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PSICOANALISI E RELIGIONE (SAPERE E ILLUSIONE). IL PROBLEMA DEL POTERE DELL’ANIMA (E DELL’ANIMA DEL POTERE), DELLA CREATIVITA’ (E LEGALITA’ E ILLEGALITA’).

FANTASIA, ATTENZIONE, IMMAGINAZIONE: L’ANIMA E LA RICERCA INTERIORE (E NON SOLO). Alcune pagine dall’ultimo saggio di James Hillman - a cura di Federico La Sala

Solo un’attenzione devota e fedele può trasformare la fantasia in immaginazione.
giovedì 7 ottobre 2010 di Federico La Sala
[...] Questa attenzione fedele al mondo immaginale, questo amore che trasforma le pure immagini in presenze, fa di esse degli esseri viventi o, per meglio dire, rivela che l’essere vivente che naturalmente contengono non è nient’altro che la «ri-mitologizzazione». I contenuti psichici diventano «poteri», «spiriti», «dèi». Sentiamo la loro presenza, come la sentivano in passato tutte le persone che avevano ancora anima. Queste presenze, questi poteri, sono i nostri equivalenti (...)

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>Hillman inedito: "Psicologia alchemica". Un libro esoterico e un grande viaggio nei colori (di Luciana Sica)

martedì 18 giugno 2013

Hillman inedito

-  Un libro esoterico e un grande viaggio nei colori. Torna la voce dell’eretico studioso dell’anima
-  Il nero della Nigredo, il bianco dell’Albedo ma anche il mistero del blu nei ricordi di un genio musicale

di Luciana Sica (la Repubblica, 18.06.2013)

      • IL LIBRO Psicologia alchemica è una raccolta di saggi di James Hillman (Adelphi, traduzione di Adriana Bottini, pagg. 444, euro 35)

Emoziona riascoltare la voce di James Hillman, l’avventura del suo pensiero imprevedibile, la sua scrittura coltissima ed elegante. È un viaggio nei colori Psicologia alchemica (Adelphi), un libro esoterico e ammantato di mistero, ma laico per non dire pagano, privo di ogni deriva spiritualista.

Non molto tempo prima di morire nell’ottobre di due anni fa, lo stesso Hillman ha raccolto gli articoli e gli interventi scritti tra il ’77 e il 2004 sull’alchimia, un tema di decisa derivazione junghiana. Per sua scelta, il libro è uscito nel 2010 da Spring, l’editore americano che sta pubblicando tutta l’opera hillmaniana. Ma da noi era inedito, tranne il capitolo su L’azzurro alchemico e la unio mentalis.

È l’anima che cambia colore, la sofferenza può avere tonalità molto diverse. Come il blu che con il suo presagio d’argento tende a liberarsi dall’oscurità, e somiglia tanto alla tristezza che emerge dalla disperazione. O come la volta del caelum che consente la perdita di sé in un’estasi della mente.

Qui sorprende la lunga citazione dall’Autobiografia di Miles Davis, la devozione di Hillman per quel genio musicale e anche la sua competenza in fatto di jazz. Il primo ricordo del grande trombettista - aveva tre anni - è legato a «una fiamma blu che saltava fuori da una stufa», a emozioni fortissime come il calore così vicino alla faccia e la paura più profonda, ma anche un senso d’avventura e una gioia selvaggia: «Ho sempre pensato e creduto fin da allora che i miei movimenti avrebbero dovuto spingersi in avanti, oltre la sommità di quella fiamma».

Incantato dall’esperienza infantile del musicista, Hillman ragiona sull’attrazione di Miles Davis per quella fiamma di un colore imprevisto. La vede come una sfida ad affacciarsi sull’orlo «con il suo uso inventivo della sordina, gli a solo come se “pensasse” la musica, i titoli dei suoi pezzi migliori, Kind of Blue, Blue in Green... ». Ma da Novalis a Goethe, da Proust a Cézanne, tante storie si intrecciano prima di arrivare alla conclusione - con Merleau-Ponty - che la coscienza satura di azzurro illimitato è il cielo stesso. È unus mundus.

Prima di ogni altro colore, c’è comunque l’assolutezza del nero - della Nigredo - che costituisce la base dell’opus alchemico e spesso un passaggio obbligato dell’opus analitico. Quando a prevalere è la voce del corvo, si è impigliati nella rete traumatica del passato e in una dolorosa unilateralità del pensiero, alla base di ogni nevrosi. Lo spirito nero che abita il mondo depressivo della notte va allora “decapitato”, con un gesto netto che libera l’anima dalla sue cupe identificazioni, come del resto indicava già Jung. La decapitazione è la risposta degli alchimisti alla “seduzione del nero”: è una ritrovata capacità di separare, di compiere distinzioni.

