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ESTETICA (E NON SOLO) E DEMOCRAZIA. PER LA CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO E DELLA CREATIVITÀ DELL’ "UOMO SUPREMO" (KANT).

CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico. Una nota di Federico La Sala

(...) È solo con Kant - scrive Hogrebe - che emerse veramente ciò che può essere definito un problema della costituzione; il problema cioè di fornire una serie di regole e di definirle come il quadro nell’ambito del quale sono in generale empiricamente possibili le operazioni cognitive (...)
venerdì 19 aprile 2024
"UN UOMO PIÙ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO"
LE DUE METÀ DEL CERVELLO. Il linguaggio del cambiamento
AL DI LÀ DELLA LEZIONE DI PAOLO DI TARSO (E DELLA SUA COSMOTEANDRIA): "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [gr. ἀνήρ, (...)

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> CREATIVITA’: KANT --- Vico è con noi, ma solo con una parte della sua Scienza nuova(di Renato Barilli - Vico e il rilancio della retorica)

lunedì 14 gennaio 2013

Vico e il rilancio della retorica

      • Esce un’edizione filologica della sua «Scienza nuova» Non convince l’idea di accostarlo a Heidegger o a Walter Benjamin rispetto a Hegel e Croce

      • Un’occasione per riflettere sull’attualità del filosofo accostandolo per esempio al giurista belga Charles Perelmann che predica una «nuova teoria dell’argomentazione»

di Renato Barilli (l’Unità, 14.1.13)

LA BOMPIANI CI HA OFFERTO LA SCIENZA NUOVA DI GIAMBATTISTA VICO IN UN VOLUMONE (PAGINE 1.318, EURO 30,00) CHE COMPRENDE LE TRE EDIZIONI successive del capolavoro del filosofo napoletano, 1725, 1730, 1744. Nulla da dire sull’aspetto filologico dell’impresa, curato da una studiosa qualificata come Manuela Sanna.

Il punto che qui ci interessa è di chiederci se e quanto l’opera famosa può godere ancora oggi di attualità, come del resto deve essere per ogni capolavoro. È da accantonare la vecchia interpretazione dovuta al Croce, che pretendeva di fare del Vico un antesignano dell’idealismo, cioè di una posizione che dà al soggetto umano la facoltà di creare la realtà, secondo la via impostata soprattutto da Hegel. Si è tentato di rilanciare una eventuale attualità del pensiero crociano, approfittando dei 110 anni dalla sua morte, ma con esiti assai dubbi.

D’altra parte, il modo migliore per accordare al pensiero del Vico una rinnovata attualità non pare consistere nell’agganciarlo a nuovi idoli dei nostri giorni, come fa l’altro curatore del volume Bompiani, Vincenzo Vitiello, con una maxi-introduzione di ben 180 pagine.

Non ritengo che sia un grande vantaggio se da Hegel e Croce passiamo agli a mio avviso ugualmente impropri Heidegger e Walter Benjamin. La via migliore per fornire un Vico ancora «con noi» mi sembra debba battere altre strade, indirizzandosi per esempio verso una figura, se si vuole, di basso o medio profilo come quella del giurista belga Charles Perelmann, da cui è pervenuta, alla metà del secolo scorso, una accanita predicazione a favore del rilancio della retorica, ovvero di una «nuova teoria dell’argomentazione».

Del resto, non dimentichiamolo, Vico fu prima di tutto un docente di retorica, considerata allora, fine Seicento, come una materia alquanto modesta, da cui non riuscì neppure ad accedere al livello superiore della giurisprudenza. Ma nella difesa dell’ancella del sapere sta forse il significato principale di tutta la sua predicazione, che lo vide combattere accanitamente contro una sua cancellazione radicale minacciata da Cartesio e seguaci.

Dentro il nostro «cogito» il Renato francese credeva di ritrovare solo i rigori di una «mathesis universalis», numeri, geometria, tra cui le famose coordinate, pronte a recepire nei loro registri l’intero corpus della geometria euclidea. Di fronte a tanto rigore, impallidivano i pregi pur secolari delle discipline incerte e vaghe care agli umanisti, le vie dubbie dei dibattiti giuridico e politico, l’oscillazione dei giudizi estetici, legati a fattori momentanei e personalistici. Insomma, in una «scienza nuova» o moderna che si volesse dire, non trovava posto la retorica, troppo flessibile ed elastica, regno del vago e dell’incerto.

Ricordiamo subito che una simile lotta tra le «due culture» si è riaccesa proprio un secolo fa, quando si è istruito un processo contro le discipline umanistiche, declassate, ritenute indegne di partecipare allo statuto della scienza. La cosiddetta filosofia analitica ha battuto queste strade, trovando poi il forte appoggio della linguistica e della semiotica, con la loro pretesa di «raddrizzare le gambe ai cani». Roland Barthes ci ha provato perfino con la moda.

Contro tutte queste manovre punitive, si è levato appunto Perelmann, il Vico dei nostri giorni, a farci riflettere che ci sono ambiti della massima importanza per l’uomo, i tre già ben visti nei secoli da tutti i difensori della retorica, il politico, il giudiziario, l’estetico, in cui non è possibile raggiungere una verità perentoria, ma ci si deve accontentare del probabile, tentando di persuadere gli avversari a colpi di argomentazione, appoggiata anche a qualche incanto verbale, e alla forza dell’esempio, del caso concreto.

AMMIRATORE DI CARTESIO

Vico era un ammiratore di Cartesio e del suo metodo di fondazione rigorosa, ma voleva che esso riguardasse anche il campo del probabile, da qui l’innalzamento della retorica a un valore assoluto, da tutelare, da proteggere. Dentro di noi, non troviamo solo le vie dell’analisi «more geometrico», ma anche del dibattito probabilistico.

Nello stesso tempo Vico avvertiva pure la forza dei tempi, allora del tutto a favore del razionalismo, secondo una gerarchia che appunto collocava molto in basso la povera e titubante retorica, e allora accettò questo degrado, rivendicò sì il diritto della retorica a sedersi alla mensa superiore della logica e della matematica, ma mettendosi comunque in un angolino, come del resto accadeva allora ai precettori se ammessi alla tavola dei signori.

È giusto che la prima tappa del processo educativo sia affidata a coltivare i sentimenti, le emozioni, la poesia, di cui la retorica è valida amministratrice. Ma poi viene l’età adulta dei ragionamento analitico, e allora l’imprecisione della retorica deve scomparire.

Questa collocazione «in basso» della vita emozionale è il motivo di cui l’idealismo romantico si impadronirà, l’aspetto nel Vico-pensiero che darà ragione a Croce nel volerlo additare come un suo precursore. Ma è anche l’impostazione da cui oggi abbiamo dovuto liberarci, sollevando il regno del dibattito retorico dalla sua collocazione degradata, portandolo a competere alla pari con le armi analitiche delle scienze fisico-matematiche. Vico è con noi, ma solo con una parte della sua Scienza nuova.


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