocazione furbescamente rimediata in extremis ma fuori del tempo utile, lo ha persuaso che San Giovanni in Fiore ha logiche che possono intendere e accettare solo i suoi abitanti, troppo lontani, per abitudine, dalla vita pubblica e politica. Vattimo si sarebbe perfino trasferito a San Giovanni in Fiore, trovandosi alle porte della pensione. Me lo ha detto sinceramente e varie volte. Anche per evitare questa eventualità, il dispiegamento di forze avverse è stato enorme, al punto che Vattimo ha preferito rimanere nella piatta Torino. Spiegami, poi, che cosa ha impedito all’attuale sinistra di governo di affidargli l’assessorato alla cultura. Il che avrebbe comportato notevoli vantaggi per la nostra città. Per quanto riguarda la questione del tuo voto come contributo all’affermazione nazionale della Voce, mi dispiace ma hai ancora frainteso. "Malafides superveniens non nocet". Io ho solo scritto che oggi abbiamo un organo che rappresenta le nostre esigenze e le nostre potenzialità - di florensi fuori del coro - in un contesto molto più esteso. Più sotto, ti riporto un giudizio di Ida Dominijanni, che forse può servire a illuminarci politicamente sul significato del movimento di Vattimo. Con rispetto. Grazie. Emiliano Morrone
LA VOCE DI VATTIMO E GIOACCHINO Il Manifesto, 22 marzo 2005 (Ida Dominijanni)
La cosa più divertente e significativa della campagna elettorale in corso è accaduta finora a San Giovanni in Fiore, paese di 20.000 abitanti arrampicato sulla Sila dal glorioso passato, Gioacchino da Fiore avendovi fondato la sua Congregazione Florense nel 1189, e dal precarissimo presente, fatto come in molti paesini del sud di disoccupazione, assistenzialismo, abusivismo edilizio, apatia politica, una amministrazione di centgrosinistra addormentata. Senonché la globalizzazione fa miracoli, connette, mette in rete, dà voce pubblica anche a piccole comunità prima destinate alla marginalità periferica. Un gruppo di giovani fonda un giornale on-line, La voce di Fiore, discute, fa politica, organizza conferenze filosofiche, una con Alfonso Iacono, una con Gianni Vattimo. Ad ascoltare Vattimo che parla di Gioacchino ci vanno in quattrocento, e con lui il discorso dei giovani della Voce va avanti, finché a febbraio nasce la scandalosa proposta di candidarlo a sindaco con una lista civica, di sinistra e fuori dal centrosinistra ufficiale. Scandalosamente Vattimo accetta: calabrese pure lui di origine, si entusiasma alla voglia di fare e di cambiare dei ragazzi, gli va di scommettere sulle energie nascoste del paese. Si fa la lista, si stila un programma: cento punti di tutto rispetto, dalla tutela del territorio alla valorizzazione della storia e della cultura locale; dal rifacimento dell’acquedotto all’accesso gratuito a internet; dal reparto di cardiologia ai laboratori d’arte, scrittura, cinema. Il centrosinistra prosegue per la sua strada col suo candidato, il centrodestra col suo promettendo sogni a un elettorato scontento di un a marginalità obbligata. Ma lo scandalo del filosofo candidato, per giunta proveniente dal nord, è troppo per la chiesa locale, che interviene sulla campagna elettorale direttamente dal pulpito stile Ruini sul referendum sulla procreazione assistita. Dalla gloriosa abbazia giochimita, don Emilio Salatino invita i giovani «a non seguire il diavolo che viene da Torino», padre Marcellino Vilella lo definisce pericoloso, indegno, nemico della Chiesa, veicolo di perdizione, e aggiunge che la cultura va bene fino a un certo punto, da un certo punto in poi corrompe e fa male. Dalla Voce scrivono al vescovo e ottengono via Quotidiano della Calabria una risposta imbarazzata: «la Chiesa non esprime giudizi sulle persone», scrive monsignor Nunnari, però perché sollevare un tal polverone, i panni dei credenti si lavano in famiglia. Domenica scorsa, solenne liturgia delle Palme, Vattimo partecipa alla messa per gettare acqua sul fuoco.
Ma intanto il fuoco c’è e non si spegne. Dal sito della Voce partono lettere di sostegno alla candidatura del filosofo, una lettera aperta alla «a una sinistra nazionale che non vede, non sente, non parla, da Fassino a Bertinotti a Pecoraro Scanio»: «Il sud va alla morte e voi, come altri, fingete di no. Il sistema politico locale, con varie complicità anche trasversali, ha cercato di indottrinare tutti perché dimenticassero le radici storiche della città, i luoghi della memoria, la forza dello spirito popolare. I partiti, di destra e di sinistra, hanno sapientemente eliminato ogni forma di critica e di dialettica, creando una società omogenea, del silenzio e della paura, un clima che produce allontanamento, disturbi psichiatrici, emigrazione di massa». La sinistra, nazionale e locale, capirà l’antifona? Emiliano Morrone, ventinovenne che ha animato l’intera vicenda, non dispera affatto che il suo candidato ce la faccia, a vincere, magari nel ballottaggio col candidato del centrosinistra. Ma quale che sia il responso delle urne, i ragazzi di Vattimo in un certo senso hanno già vinto. Hanno svegliato una comunità. Hanno fatto politica facendola uscire dal perimetro delle sonnolenti chiacchiere da bar e dei piccoli scambi di nessun respiro. Hanno discusso nel sito e per strada di postmodernismo, secolarizzazione, ontologia del presente, legando queste parole grandi alla loro piccola realtà e macroideali a microfisici cambiamenti. Per una campagna elettorale, di questi tempi, è un bottino ricchissimo.
