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ESTETICA (E NON SOLO) E DEMOCRAZIA. PER LA CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO E DELLA CREATIVITÀ DELL’ "UOMO SUPREMO" (KANT).

CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico. Una nota di Federico La Sala

(...) È solo con Kant - scrive Hogrebe - che emerse veramente ciò che può essere definito un problema della costituzione; il problema cioè di fornire una serie di regole e di definirle come il quadro nell’ambito del quale sono in generale empiricamente possibili le operazioni cognitive (...)
venerdì 19 aprile 2024
"UN UOMO PIÙ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO"
LE DUE METÀ DEL CERVELLO. Il linguaggio del cambiamento
AL DI LÀ DELLA LEZIONE DI PAOLO DI TARSO (E DELLA SUA COSMOTEANDRIA): "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [gr. ἀνήρ, (...)

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> CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. -- DONNE E UOMINI, POLITICA. «Il contratto sessuale». Note sui lavori di A. Buttarelli, L. Lerro, e C. Pateman.

lunedì 16 maggio 2016


Blog, Maschile/Femminile, DONNE E UOMINI, POLITICA 29 settembre 2013

Sovrane e libere dal potere

di Marina Terragni *

      • Annarosa Buttarelli, Sovrane. La libertà femminile al governo (il Saggiatore, pp. 238, € 18,00)

Ogni anno a Kathmandu, Nepal, nel corso di una solenne cerimonia, la dea-bambina Kumari è chiamata a rilegittimare con la sua superiore autorità il potere del Presidente della Repubblica laica.

Non è raro che sia una fanciulla a incarnare l’idea di una sovranità più alta di ogni potere. Una vergine, ovvero non ancora compromessa con l’ordine simbolico maschile, capace di un’autorità che non è dominio e di una potenza che non è violenza. Come la «nostra» Maria, come Agata e le altre sante celebrate con processioni e «cannalore».

Nel suo ardente Sovrane la filosofa Annarosa Buttarelli ragiona su quest’altra idea di sovranità, ben più antica della potestas che ha orientato l’assolutismo monarchico e la democrazia rappresentativa. Idea che i riti, prevalentemente maschili, custodiscono e a un tempo esorcizzano: finita la festa, gabbate le sante, che sono rimesse a tacere.

Si tratta, invece, di onorare il debito con le «sovrane» lasciandole parlare, e fare. Di intraprendere un nuovo inizio della convivenza umana che tenga conto della differenza femminile.

Si tratta di «ripartire dalle origini dei processi e, se queste origini si rivelassero infauste, trovare la forza e l’intelligenza necessaria per crearne altri differenti». Cominciando con il «togliere definitivamente dalla rimozione ciò che è accaduto del 403 a. C. ad Atene», anno e luogo di nascita della democrazia: ciò che lì fu rimosso è il «due» che siamo, uomini e donne ritenute «parenti acquisite» e rinchiuse nel privato. Non aver tenuto conto dei corpi e dei pensieri delle donne, e della fonte della loro autorità, è ragione di ogni altra ingiustizia, che non può essere sanata se non confidando in una «conversione trasformatrice».

Nel saggio, scritto con arendtiano "amor mundi" e l’intento di orientare l’azione politica qui e ora, molti esempi di sapienza al governo: Cristina di Svezia, Elisabetta I d’Inghilterra, Ildegarda di Bingen. Inaspettatamente, anche la derelitta Antigone: sovrana, lei? E di che cosa? In lei il principio di sovranità si mostra purissimo nell’amore radicale per una verità che esiste «da sempre: la vita con le sue leggi e la sua trascendenza, le relazioni di cui abbiamo bisogno per vivere e la condizione umana calata in un cosmo che impone spesso un suo ordine». Antigone non contro la legge, ma sopra - sovrana -, nell’ordine di ciò che è «eterno, universale e incondizionato» (Simone Weil), immersa nel mistero della «struttura che connette», come la chiamerà Gregory Bateson, e da cui la politica di oggi sembra prescindere.

La logica inclusiva della parità e delle quote, scrive Buttarelli, è poca cosa: la posta in gioco «non sono i posti di potere», ma «la decisa dislocazione della sovranità dal potere». In particolare, le donne si mostrano estranee al concetto di rappresentanza, per affidarsi alla pratica delle relazioni reali. Portare la sapienza al governo significa portarvi questa competenza relazionale e attenersi in ogni atto al primato della vita.