È solo allora che la Nigredo potrà cedere il passo all’Albedo, il pallore della Luna nel simbolismo cromatico dell’alchimia, il bianco con la sua luminosità, il colore dell’analisi. Una meta sembra raggiunta, una modalità più impersonale di pensare e di immaginare, senza coincidere con l’esperienza soffocante dell’identità. È uno stato che non desidera altra luce, altro calore: per dirla con Hillman che cita Figulus, l’erede di Paracelso: «La materia, portata a bianchezza, rifiuta di essere corrotta». E invece a imporsi sarà proprio la corruzione, altra parola-chiave dell’alchimia che - in un’accezione nient’affatto negativa - indica la possibilità del cambiamento, anche il pericolo di regredire o invece di affrettare il passo.

Il viaggio continua e Hillman - d’accordo con gli alchimisti sconsiglia di precipitarsi nell’irrossimento della Rubedo, termine che allude solo con apparente chiarezza a una più sanguigna colorazione dell’anima.

Qui siamo in piena “opera al giallo”, in un capitolo stupefacente, con un post- scritto dell’autore datato ottobre 2009. Se il giallo ha connotazioni negative come la codardia e la gelosia, ne ha anche di solari come il grano, i fiori primaverili, il miele... In più, da Edgar Allan Poe a Van Gogh, a Kandinskij, nel campo dell’arte la pazzia si colora di giallo. Ma questa doppia polarità non consente di cogliere «l’importanza del giallo per una psicologia che sia alchemica».

Il punto è un altro: se il bianco rifiuta di essere corrotto, rischia di rimanere uno stato astratto, “morto”. Sarà l’ingiallimento a infondere vita, a rappresentare simbolicamente una “resurrezione” (citrinatio est resuscitatio).

Alla mente ingiallita non basta più la coscienza imbiancata, la consapevolezza, perché si contamina con lo sporco del mondo, riconosce la complicazione delle emozioni. Quando è il giallo a insinuarsi, «ci sentiamo più acutamente vivi »: usciamo dai recinti della soggettività, più fuori di noi, più dentro l’Anima Mundi.

A Hillman non interessa però l’alchimia come un manuale di istruzioni da adattare alla psiche. A catturarlo è il suo linguaggio metaforico - fluido e oscuro - così vicino alla base poetica della mente, così distante dalle «parole prosciugate del loro sangue». Anche con insofferenza per certe concettualizzazioni che vorrebbe “deletteralizzate”, tanto da scrivere con amabile sfrontatezza: «“l’Io” e “l’Inconscio”... Chi li ha mai incontrati, se non nei libri di psicologia?». Una boutade da fuoriclasse che farà tanto arrabbiare alcuni geometri della psiche.

Ma non Luigi Zoja, grande nome dello junghismo e grande amico del fondatore della psicologia archetipica: «La prima volta l’ho incontrato allo Jung Institut di Zurigo, era il ’68. L’ultima volta a New York, nel 2009... È un percorso eccentrico il suo, ma rigoroso, comunque segnato dalla scelta a poco più di sessant’anni di non fare più analisi individuali. È Hillman a dirlo con la relazione che tiene al congresso di Parigi dell’89, ora in Psicologia alchemica. Da allora, l’anno della sua svolta, l’ho sempre visto come un sublime narratore dell’anima, con l’idea che la psicoanalisi debba smetterla di contemplarsi allo specchio e invece guardare alla finestra, affacciarsi sul mondo... Non è però mai stato un saggista pop e lo dimostra questo libro a tratti impossibile, di così evidente impronta junghiana».

Il grande eretico, il traditore del maestro, alla fine della sua vita torna alle origini, all’amato-odiato Jung. Non a caso il suo estremo lascito sarà un libro Sulle immagini, scritto con Silvia Ronchey, a partire dalla celebre visione di Jung nel 1913 al mausoleo di Galla Placidia di Ravenna (uscirà da Rizzoli il prossimo anno). Restando nel mood alchemico, le scelte di Hillman fanno venire in mente l’Ouroboros, quel serpente che si morde la coda, un simbolo molto antico per rappresentare l’eterno ritorno, la natura ciclica delle cose, un processo che una volta concluso è destinato a ripetersi.


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