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ESTETICA (E NON SOLO) E DEMOCRAZIA. PER LA CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO E DELLA CREATIVITÀ DELL’ "UOMO SUPREMO" (KANT).

CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico. Una nota di Federico La Sala

(...) È solo con Kant - scrive Hogrebe - che emerse veramente ciò che può essere definito un problema della costituzione; il problema cioè di fornire una serie di regole e di definirle come il quadro nell’ambito del quale sono in generale empiricamente possibili le operazioni cognitive (...)
giovedì 28 marzo 2024
"UN UOMO PIÙ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO"
LE DUE METÀ DEL CERVELLO. Il linguaggio del cambiamento
AL DI LA’ DELLA LEZIONE DI "ANDROLOGIA" DI PAOLO DI TARSO: "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [gr. ἀνήρ, (...)

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>LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. -- Lo Sciopero Internazionale delle Donne. Lo sguardo di Selma James. Interv. di G. Colotti.

sabato 25 marzo 2017

Lo sguardo di Selma James

Intervista. La storica femminista, coordinatrice internazionale del Global Women’s Strike

di Geraldina Colotti (il manifesto, 24.03.2017)

Selma James è la coordinatrice internazionale del Global Women’s Strike (Sciopero Globale delle Donne), la cui strategia per il cambiamento è «investire nella cura della vita, non nella morte».

È co-autrice di Potere Femminile e Sovversione Sociale. Il suo libro più recente è Sex, Race and Class, (Pm Press, Usa e The Merlin Press nel Regno Unito). L’attività di Selma ha per base il Crossroads Women’s Centre a Londra.

Una lunga storia di femminismo. Quali sono stati gli assi di riflessione più importanti?

Sono entrata nel gruppo giovanile del Workers Party, quando avevo 15 anni, in parte perché mia sorella era nel partito. Faceva parte di una minoranza, la Johnson-Forest Tendency, Cyril Lione Robert (CLR) James, era Johnson e io mi sono trovata in quella minoranza nel giro di pochi mesi.

Non capivo molto, ma la Johnson-Forest era molto meno astratta e intellettuale e molto più rispettosa del resto del partito verso gli operai. Il partito parlava dell’Unione sovietica come di uno «Stato operaio degenerato». Per CLR, si trattava di un capitalismo di Stato: il partito che aveva diretto la rivoluzione - diceva -, dopo aver preso il potere, lo aveva usato contro di noi. Mi sembrava chiaro.

Quello che imparai, e che non avevo mai saputo prima, fu che, se la classe operaia non si tiene stretto il proprio movimento anziché dipendere da un partito - vale oggi anche per le Ong e gli individui ambiziosi che vogliono usare il movimento per i propri interessi - il capitalismo non sarà mai sconfitto.

Anni dopo, questo dovevo leggerlo in Marx. Questo è stato il mio punto di partenza per l’organizzazione all’interno dei movimenti anti-imperialisti e anti-razzisti e nel movimento delle donne, esplosi nel Regno unito, negli Usa, in Italia e nei Caraibi dagli anni ’60 in poi.

CLR sostenne sempre la mia attività nel movimento delle donne. Venne deportato dagli Usa sotto il maccartismo. Lo raggiunsi nel Regno unito un paio di anni dopo con mio figlio. Poi, CLR tornò a casa nei Caraibi di lingua inglese e lavorammo insieme per l’indipendenza e la federazione delle isole.

L’esperienza della lotta anti-imperialista dei Caraibi trasformò la mia vita. Dappertutto le donne, anche se molto diverse, condividevano una prospettiva. Il loro contributo a quella lotta non è stato ancora riconosciuto.

Come vede questo nuovo movimento femminista? Quali sono gli elementi di continuità e di rottura con la prospettiva del grande Novecento?

Tutte noi abbiamo dovuto elaborare molte questioni fondamentali poste dal movimento delle donne e per estensione da ogni movimento, esploso negli anni ’60 e ’70.

La prima: qual è il rapporto di ciascun settore con il capitale? Entro il 1970, dopo aver letto la maggior parte del Primo volume del Capitale in un gruppo di studio, scoprii la cosa ovvia: che le donne producevano e riproducevano la singolare merce del capitale, la forza lavoro, il fattore della produzione che, in maniera unica, produce di più, molto di più, di quello che consuma.

Vidi anche come il sessismo e il razzismo e altre discriminazioni produttive fossero parte della gerarchia all’interno della classe operaia, e permettessero al capitale di dominarci. Il che mi portò alla seconda questione: come può un movimento che abbraccia molti strati servire gli interessi dei più sfruttati? Queste sono le questioni che alcune di noi affrontarono lavorando insieme.

La prospettiva che emerse per dare potere alle donne contro la produzione di persone che poi sarebbero state schiave del capitale e contro questo lavoro che rende schiave anche noi (come sempre siamo state), era il salario per il lavoro domestico: per tutte le donne, pagato dallo stato.