Due esempi di questo governare che non è rappresentare: la vicenda delle operaie tessili di Manerbio, Brescia, che tra gli anni Ottanta e Novanta affrontarono la crisi della fabbrica rifiutando la rappresentanza sindacale e portando l’amore - tra loro stesse, per i loro prodotti, per chi li comprava - al tavolo di trattativa. E quella di Graziella Borsatti, sindaca a Ostiglia, Mantova, tra il 1991 e il 2004, che saltando l’astrazione della rappresentanza e mettendo in campo relazioni concrete, fece della sua giunta e di tutta la città una «comunità governante», orientata dal proposito di «disfare il potere e agire il benessere»: primum vivere.

Presentando Sovrane al Festivaletteratura di Mantova, Stefano Rodotà ha parlato di «fondazione di un pensiero» e ha ammesso di avere «imparato molto». Gli rispondono idealmente, invitando a una nuova politica da subito, le parole con cui Buttarelli chiude il saggio: «Se il meglio è accaduto a Brescia e a Ostiglia può accadere ancora, oggi e ogni volta che sarà necessario».

(pubblicato oggi su La Lettura-Corriere della Sera)


LO PSICOANALISTA E LA CITTA’ Riflessioni sulla vita contemporanea

SOVRANE E PUTTANE

di MASSIMO RECALCATI (Psychiatry-on-line)

Due libri recenti e molto diversi tra loro offrono ritratti opposti della femminilità: nel primo, titolato Sovrane, edito da Il Saggiatore, Annarosa Buttarelli - filosofa e femminista - s’impegna a ricuperare le tracce di una pratica femminile del governo, mentre nel secondo, quello di Lucrezia Lerro, già nota per romanzi di un certo successo come Certi giorni sono felice o Il rimedio perfetto - titolato La confraternita delle puttane, edito da Mondadori, emerge un universo di disperazione e di morte dove il destino delle donne appare segnato da una solitudine senza speranza.

Si tratta di due testi che sembrano meditare attorno a quel rifiuto della femminilità messo a tema da Freud. Un destino di rimozione colpisce il femminile non solo nella società patriarcale, ma nelle vicissitudini più profonde della vita psichica, sottraendogli ogni diritto di cittadinanza. È precisamente contro questa rimozione che Annarosa Buttarelli lotta a viso aperto. Ecco la posta in gioco del suo lavoro: è possibile dare voce a una filosofia e a una pratica femminile della democrazia che si emancipi dalla «storia monosessuata maschile delle istituzioni politiche d’Occidente?». Domanda che - secondo l’autrice - si rende necessaria constatando come «tutte le cose “maschie” sono oggi in agonia o già morte - Stato, famiglia dell’uomo che porta a casa il pane, matrimonio esclusivo tra uomo e donna, democrazia rappresentativa, polis, solidarietà di classe, salari, divisione privato-pubblico». Esiste una narrazione solo maschile della sovranità che s’incarna nell’autorità del pater familias come nella democrazia rappresentativa e che esalta l’universale della Legge contro il particolare della vita.

Diversamente, la sovranità femminile si esercita «non contro ma sopra la Legge» prendendosi cura della vita nella sua particolarità.

È il concetto stesso di rappresentanza che viene qui messo in discussione. Non si tratta di riabilitarne la funzione, ma di cogliere nella sua crisi attuale l’apertura ad un’altra pratica di governo. Nelle donne - continua il ragionamento della Buttarelli - esiste una sensibilità affettiva che intende il governare non come rappresentanza di un’altra volontà - della Nazione, dello Stato, del popolo - ma come esercizio di una cura fondata sul «primato assoluto della relazione». Dall’Antigone di Zambrano, alla regina Elisabetta, da Hannah Arendt a Carla Lonzi, dalla dea bambina Kumari alla scrittrice Anna Maria Ortese, da Chiara di Assisi alla sindaca di Orsiglia Graziella Borsatti, l’autrice convoca i testimoni di questa «democrazia senza rappresentanza» capace di dare luogo a un economia non vincolata all’assillo dell’utilee del profittoea una vita politica non preoccupata di unificare le differenze quanto piuttosto di esaltarle. Ne scaturisce un libro che può essere un contributo importante nell’attuale dibattito politico impegnato a ripensare le ragioni della nostra vita insieme.