Segue, poi, questo altro.
E IL PRETE DISSE "VATTIMO È UN DIAVOLO" A San Giovanni in Fiore omelie contro il filosofo. E lui: "sono l’anticristo di Gioacchino?" La Stampa, 16 marzo 2005 (Jacopo Iacoboni)
C’è di mezzo: Gioacchino da Fiore, il millenarismo, un filosofo e il diavolo. È ovvio, siamo nel 2005. A San Giovanni in Fiore, paese della Calabria in cui operò il grande mistico cistercense, si candida come sindaco il filosofo Gianni Vattimo, e questo è stranoto. La sua candidatura, esterna ai poli che hanno puntato su altri nomi, è stata invocata da un gruppo di simpaticissimi ventenni, ragazzi col mito di Peppino Impastato che vorrebbero far qualcosa per smuovere le acque abbastanza stagnanti del paesino meridionale. Quello che non tutti sanno è che in quell’amabile locus amoenus piazzato nel mezzo della Sila, un po’ di preti locali stanno montando da qualche tempo una discreta campagna contro l’aspirante-sindaco, troppo «debolista», troppo colto, blasé, sospetto oltretutto di intenti perditori. E si respira l’aria di un’Inquisizione blanda e anche un po’ arruffona, non per questo meno singolare e per certi versi pure preoccupante, se la campagna è condita di accuse dal sapore medievale, per di più predicate dal pulpito ecclesiale: «Giovani, non seguite il diavolo che viene da Torino!». Il diavolo sarebbe lui, Gianni Vattimo, e a pronunciare la frase è stato, durante affollata messa domenicale, don Emilio Salatino, giusto appunto nell’abbazia che fu il cuore delle esaltate visioni di Gioacchino. Correva il secolo XII, si vede che non tanto è cambiato, da allora. Tanto più se le accuse demoniache non sono affatto isolate. È da un mese che alcuni sacerdoti hanno cominciato ad attaccare Vattimo nelle omelie. Il clou l’ha forse toccato padre Marcellino Vilella: ha definito il filosofo torinese pericoloso per i giovani, indegno e nemico della Chiesa.
Il riferimento è stato indiretto, raccontano i ragazzi che sostengono la candidatura del filosofo, cionondimeno inequivocabile. «L’ho ascoltato con mia madre, ero in chiesa», narra Emiliano Morrone, il capofila dei Vattimo boys che hanno anche fondato un giornale on line tutt’altro che ingenuo (www.lavocedifiore.org). «Padre Vilella, partendo dal Vangelo, ha detto che la cultura va bene fino a un certo punto, oltre il quale rappresenta un male sociale. Ha detto che i filosofi promuovono l’ateismo e attaccano Dio». Secondo Morrone, ha anche alluso all’omosessualità, o tempora!, quando ha detto che i suddetti pensatori, «negli ambienti accademici, portano gli studenti alla perdizione». Il sacerdote, fervente giaochimita, ha concluso che Morrone e il suo gruppo sono «giovani formati in buona università ma si sono smarriti frequentando illustri pensatori». «Libera nos a diabolo!», avrebbe sospirato Gioacchino: ai suoi tardi emuli non è servito però alcun ricorso al latinorum, hanno parlato chiaro, in italiano.
I Vattimo boys sono indignati e testimoniano almanaccano citano. Per difendersi contro questo «dogmatismo autoritario», sul loro giornale tirano in ballo il Concilio Vaticano II, Heidegger, e un’«etica in politica» dal sapore weberiano. E in una lettera aperta al vescovo di Cosenza denunciano: «È gravissimo che si faccia campagna elettorale nelle chiese». Lui, il «diavolo venuto da Torino», ovviamente se la ride. «In fondo anche Gioacchino non è che fosse un progressista fanatico...». È appena stato laggiù, Vattimo, per una tre giorni in cui ha ascoltato commercianti cittadini e studenti, e tutti o quasi l’hanno circondato di attenzioni, «narcisisticamente questo non può che farmi piacere». Sa di essere stato paragonato alla Bestia ma anche i preti, dice, in fondo non sono stati così crudi faccia a faccia con lui. «Un tal padre Eugenio, monaco francescano dell’Abbazia grande, in chiesa ha detto quelle cose ma la sera prima, al ristorante, era con un altro paio di preti e due suore, e tutti hanno ammesso di aver letto con grande interesse i miei libri». I libri dell’Anticristo: ma anche Gioacchino prefigurando l’avvento dell’Età dello Spirito bollò come tale Federico II, e si sa poi che carriera fece.