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ILLUMINISMO, CRISTIANESIMO, E PLATONISMO CATTOLICO. ALLA RADICE DEI SOGNI E DEI DELIRI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA

LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”. Note per una rilettura della “Storia universale della natura e teoria del cielo” - di Federico La Sala

Kant, sapeva - come e più di Nietzsche - che bisogna perdere “la fede in Dio, nella libertà e nell’immortalità [...] come si perdono i primi denti”, scendere all’Averno (come scrive Kant) o, che è lo stesso, all’inferno (...) Molti filosofi sono andati all’inferno, ma non ne sono più usciti; qualcuno è riuscito a venirne fuori, ma non sa nemmeno come e perché, e si illude e sogna ancora, alla Swedenborg (...)
giovedì 31 dicembre 2015
[...] Alla base della ricerca e del discorso di Kant, c’è la chiara consapevolezza di come e quanto sia urgente e necessario andare - con Newton - oltre Newton: egli si è “arreso troppo presto di fronte a ciò che giudicava il limite delle cause meccaniche, e troppo alla lesta” e - cosa ancor più grave - formulando un’ipotesi (tutta interna al vecchio platonismo), “era ricorso all’intervento di un Padreterno creatore di stelle e pianeti”(cfr. Giacomo Scarpelli, (...)

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> LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” -- L’Universo è una simulazione? torna il più radicale dei dubbi (di Roberto Paura)

martedì 24 gennaio 2017

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L’Universo è una simulazione?

[...]

Nel 1963 Philip Dick ebbe una visione spaventosa: alzando lo sguardo al cielo notò una faccia metallica che lo fissava con malvagità. Questa visione lo turbò a lungo. Anni dopo, il 2 marzo del 1974, un fatto del tutto banale - un ciondolo a forma di pesce, l’antico simbolo protocristiano, indossato da una ragazza - scatenò in lui tutta una serie di visioni e sogni: un turbinio di quadri psichedelici, intere pagine di libri mai letti, radio che continuavano a trasmettere anche una volta staccata la spina, fino all’inquietante premonizione di un problema di salute di suo figlio che i dottori avrebbero effettivamente diagnosticato quando Dick lo portò a visitare. Lo scrittore di fantascienza si convinse, come nella trama di una delle sue tante storie, che il suo mondo non era reale, ma una “prigione” costruita da una civiltà malvagia da lui identificata nell’antico Impero Romano, intenzionata a mantenere l’umanità in una perenne schiavitù.

Le visioni e le apparizioni sarebbero “crepe” della simulazione attraverso le quali è possibile indovinare l’esistenza di un livello di realtà superiore, come gradualmente Dick giunse a ricostruire nelle circa ottomila deliranti pagine che costituiscono L’Esegesi, pubblicata per la prima volta nel 2011 in una versione “riassuntiva” di circa 1200 pagine, tradotte in Italia nel 2015 da Maurizio Nati per l’editore Fanucci. Accade così anche in Tempo fuor di sesto o, per uscire dai confini dickiani, in Simulacron-3 e nelle sue versioni cinematografiche: cose che non sono al loro posto, strane amnesie, radio che trasmettono quello che non dovrebbero trasmettere. Queste cose succedono anche nella nostra realtà, ma è facile attribuirle a disturbi psicologi, paranoie o allucinazioni. Esistono allora modi attraverso i quali potremmo scoprire di vivere effettivamente in una simulazione? Indizi incontrovertibili, o comunque verificabili attraverso il metodo scientifico? Forse sì.

L’ipotesi alla prova

Uno di questi possibili indizi è stato studiato da Zohreh Davoudi, una delle partecipanti all’Asimov Memoriale Debate, in un paper pubblicato nel 2012. Il lavoro di Davoudi e colleghi parte da considerazioni che riguardano lo stato dell’arte di una particolare teoria fisica, quella della cromodinamica quantistica (QCD), che descrive la forza nucleare forte che fa interagire e tiene uniti i quark per formare neutroni, protoni e altre particelle subatomiche. Il metodo più potente per studiare la QCD prevede oggi l’utilizzo di sofisticate simulazioni informatiche chiamate tecniche di QCD su reticolo. In queste simulazioni lo spazio-tempo viene discretizzato (per comodità di utilizzo e per questioni di coerenza dei modelli teorici), e viene descritto non come un continuo ma come da un reticolo composto da una serie di cubi di scala femtometrica (di un milionesimo di miliardesimo di metro).

