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ILLUMINISMO, CRISTIANESIMO, E PLATONISMO CATTOLICO. ALLA RADICE DEI SOGNI E DEI DELIRI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA

LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”. Note per una rilettura della “Storia universale della natura e teoria del cielo” - di Federico La Sala

Kant, sapeva - come e più di Nietzsche - che bisogna perdere “la fede in Dio, nella libertà e nell’immortalità [...] come si perdono i primi denti”, scendere all’Averno (come scrive Kant) o, che è lo stesso, all’inferno (...) Molti filosofi sono andati all’inferno, ma non ne sono più usciti; qualcuno è riuscito a venirne fuori, ma non sa nemmeno come e perché, e si illude e sogna ancora, alla Swedenborg (...)
giovedì 31 dicembre 2015
[...] Alla base della ricerca e del discorso di Kant, c’è la chiara consapevolezza di come e quanto sia urgente e necessario andare - con Newton - oltre Newton: egli si è “arreso troppo presto di fronte a ciò che giudicava il limite delle cause meccaniche, e troppo alla lesta” e - cosa ancor più grave - formulando un’ipotesi (tutta interna al vecchio platonismo), “era ricorso all’intervento di un Padreterno creatore di stelle e pianeti”(cfr. Giacomo Scarpelli, (...)

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> LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA ---- Quando "i marziani siamo noi" ... il libro di Giovanni F. Bignami lascia l’ultima parola a Kant (di Goffredo Fofi).

domenica 16 gennaio 2011

Quando i marziani siamo noi

di Goffredo Fofi (l’Unità, 16 gennaio 2011)

Nell’intenzione di segnalare quel che di buono si fa in giro - in questo dannato paese dove tutti da sempre scelgono il particulare al collettivo e il privato al pubblico, e dove tutti i ricchi e arricchi si sentono in dovere di portare i loro soldi in Svizzera - ci si entusiasma solo per il frivolo e il contingente detestando la costanza e la costruzione, volevo partire, per una volta, dall’alto. E mi sono detto: cosa c’è di più alto del cielo? Non mi riferisco alla religione ma alla scienza, anche se la religione (il tentativo di rispondere alla grande domanda su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo) finisce sempre per entrarci.

L’Italia, mi sono chiesto, ha dato al mondo Galileo. Ma tra le due culture, l’umanistica e la scientifica, la nostra intellighenzia e la nostra scuola hanno sempre bistrattato la seconda, nonostante l’ondata di entusiasmo degli anni Sessanta, quando, ricordo, a Torino Vittorini saliva le scale dell’Einaudi carico dei manuali divulgazione di Asimov, Calvino scriveva le Cosmicomiche, e Fruttero e Lucentini si trasferivano a Milano per dirigere alla Mondadori la gloriosa collana di Urania.

Scienza e/o fantascienza... Troppo preso dal sociale e dai problemi della Terra per pensare al resto, e di formazione troppo bassa per capir qualcosa di scienza, anch’io prediligevo la fantascienza, e me ne feci esperto e divulgatore per anni amando forsennatamente, ed ero tra i primi, Vonnegut e Ballard e Dick, i tre maggiori, che resteranno dei “classici” della storia della letteratura della seconda metà del Novecento, ma anche, secondo i miei gusti del tempo, i “minori”. Che erano, nell’ordine, Wyndham, Sheckley, Silverberg, Matheson, Simak, Bradbury, Brown... e ne dimentico. Poi la fantascienza si è fatta realtà, le previsioni della sua ala sociologica ma a volte anche dell’altra si sono velocemente realizzate e la fantascienza si è confinata, dopo la breve e ambigua stagione dei cyber, nella letteratura per ragazzi, perché sono proprio i ragazzi l’unica categoria di lettori che continua a porsi domande sul futuro dell’uomo, delle sue società, del cosmo, e a trovare autori che ne ascoltano le inquietudini.

Gli adulti, senza memoria e senza futuro, sembrano pensare solo al loro grasso o magro presente, rifiutano di ragionare del futuro. Eppure anche in Italia resiste, nonostante Berlusconi e nonostante la deriva universitaria (destra, centro e sinistra uniti nell’alienazione corporativa), una categoria di persone, un ristretto numero di scienziati raccolti in centri di ricerca che non hanno vita facile con i governi che ci ritroviamo ad avere, e che studiano, investigano e perfino inventano. Ci sarebbe a volte da discutere sulla moralità delle loro invenzioni (da sempre la stragrande maggioranza degli scienziati è cinicamente a servizio di chi paga le loro ricerche, e questi finanziamenti non sono mai disinteressati e innocenti) ma resta il fatto che perfino in Italia ci sono scienziati di valore, ostinatamente interessati a capire. E alcuni perfino preoccupati del futuro della nostra società, e del futuro del mondo.

Tra le molte cose buone che accadono, nonostante tutto, in Italia, ci sarà dunque da mettere, per cominciare, la ricerca scientifica, o meglio una parte della ricerca scientifica, la più entusiasta e la meno condizionata. Come sempre succede non sono i più bravi - e gli istituti più seri
-  a godere dell’attenzione dei media, ma i più “spettacolari” nel proporsi, sul genere del magnate Veronesi o dell’innocua Levi Montalcini. (Con l’eccezione della Hack, che oltre al resto è anche eccezionalmente simpatica.)

Però, nonostante il contesto, la divulgazione scientifica ha fatto passi da gigante perché una cultura scientifica è lentamente e faticosamente cresciuta, in ragione di una necessità oggettiva che è di tutti; i nostri giovani sono molto più preparati di quanto non lo fossimo noi alla loro età, e hanno a disposizione molti strumenti per aggiornarsi e approfondire, non solo Internet. Per esempio hanno a disposizione la bella, a volte bellissima collana zanichelliana “Chiavi di lettura” diretta da Federico Tibone e Lisa Vozza, il cui sedicesimo titolo mi sembra un modello di cosa dovrebbe essere la divulgazione.

E’ I marziani siamo noi di Giovanni F. Bignami. Estraneo al birignao paternalista della divulgazione televisiva più frequentata, l’autore racconta e ragiona di quel che sappiano del cosmo, della sua origine e del suo destino, rispondendo efficacemente a molti interrogativi che, chinon è alienato dalla bieca quotidianità, un giorno o l’altro deve pur porsi. Appunto: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.

La domanda del libro è: siamo soli nell’universo? Oppure no? Non sto a recensirlo, non saprei farlo e non è nell’intenzione di questa nota, però è una lettura che dovremmo far tutti, almeno tutti gli ignoranti scontenti di esserlo e sopraffatti dalla quotidianità.

Divertente e chiaro, il libro lascia l’ultima parola a Kant, “che aveva intuito che per fare un mondo basta un po’ di materia stellare” e che ha scritto una frase decisiva a cui tornare instancabilmente, per andare avanti con intelligenza e serietà: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me.”

In una prossima puntata di questa rubrica parlerò di un gruppo di insegnanti che si preoccupano di portare alla conoscenza del cielo i bambini e gli adolescenti, Ma sia lode, intanto, sia a chi nonostante tutto continua a occuparsi del cielo, ma anche a chi si occupa dei piccoli, miseri umani a partire da quello stupore e da quella venerazione “kantiani”.


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