Il premier e la Chiesa, amici per forza
di Mattia Feltri (La Stampa, 27 settembre 2011)
È trascorso un anno esatto dall’uscita del libro dell’arcivescovo di Trieste, Giampaolo Crepaldi, nel quale l’autore illustrava con precisione i motivi per cui le gerarchie ecclesiastiche tolleravano il libertinaggio berlusconiano: «È (...) più grave la presenza di principi non accettabili nel programma che non nella pratica di qualche militante, in quanto il programma è strategico ed ha un chiaro valore di cambiamento politico della realtà più che le incoerenze personali» (il libro si intitola “Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa”).
Il parere, di per sé molto autorevole, ebbe nella prefazione del cardinale Angelo Bagnasco un insuperabile sigillo di qualità: non restava che alzare le mani. Soltanto pochi mesi più tardi, in occasione della dura prolusione del gennaio 2011, Bagnasco segnalò «un evidente disagio morale». E adesso saranno gli esegeti dei documenti episcopali a indicare quale punto di non ritorno sia stato raggiunto, ma ripensando all’avvento di Silvio Berlusconi nella disputa politica, diciotto anni fa, non si può negare che le cose siano molto cambiate.
Era un Berlusconi, quello, che cercava di accreditarsi in Vaticano coi suoi modi da dopocena, per il tramite delle zie suore o ricordando gli studi dai salesiani o nel collegio dell’Opus Dei, e siccome l’aspirante leader aveva i suoi talenti, andò al nocciolo della questione ricordando sé ragazzino, seduto al convitto Sant’Ambrogio ad abbeverarsi ai racconti dei sacerdoti fuggiti in Italia dai comunisti russi e polacchi. E offrì il trait d’union raccontando d’aver esordito tredicenne alla politica, nel 1948, quando attaccava i manifesti della Democrazia cristiana intanto che qualche ragazzaccio comunista scrollava la scala per farlo cascare giù, e dargli quel che gli spettava. Primi passi eroici (fidarsi sulla parola non è mai stato un problema), praticamente una marcia al rullo di tamburi per una Chiesa che, perduta la Dc, non sapeva a che santo votarsi. A proposito del Partito popolare di Mino Martinazzoli, il vaticanista Sandro Magister avrebbe poi scritto che «mai il grosso dell’elettorato democristiano, modernizzante, pragmatico, soprattutto del Nord, avrebbe potuto continuare a votare un gruppo dirigente fattosi all’improvviso puritano, pauperista, giacobino, satellite di comunisti e postcomunisti».
Per Berlusconi è già un grande successo che in pubblico il presidente della Conferenza episcopale italiana, Camillo Ruini, lo accolga senza manifesti pregiudizi, a differenza del resto del mondo, e tenga la celebre linea dell’equidistanza nel 1996, quando a capo del centrosinistra c’è Romano Prodi, cattolico dossettiano di cui Ruini ha celebrato il matrimonio.
Durante il quinquennio dell’Ulivo, la Chiesa sottolinea le sue aspettative sulla scuola, sulla famiglia, sulla difesa della vita, ma trova molti più interlocutori all’opposizione che al governo e prende posizione senza infingimenti (tanto che il segretario dei popolari, Franco Marini, sostiene che l’Avvenire sembra l’house organ di Forza Italia). Eh sì, è nato un fruttuoso sodalizio.
Da lì in poi per Berlusconi è stata una cavalcata al fianco dei porporati d’Italia (e difatti si racconta della premonizione offerta da Ruini a Prodi, che sarà usato «dai comunisti» e poi gettato come un cencio). Dopo le leggi ad personam, la produzione più massiccia dei governi di centrodestra riguarda le norme care al Vaticano, quelle varate e quelle bloccate. Sono i famosi «principi non negoziabili» attorno i cui si stringe un’alleanza ferrea. E nemmeno tanto campata in aria visto che nel 2005, ai referendum sulla procreazione assistita e sulla produzione degli embrioni, ottiene l’annullamento della consultazione per mancanza di quorum: un successo evidente.
E due anni dopo il trionfo è del Family Day a piazza San Giovanni a Roma, una manifestazione contro i Dico, cioè le unioni di fatto sia fra eterosessuali che fra omosessuali. Lo straordinario è che si tratta di un corteo di cattolici contro la cattolica Rosi Bindi (che ha firmato la legge insieme con la ex comunistaBarbara Pollastrini), ed è un corteo che ottiene il risultato di imbarazzare il centrosinistra, visto che in strada, insieme con Berlusconi, scendono cattolici vicini a Prodi come Savino Pezzotta, Clemente Mastella e Giuseppe Fioroni: la rivendicazione di un cattolicesimo adulto avanzata dal premier viene bruscamente ed efficacemente respinta.
E dunque niente procreazione assistita, niente Dico (o Pacs o altro), sì alle agevolazioni fiscali, finanziamenti alle scuole, qualche sterile ma gradito distinguo sull’aborto: il centrodestra non molla l’osso ed è una falange nel caso di Eluana Englaro e nei pasticci successivi che impantanano una legge annunciata in quarantotto ore, e ancora oggi in studiata fase di pre-elaborazione.
Quello raccolto da Silvio Berlusconi è un credito inestimabile al punto che, quando racconta una barzelletta contenente una rotonda bestemmia, monsignor Rino Fisichella si immola e sostiene che il nome di Dio si può pronunciare invano: talvolta dipende dal contesto. Ed è proprio il problema del contesto, ora, a vanificare tanti meriti conquistati in battaglia.