A questa scala e per questo tipo di interazioni, le simulazioni della QCD su reticolo sono repliche affidabili della realtà. Secondo Davoudi, allora, nei prossimi anni lo sviluppo tecnologico potrebbe consentire di far evolvere queste simulazioni. E arricchendole, le simulazioni potrebbero a quel punto arrivare a replicare anche le altre forze della natura (la forza nucleare debole, quella elettromagnetica e la gravità). E sviluppandole ancora si potrebbe arrivare finalmente a simulare un intero universo. Secondo Davoudi, insomma, gli ipotetici “simulatori di universi” potrebbero essere partiti a loro volta da un reticolo fentometrico non continuo (magari per motivi di ricerca scientifica pura), ed essere arrivati a una simulazione estremamente sofisticata su scala cosmologica che ha generato il nostro universo.

A questo punto se il nostro universo è una simulazione elaborata e potente basata su un reticolo, dovremmo riuscire a trovare qualche traccia di questo reticolo studiando la struttura fine del cosmo. Le dimensioni degli ipercubi - i “pixel” della realtà - che costruiscono il nostro universo simulato, però, potrebbero essere inferiori alla lunghezza di Planck (la lunghezza più piccola misurabile in natura), e quindi i “pixel” potrebbero non essere rilevabili da nessuna osservazione diretta. Ma anche in questo caso rimane qualche possibile soluzione: “Nel nostro universo le leggi della fisica sono le stesse in tutte le direzioni. Ma in un reticolo questo cambia. Dal momento che non c’è più un continuum spazio-temporale, le leggi della fisica dipenderebbero dalla direzione”, spiega al New Scientist Silas Beane, uno degli autori del paper. La simulazione potrebbe mostrarsi, per esempio, nella distribuzione dei raggi cosmici ad altissima energia. Invece di provenire da tutte le direzioni, infatti, per motivi di coerenza della teoria, i raggi cosmici ad altissima energia dovrebbero a quel punto mostrare direzioni preferenziali che dipendono proprio dalla struttura del reticolo su cui avviene la simulazione. “Abbiamo calcolato che se i simulatori usassero un reticolo con dimensioni di circa 10^-27 metri, l’energia limite cambierebbe per direzioni diverse”, spiega Beane. Data anche la rarità di questi fenomeni, però, al momento gli esperimenti non sono ancora in grado di indagare i raggi cosmici ad altissima energia con il dettaglio necessario per osservare la distribuzione e dirimere la questione.

Un ulteriore perfezionamento della simulazione potrebbe tra l’altro correggere anche questo “errore”, rendendolo invisibile anche alle nostre misurazioni indirette; ma resta un fatto: un universo simulato dev’essere per sua natura finito, perché le risorse dei potenziali simulatori sono finite. Pertanto, il volume che contiene la simulazione sarà a sua volta finito e ciò implica uno spazio-tempo discreto; per cui “in principio resta sempre la possibilità per il simulato di scoprire i simulatori”. Una di queste possibilità, secondo il cosmologo e matematico John Barrow, è quella di rilevare delle possibili modifiche alle costanti di natura e alle leggi fondamentali che i simulatori potrebbero aver avuto bisogno di introdurre di tanto in tanto per correggere gli errori strutturali della simulazione che si accumulano nel tempo. Come scrive nel suo Il libro degli universi: “se i simulatori usassero i codici informatici di correzione degli errori per premunirsi dalla fallibilità generale delle loro simulazioni (e li simulassero su scala inferiore al nostro codice genetico) [...] avverrebbero allora improvvisi cambiamenti in apparente contraddizione con le stesse leggi di natura che gli scienziati simulati erano abituati a osservare e predire”.

Uno dei partecipanti all’Asimov Memorial Debate, James Gates, direttore del Center for String and Particle Theory all’Università del Maryland di College Park, crede di aver trovato qualcosa del genere all’interno di un formalismo della supergravità, una delle tante teorie proposte in questi anni per provare a descrivere la gravità quantistica. Per ordinare geometricamente il modo in cui, in questa teoria, le particelle sono classificate, Gates e i suoi colleghi usano infatti delle figure molto complesse, chiamate “adinkra”, che nella cultura Ashanti rappresentato una sorta di ideogrammi. Non sono dei semplici disegni, però: gli adinkra sono la visualizzazione di un meccanismo più complesso, e il loro funzionamento ha effettivamente delle analogie con i codici di correzione degli errori utilizzati in informatica. Se questi “adinkra” giocassero davvero un ruolo essenziale nella rappresentazione della natura di una (eventuale) teoria del tutto della supergravità, avremmo quindi una teoria che descrive l’universo e che incorpora al suo interno dei codici binari in grado, forse, di riparare la realtà da errori di trascrizione, confermando l’ipotesi della simulazione. Quelle di Gates restano però ipotesi per ora forse troppo fantasiose, non verificabili, al limite della fisica nota, e non hanno raccolto molto successo nella comunità scientifica.

