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ILLUMINISMO, CRISTIANESIMO, E PLATONISMO CATTOLICO. ALLA RADICE DEI SOGNI E DEI DELIRI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA

LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”. Note per una rilettura della “Storia universale della natura e teoria del cielo” - di Federico La Sala

Kant, sapeva - come e più di Nietzsche - che bisogna perdere “la fede in Dio, nella libertà e nell’immortalità [...] come si perdono i primi denti”, scendere all’Averno (come scrive Kant) o, che è lo stesso, all’inferno (...) Molti filosofi sono andati all’inferno, ma non ne sono più usciti; qualcuno è riuscito a venirne fuori, ma non sa nemmeno come e perché, e si illude e sogna ancora, alla Swedenborg (...)
giovedì 31 dicembre 2015
[...] Alla base della ricerca e del discorso di Kant, c’è la chiara consapevolezza di come e quanto sia urgente e necessario andare - con Newton - oltre Newton: egli si è “arreso troppo presto di fronte a ciò che giudicava il limite delle cause meccaniche, e troppo alla lesta” e - cosa ancor più grave - formulando un’ipotesi (tutta interna al vecchio platonismo), “era ricorso all’intervento di un Padreterno creatore di stelle e pianeti”(cfr. Giacomo Scarpelli, (...)

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> LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE ---- Chi crede nell’idea di destino che idea ha della propria libertà? (di U. Galimberti - La paura dell’ignoto).

giovedì 30 dicembre 2010

Cosa ci spinge a credere nell’irrazionale

La paura dell’ignoto

Chi crede nell’idea di destino che idea ha della propria libertà? Perché se tutto è già scritto lo spazio della nostra possibilità di scelta si riduce a zero, nei disegni astrali così come nel razionalismo deterministico

di Umberto Galimberti (la Repubblica, 30.12.2010)

A cosa credono coloro che si affidano agli oroscopi? E che cosa li distingue da coloro che non ci credono? Nulla. Perché quelli che credono, in realtà, desiderano conoscere qualcosa circa il loro futuro, e quelli che non credono non sono esenti da questo desiderio. E allora il vero problema è l’angoscia del futuro che, a differenza del passato e del presente, è imprevedibile. E, come tutto ciò che è imprevedibile, è ingovernabile, perché sfugge al nostro controllo, alla nostra previsione, alla nostra progettazione, mettendo in chiara evidenza la precarietà della nostra esistenza, e, con la precarietà, il nostro bisogno di rassicurazioni.

Non potendole trovare sulla terra, dove i nostri progetti confliggono con i progetti degli altri e con le circostanze favorevoli o infauste, da che mondo è mondo, gli uomini hanno cercato la loro rassicurazione nel cielo, che appariva più stabile della terra inquieta. Chiamarono le luci che compaiono nel cielo "stelle fisse", e la loro disposizione "firmamento" dove è traccia di "ciò che sta fermo" e non muta come gli eventi della terra. Chiamarono inoltre le disposizioni del cielo "destino" che significa "ciò che sta". E nell’immodificabilità del suo "stare", rispetto alla mutevolezza delle vicende umane, intravidero quella rassicurazione a cui cercarono di dar parola nella forma della "predizione".

L’oroscopo è questa parola. La sua verità o falsità nulla toglie a quel bisogno, insopprimibile nell’uomo, di ridurre, il più possibile, il terrore dell’ignoto. Lo stesso terrore che, a sentire Nietzsche, anima la scienza che ovviamente divide coloro che non credono da quelli che credono agli oroscopi, dimenticando che la ragione per cui la scienza è nata è la stessa che, dai tempi più remoti, ha indotto gli uomini a scrutare il cielo. Che altro è la scienza se non l’arte della previsione? Con questo non voglio mettere sullo stesso piano la previsione astrologica con la previsione scientifica, ma semplicemente segnalare che identico è il bisogno che sta alla base della scienza e dell’astrologia: sconfiggere l’ignoto, ridurre l’inquietudine ad esso connessa, rassicurare l’uomo ampliando l’orizzonte della prevedibilità.

Si dirà: ma la previsione scientifica, a differenza di quella astrologica, poggia su elementi rigorosamente razionali. È vero. E io sto con la previsione scientifica, senza però dimenticare due cose. La prima è che la scienza sa di essere una conoscenza "ipotetica", disposta a cambiare ipotesi ma mano che se ne presentano di più esplicative, per cui ciò che la scienza dice ha solo la probabilità, ma non l’incontrovertibilità di essere vero. La seconda ce la rammenta Kant là dove dice che: «La ragione è un’isola piccolissima nell’oceano dell’irrazionale». E siccome ognuno di noi lo sa e sulla propria pelle lo sperimenta, è in questo oceano che l’oroscopo getta il suo sguardo e formula la sua previsione.

È una previsione che prende le mosse da "ciò che sta", quindi dal "destino". E allora (e qui nasce il secondo problema) quanti credono agli oroscopi che fiducia hanno nella propria libertà, che è tale solo se prescinde dall’idea di destino? A meno che, sublimata nella danza delle stelle, non ci sia, ben nascosta e non ammessa la persuasione che lo spazio della nostra libertà è estremamente ridotto rispetto a quello che l’astrologia chiama "destino" e la scienza "determinismo". E allora, nate l’una in opposizione all’altra, scienza e astrologia rispondono entrambe al bisogno di sconfiggere l’ignoto, per poi giungere all’inconfessata conclusione che di ignoto non c’è proprio nulla, se tutto è deciso dal destino o dal determinismo più rigoroso.


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