Il testo di Lucrezia Lerro ci offre invece un’altra visione del femminile che completa, come in un contrappunto tragico, il libro della Buttarelli: dalle sovrane alle puttane. Si tratta di un romanzo scritto con il consueto stile asciutto e ricco di una poesia che scaturisce dall’attenzione al dettaglio delle cose e al peso delle parole. Ambientato in un claustrofobico paesino del profondo Sud nel corso degli anni Ottanta, dove domina il fantasma maschilista che vuole le donne «tutte puttane», ritrae le ambizioni di giovani donne dalle condizioni sociali umili, esposte ai miti consumistici di quegli anni, prive di prospettive se non quelle di farsi sposare da qualche soldato della vicina postazione militare della Nato o dai giovani più benestanti del paese.

Tuttavia questa rincorsa alla propria sistemazione che sfiora il cinismo più disperato e l’abbrutimento di sé, cela il vero tema del libro che è quello del fallimento dell’eredità. È il destino afflitto e sconfitto delle madri e dei padri a non trasmettere nulla alle loro figlie. Le sovrane lasciano qui il posto al loro rovescio: all’apatia e alla distruzione di sé. Schiacciate dall’arroganza e dall’ignoranza machista queste madri sembrano plasmarsi sul fantasma che le umilia. Lerro entra con grande sensibilità nelle pieghe del rapporto devastante tra madre e figlia. È la rassegnazione delle madri a non permettere la trasmissione del sentimento della vita e del desiderio. Tutto appare come un grande e spettrale aborto: la vita appassita trasmette morte senza vita. Com’è possibile per una figlia non replicare l’infelicità materna? Non lasciarsi contagiare dall’apatia e dalla tendenza alla flagellazione? Non credere che la sola cosa che conti in una donna sia «farsi sposare»? Nella dedica, come un gesto liberatorio, si legge: «A mia madre che non mi ha impedito di partire». Essa ci rivela il dono più grande della genitorialità: sapere perdere i propri figli, saper stare dalla parte dei loro sogni.


Storie congetturali che raccontano l’inaudito

SAGGI. «Il contratto sessuale» di Carole Pateman pubblicato per Moretti&Vitali. I fondamenti nascosti della società moderna in un libro che dopo quasi trent’anni fa ancora discutere

di Alessandra Pigliaru (il manifesto, 14.05.2016)

Dare conto di ciò che Carole Pateman ha prodotto in relazione al pensiero politico moderno è decisivo. Al centro di numerose discussioni pubbliche, sia accademiche come docente al dipartimento di Scienze Politiche dell’università della California, sia politiche per le sue caustiche critiche alla democrazia liberale, tra i molti volumi e interventi che ha scritto nel corso della sua lunga vita soltanto uno è stato tradotto in italiano. Unico però, in tanti sensi - di cui il primo è l’aver costituito un punto di non ritorno. Si tratta di The sexual contract, pubblicato nel 1988 (Stanford U.P.) e tradotto per la prima volta in Italia nove anni dopo (Editori riuniti). Ormai nel dimenticatoio dei tanti «fuori commercio», è allora più che lodevole la sua recente ristampa.

Il contratto sessuale (Moretti&Vitali, pp. 339, euro 21, traduzione di Cinzia Biasini, collana «Pensiero e pratiche di trasformazione») è pietra miliare della teoria politica contemporanea, così scrive Olivia Guaraldo nell’ottima introduzione di questa nuova edizione, inquadrando il lavoro che Carole Pateman ha condotto non solo sotto il rilievo del dibattito femminista, ma anche nel senso di inaggirabilità che ha assunto nella scolarship internazionale da parte di chi si occupa di contrattualismo. A osservare la diversità di ricezione in Italia e all’estero, non potrà sfuggire che in altri paesi del mondo le ristampe sono proseguite costanti in questi decenni.

L’inganno iniziale

La discontinua ricezione de Il contratto sessuale ne perimetra tuttavia la circolazione, tracciando il terreno in cui hanno attecchito le tesi di Pateman, ovvero quasi esclusivamente nell’ambito della riflessione del pensiero della differenza sessuale (di cui l’esito più recente in merito è Sovrane, di Annarosa Buttarelli per Il Saggiatore). Avere l’occasione di rileggere un testo simile significa oggi ribadire con forza intanto la tesi iniziale, e cioè che esiste un momento precedente al contratto sociale - così chiaro nello stesso titolo - che non è stato compreso dai teorici sei-settecenteschi (Hobbes, Locke, Rousseau e poi lo stesso Kant) quando si sono prodigati dapprima a stabilire l’esistenza di quel patto secondo loro originario - e poi a descrivere con minuziosa tenacia le forme della vita associata. Tornare a Pateman non è solo consigliabile a chi desidera rispolverarne il tenore teorico-pratico.