Le costanti della natura

Tuttavia, anche senza scomodare concetti così complessi, esistono altri strani indizi in natura, molto più noti e ben studiati, che potrebbero spingerci a conclusioni inquietanti. È noto da tempo, per esempio, che esistono certe “coincidenze” nelle leggi di natura che permettono alla vita come la conosciamo di esistere. Una di esse è la cosiddetta “risonanza” del carbonio, che è l’elemento chimico fondamentale della vita. Il carbonio nasce all’interno dei nuclei delle stelle grazie ai processi di fusione nucleare, in particolare alla fusione di tre atomi di eli. Tuttavia la possibilità che tre atomi di elio collidano in uno stesso istante è così irrisoria da non sembrare sufficiente a consentire la produzione delle quantità di carbonio che osserviamo nell’universo. Fred Hoyle, negli anni Cinquanta, suggerì una soluzione: due atomi di elio collidono e si fondono formando l’isotopo berillio-8, e questo, anziché decadere immediatamente perché instabile, resta “vivo” per un tempo insolitamente più lungo, sufficiente a ricevere la collisione di un altro atomo di elio e trasformarsi in carbonio. Il meccanismo che consente ciò si chiama “risonanza” e dipende dal fatto che il berillio-8 ha quasi la stessa energia dei due atomi di elio che lo hanno creato, e analogamente le masse del berillio-8 e di un altro atomo di elio possiedono lo stesso livello energetico di un nucleo eccitato di carbonio-12; ciò produce una risonanza che consente all’atomo di berillio di mantenersi stabile fino a cento miliardesimi di miliardesimo di secondo, il tempo sufficiente per collidere con un altro atomo di elio e formare il carbonio. Senza questa “coincidenza”, noi non staremmo qui a parlarne.

Questa e molte altre coincidenze hanno spinto gli scienziati a introdurre la congettura del multiverso: il nostro non è che uno di innumerevoli universi dove le costanti di natura assumono tutti i valori possibili, e solo in pochi, tra cui il nostro, questi valori consentono l’esistenza della vita. Ma, secondo gli scienziati che si interessano alla congettura della simulazione, potrebbe esserci un’altra spiegazione: qualcuno, lì fuori, ha “progettato” l’universo apposta per la vita. La comunità scientifica inorridisce di fronte a questo cosiddetto “principio antropico”, perché ritiene sia un modo per reintrodurre nella scienza il ruolo di un Progettista, ossia Dio. Ma se il progettista fosse semplicemente una civiltà post-umana?

Lo scrittore di fantascienza e studioso di cibernetica Stanislaw Lem trattò della congettura della simulazione nella sua imponente Summa Technologiae del 1966, purtroppo ancora inedita in Italia. Ma nel 1971 scrisse sull’argomento un racconto, Non Serviam, pubblicato nella raccolta Vuoto assoluto. Non Serviam è la storia della nascita della “personetica”, la scienza fittizia della creazione di personalità simulate all’interno di mondi virtuali, definita da alcuni “la più crudele tra le scienze ideate dall’uomo”. Anche se le simulazioni create dal professor Dobb non sono identiche alle nostre - per esempio i “personoidi” non si riproducono sessualmente -, sono rette dalle stesse leggi fisiche. “Oggi è possibile confezionare un ‘mondo’ abitato nel giro di un paio d’ore - il tempo necessario per inserire nel computer i dati di uno dei programmi di base”, si legge nel racconto di Lem.

La creazione dell’universo simulato si svolge a velocità accelerate e, analogamente, il programmatore può far scorrere il tempo più velocemente per saltare certi stadi dello sviluppo della civiltà personoide, per poi farlo combaciare con il tempo reale al fine di raccogliere i dialoghi e i pensieri dei singoli personoidi e studiarli. Tra questi ci sono esempi di dibattiti dei personoidi su Dio e sul perché della loro esistenza, del tutto identici a quelli che ci poniamo nel “mondo reale”. Discorsi che mettono a disagio il loro creatore, il professor Dobb, che presto si ritroverà, sotto la pressione dei costi energetici sempre più alti per far funzionare l’esperimento, a staccare la spina: “Spegnerò le macchine e sarà la fine del mondo. Cercherò di rimandare quell’istante il più possibile. È l’unica cosa che posso fare e non mi sembra esattamente degna di lode. Si tratta di quel che volgarmente viene definito ‘uno sporco lavoro’. Detto ciò, spero che nessuno si sia fatto venire strane idee. Se sì, sono affari suoi”.

Supervisione di Cesare Alemanni e Matteo De Giuli.


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