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L’ITALIA DEI "DUE PAPI" E LA TEOLOGIA POLITICA LUCIFERINA. L’ideologia della gerarchia cattolico-costantiniana di "Dio" come "Uomo supremo" e l’art. 7 della Costituzione un buco nero che distrugge l’Italia e la Chiesa

"ORCODio", URBI ET ORBI. LA "NUOVA" TEOLOGIA DEI "DUE PAPI" E LA "NUOVA" EVANGELIZZAZIONE DI RINO FISICHELLA - QUELLA DELLA CHIESA CHE RUSSA!!! Una nota di Marco Politi, con contestualizzazione - a c. di Federico La Sala

(...) RINO FISICHELLA è abbastanza giovane dal punto di vista ecclesiastico (è nato nel 1951 ed è stato ordinato nel 1976) ma può ricordare abbastanza bene che questo stile in Parlamento era sconosciuto persino nei momenti più aspri di scontro tra democristiani e comunisti (...)
venerdì 8 ottobre 2010 di Federico La Sala
[...] Monsignor Fisichella non è uno sprovveduto. Ha percorso con determinazione i gradini di una carriera ecclesiastica brillante. Vescovo ausiliare di Roma a quarantasette anni, magnifico rettore della Pontificia università Lateranense a cinquantuno, e nel frattempo anche cappellano di Montecitorio e poi presidente dell’Accademia pontificia per la Vita nel 2008. Fino alla nomina papale, avvenuta
quest’anno, a presidente di un dicastero nuovo di zecca, creato quasi apposta per lui: il (...)

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> LA "NUOVA" TEOLOGIA DEI "DUE PAPI" --- «Li associati a delinquere». La mussolineide di Carlo Emilio Gadda: "Eros e Priapo" senza censura (Salvatore Silvano Nigro)

lunedì 24 ottobre 2016

Carlo Emilio Gadda (1893-1973)

Eros e Priapo senza censura

di Salvatore Silvano Nigro (Il Sole-24 Ore, Domenica, 23 ottobre 2016)

Torna in libreria Eros e Priapo, l’invettiva antifascista, la mussolineide di Carlo Emilio Gadda. Ma non è la ristampa dell’edizione che lo scrittore pubblicò da Garzanti nel 1967. È un’opera nuova, diversa; ancora più furibonda e inesorabile, più intimamente motivata nella complessità dei piani e nella profusione barocca dello scatologico e della deformazione grottesca. L’Eros e Priapo, che Paola Italia e Giorgio Pinotti hanno curato per Adelphi, è la versione originale, con vari stadi di scrittura, conservataci da un manoscritto appartenente agli anni 1944-1945; la redazione prima, «smoderata» dall’«ira» e dalla «rancura», più volte respinta, in ogni suo singolo assaggio proposto alle riviste, a causa dei fuochi matti del dileggio osceno e della manipolazione ingegnosa della lingua (una «contaminazione Machiavelli-Cellini-fiorentino odierno: con inflessioni, qua e là, romanesche e lombarde», nella definizione dello stesso Gadda).

L’edizione Garzanti aveva proposto una versione sedata dell’opera, alla quale si prestò l’autore, coadiuvato nell’operazione dal giovanissimo Enzo Siciliano. Gadda era ormai stanco. Si era arreso alle esigenze degli editori. Accettò di epurare il testo. Mise qualche pudibonda foglia di fico alle parole più sguaiate; e fu così che qualche volta, come nel brano qui proposto, «culo» divenne «sedere». Si rassegnò all’eliminazione delle tante note a piè di pagina che, vere e proprie vampate di vocabolario, fingevano pedanteria e davano sostegno all’organizzazione saggistica dell’opera; e spesso erano occasione di lunatici microracconti, che si aggiungevano alle continue e sbrigliate digressioni narrative del testo.

La tarda edizione garzantiana era sì un pamphlet contro le funerarie priapate del «Predappiofesso», del «Predappiofava», del «Batrace stivaluto», del «Merda» con tanto di ventre «prolassato e incinturato», che dondolava sui tacchi e sulle «gambe a roncola» mentre il coltello gli oscillava alla cintola e la «ventosa labiale» gli andava in boccio per fiorire in «repentino garòfolo». Ma resecò dal manoscritto un brano truce di apocalittica visionarietà: «E se Dio voglia, finisce appeso come Cola, con rivoltate coglia (coi ball per aria, dialetti lombardi)». Il libro Garzanti si apriva con «Li associati» in camicia nera. Il libro Adelphi introduce subito «Li associati a delinquere cui per più d’un ventennio è venuto fatto di poter taglieggiare a loro posta e coprir d’onte e stuprare la Italia».

Eros e Priapo, riportato alla volontà integra dell’autore, muove dal «Gaddus» che dice «io Carlo Emilio», cita le sue opere e si racconta come lettore con le sue preferenze. Gadda è un personaggio del suo libro (a differenza di quanto avveniva nel libro Garzanti che, al posto dell’autore diretto, aveva dovuto inventare la maschera distanziante di Alì Oco De Madrigal). E in quanto ex simpatizzante del fascismo è coinvolto (nudamente) nella bolla narcissica e nella catastrofe storica.

L’edizione curata da Paola Italia e Giorgio Pinotti, ricca di documenti collaterali, e forte di una Nota al testo che è un lungo racconto storico, filologico e critico, di esemplare potenza, si impone anche per il cambio di prospettiva che introduce nella lettura di quest’opera che non è per niente «bizzarra» e vuole farsi leggere (con tutti gli evidenti rimandi freudiani) come un saggio di psicologia delle masse.

Scrivono i curatori: l’opera «si rivela molto più che un pamphlet antifascista (...) è un atto di (auto) denuncia e insieme un’autobiografia nazionale, che indaga le ragioni profonde della storia recente di un intero popolo, dopo aver mostrato lo strazio della sua distruzione materiale e morale, per additare la strada della rinascita (...) Non si tratta di utilizzare la chiave psicanalitica per capire il ventennio fascista, ma di utilizzare il ventennio fascista per capire, attraverso una degenerazione estrema, l’articolarsi del delicato rapporto tra narcisismo individuale e vivere civile. Per capire come le pulsioni dell’io agiscano in tutti i rapporti interpersonali, in tutte le dinamiche collettive, e possano, se non infrenate, portare a vent’anni di fallocrazia alimentata dal delirio di un “ippopotamo idolatra” e dalla incapacità delle masse di arginare la loro propensione all’idolatria narcissica».

Il salvataggio adelphiano è arricchito, nelle due Appendici, dalla riproposta di Avantesti e Riscritture e da una Galassia di “Eros e Priapo”. Non trascuri, il lettore, l’ecfrasi (forse la più bella della letteratura italiana) del Ratto d’Europa dipinto da Paolo Veronese. Si trova incastonata nei Miti del somaro, alle pagg. 295-296: «quella gran tela appunto che celebra il ratto dell’avvenente femmina da parte dello iddio fregolesco. La bella è montata a cavalcioni in groppa del cheratocefalo, (che un ciuffetto gli sbarba giù di tra i corni), opportunamente accosciatosi in nell’erbette per facilitarle quel delizioso inforcar la su’ groppa. Che lui, sotto a quel velluto e a quelle cosce, lui di tutta groppa ne prude e ne gode e rivolge addietro quel musone bicorne: tutto saturo d’una sua premeditante maestà. Ed estromessane cospicua e dilatata polpa di lingua, vaporando cupidità le du’ froge, lecca dal di sotto il di lei roseo piedino: il destro».


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