Assistere allo svelamento dell’inganno iniziale vuol dire stanare il rimosso, misurarsi con una radicalità che può costruire un ragguardevole equipaggiamento per leggere il presente. La storia «congetturale» a cui si affida Pateman serve certo all’avanzamento rivoluzionario della sua tesi; al contempo e per converso, dispone anche la cifra di ciò che è stato «il racconto più autorevole dell’età moderna».

Molti sono allora gli elementi da rimarcare della conquistata libertà civile. Intanto non è universale, visto che il contratto originario istituisce sia la libertà che il dominio, bensì ha un attributo maschile e dipende dal diritto patriarcale.

E se massiccia è stata la decostruzione operata da Pateman intorno alla radice democratica moderna, individualista e proprietaria, la narrazione ha a che fare con la genesi del diritto politico inteso come «diritto patriarcale o diritto sessuale, ossia in quanto potere che gli uomini esercitano sulle donne»; da qui viene proposta la tesi secondo cui il contratto sessuale si mantenga su un patto tra fratelli, un «fratriarcato». Seguendo la lezione di Adrienne Rich, anche Pateman si posiziona nella certezza che esista una «legge del diritto sessuale maschile». Tale diritto è, sostanzialmente, quello coniugale.

Assunzioni materiali

Eppure, se nella separazione tra contratto sociale e contratto sessuale si viene a delineare una precisa rappresentazione (il primo è tangente alla sfera pubblica e il secondo alla sfera privata), ignorando la metà della storia si cade facilmente in equivoco. Alla fine degli anni ‘80, cioè quando Pateman scrive, ha in mente di fare luce sulle strutture istituzionali di Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti per chiarire come, attraverso l’interezza della storia del contratto originario, si verifichino comunanze patriarcali insospettabili.

In questa direzione, l’autrice analizza diversi tipi di contratto, da quello di matrimonio, disossato in verità da numerosi contributi soprattutto da parte di teoriche femministe, a quello di lavoro, come anche quello che viene a definirsi tra prostituta e cliente. Tutte assunzioni che andrebbero discusse, e che infatti lo sono state possibilmente piegandole ai vari contesti, transitori e pur sempre materiali. Se i contratti presi in esame sono connotabili da iter che ne prevedono regolamentazioni o proibizioni da parte della legge, è chiaro come si tratti di particolari forme ascrivibili alla proprietà che si ritiene ciascuno e ciascuna abbiano sulle proprie persone. Ciò nonostante, «il contratto sessuale è il mezzo attraverso il quale gli uomini trasformano il proprio diritto naturale sulle donne nella sicurezza civile patriarcale».

Contingenze complesse

A restituire gradi di attualità che il testo non solo conserva ma intuisce con puntuale efficacia, il riferimento è a una clausola su cui Pateman si sofferma alla fine del settimo capitolo e che è da tenere presente nel contratto sessuale: la maternità surrogata, definita «una nuova forma di accesso e di uso del corpo femminile da parte degli uomini».

Questo per dire come il dibattito intorno alla «surrogazione», fosse il caso di tenerlo a mente quando imperversa spesso non privo di strumentalità e costruzione di blocchi identitari, aveva assunto già alla fine degli anni ‘80 una declinazione cruciale. Il caso sollevato da Pateman accenna alla celebre sentenza disposta dalla corte del New Jersey (1986 ma in due fasi e l’una contraddittoria rispetto l’altra) passata poi alla storia come «il caso Baby M.» in cui la «madre surrogante» cambiò idea e decise di non separarsi più dalla bambina. Se il carattere vincolante dello statuto giuridico di questi contratti poneva infatti delle questioni complesse in uno scenario come quello in cui già diverse erano le agenzie aperte per la surrogazione, venivano già dettagliati numeri rispondenti a profitti precisi, differenziando circa il legame tra accordi commerciali o non commerciali con la relativa soglia di legalità e liceità o meno secondo i paesi.

Ciò che viene messa a tema è però la domanda iniziale, quella secondo cui a essere in gioco sia una semplice prestazione. Da un punto di vista contrattuale infatti è puramente accidentale che la prestazione attenga o meno a questo o a quell’oggetto, così come trascurabile è il fatto che ciò che viene prodotto sia un bambino, una bambina. Su questo punto, come per altri su cui Pateman si sofferma, Il contratto sessuale è un volume ancora incandescente che vale la pena di essere rimeditato.


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