Adesso siamo in un momento diverso. Molte donne che erano casalinghe a tempo pieno vanno a lavorare fuori per paghe basse, sono oppresse da due lavori, e sono stanche. Allo stesso tempo, alcune sono salite in alto, qualche volta molto in alto, rompendo non solo il tetto di cristallo, ma quello di classe che divide le donne più profondamente che mai. E noi dovremmo celebrare la loro ascesa come una vittoria? Fortunatamente il movimento Occupy ci offre le parole per descrivere come la società sia divisa in classi. Noi siamo il 99% e loro, l’1%.

Il femminismo si divide tra quelle il cui obiettivo si basa su questa struttura e quelle che sono entrate nell’1% o sono indecise se entrarci e calpesteranno chiunque per «arrivare». Le «gonne d’oro» (come vengono chiamate nei paesi nordici) con le donne e gli immigrati che le servono e permettono loro di realizzare le proprie ambizioni, sono spesso le femministe più celebrate.

Ma un femminismo nuovo sta sbocciando, come i fiori in primavera. È anti-capitalista, quindi a favore della razza umana e, in maniera determinante, di quelle che la creano e se ne prendono cura e si prendono cura del pianeta.

Lo Sciopero Internazionale delle Donne si è diviso su questa questione. O piuttosto, alcune donne hanno mancato di citare il lavoro più universale che ci si aspetta che le donne facciano - il lavoro di cura - o la povertà a cui questo lavoro non salariato ci condanna. Altre, a cominciare da noi stesse, spingono perché il riconoscimento economico sia compreso tra le rivendicazioni, e questo è stato accettato.

Una prospettiva molto diversa si è vista, per esempio, in Argentina, dove il riconoscimento della cura della razza umana è stata una rivendicazione. E poi ci sono state rivendicazioni internazionali offerte dal movimento per il salario del lavoro domestico (che questo lavoro dev’essere sostenuto economicamente), accettate specialmente perché molte donne di colore le hanno fatte proprie.

Questa rottura dell’equazione tra il femminismo per poche nei corridoi del potere a spese dell’avanzata di tutte le altre donne è l’onda del futuro. È il femminismo del 99% e invita le donne a unirsi per trasformare la società .

Lei ha guardato molto all’America latina del socialismo del XXI Secolo. La costituzione bolivariana del Venezuela riconosce il valore sociale del lavoro domestico. Come valuta il protagonismo delle donne del continente latinoamericano?

Quando il Global Women’s Strike visitò Caracas ai tempi di Chávez vedemmo dei servizi fantastici che casalinghe del posto avevano organizzato e che venivano pagati dalle entrate del petrolio. E sapevamo che l’Art. 88 della costituzione riconosceva il lavoro di casa come produttivo, dando diritto di pensione alle casalinghe. Le donne raccontarono di aver organizzato ogni giorno un gigantesco picchetto durante la preparazione dell’Assemblea costituente per farvi includere questa e altre clausole anti-sessiste.

In Argentina incontrammo le Madri della Plaza de Mayo, che con il loro lavoro per la giustizia - un’estensione del lavoro di cura - avevano posto il primo chiodo sulla bara della dittatura. Le loro azioni condussero ai processi di molti dei militari che avevano assassinato, fatto sparire e rubato i loro figli e nipoti. Un esempio del lavoro di cura delle donne, una vittoria di verità e giustizia per tutti, che dovrebbe essere più conosciuto dalle femministe.

Lo slogan «Ni una menos, con vida nos queremos» (Non una di meno, vive ci vogliamo) è una continuazione di quella lotta. È anche l’equivalente femminista di Black Lives Matter (Le Vite Nere Contano) negli Usa e del nostro slogan All Women Count (Tutte le Donne Contano).

Tre milioni di donne hanno marciato negli Usa contro Trump, eletto perché la gente è stata privata di Bernie Sanders, l’unico candidato anti-establishment per cui avrebbe voluto votare: un socialista che ripudiava la corruzione e il sadismo omicida dei politici Usa. Parte di quella delusione e di quella furia è esplosa nella massiccia reazione al suo attacco contro le donne, i musulmani, gli immigrati.

Quali sbocchi vede per questo nuovo femminismo?

Lo Sciopero è stato un’estensione del movimento che si stava già sviluppando in numerosi paesi - Argentina con «Ni Una Menos», Polonia e Irlanda contro il cappio della chiesa cattolica sui diritti riproduttivi, gli Usa e il Regno unito contro Trump (e contro la donna primo ministro del Regno unito, che si teneva per mano con lui). . .

L’aspetto più significativo è che delle donne del Sud spingono altre ad adottare una prospettiva anti-capitalista, e a includere le lavoratrici maggiormente ridotte al silenzio e le più discriminate: madri, contadine, lavoratrici domestiche, lavoratrici delle piccole imprese, lavoratrici del sesso, disabili, lgbtq, trans. . . in Bangladesh, Haiti, America latina, Thailandia, Sudafrica: in realtà in ogni paese.

Le donne dappertutto prenderanno inevitabilmente in considerazione non solo se sono anti-capitaliste ma in che modo il prossimo sciopero possa coinvolgere tutte noi.


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