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ESTETICA (E NON SOLO) E DEMOCRAZIA. PER LA CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO E DELLA CREATIVITÀ DELL’ "UOMO SUPREMO" (KANT).

CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico. Una nota di Federico La Sala

(...) È solo con Kant - scrive Hogrebe - che emerse veramente ciò che può essere definito un problema della costituzione; il problema cioè di fornire una serie di regole e di definirle come il quadro nell’ambito del quale sono in generale empiricamente possibili le operazioni cognitive (...)
venerdì 19 aprile 2024
"UN UOMO PIÙ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO"
LE DUE METÀ DEL CERVELLO. Il linguaggio del cambiamento
AL DI LÀ DELLA LEZIONE DI PAOLO DI TARSO (E DELLA SUA COSMOTEANDRIA): "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [gr. ἀνήρ, (...)

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> CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A UNA DIMENSIONE. ---- KANT, LO STRANIERO, E LA PACE. Intervista a Umberto Curi (di Paolo RAndazzo - Perché lo straniero ci fa paura).

martedì 26 ottobre 2010

intervista a Umberto Curi

Perché lo straniero ci fa paura

a cura di Paolo Randazzo (Europa, 26.10.2010)

«Ci sono le elezioni... dagli all’immigrato! »: com’è accaduto che un paese di cultura antica come il nostro si sia degradato al punto da accedere a una logica così incivile e brutale nei confronti degli stranieri? È semplice capirlo: è la paura che la attiva. Ma come vincere questa paura? Da quali basi di pensiero e riferimenti teorici muovere per opporre a un fenomeno di dimensioni immani e crescenti qual è l’immigrazione, comportamenti che siano razionali e non derivino dal corto circuito che trova automaticamente nello straniero una minaccia.
-  Occorrerebbe volgere in senso comune le parole del cardinal Tettamanzi che giorni fa a Milano, parlando a degli immigrati (rom, asiatici, persone provenienti dall’Africa e dall’Est Europa), ha scandito: «Fatichiamo ad aprirvi la porta, ma la strada dell’integrazione sta davanti a noi. E voi, se incontrate qualche ritrosia, siate coraggiosi e pazienti. La società, l’economia, la cultura hanno bisogno di voi. Siete una risorsa, non una minaccia». Sono anni che il filosofo Umberto Curi ha posto l’alterità al centro della sua riflessione ed è appena da qualche settimana che si trova nelle librerie Straniero, il suo ultimo saggio (Raffaello Cortina editore), in cui su questa tematica continua a indagare. Lo abbiamo incontrato a Siracusa.

Nel suo libro sembra tenersi deliberatamente a distanza da ogni riferimento all’ attualità, eppure è urgente una riflessione sul concetto di “straniero”: si pensi alle polemiche sui rom, alla propaganda sul respingimento dei migranti, alle discussioni sui presupposti della concessione della cittadinanza, ai tentativi di legislazione che entrano nel vivo delle specificità culturali degli stranieri.

È vero, ho evitato ogni riferimento alla contingenza perché credo che ciò che stia mancando di più ad ogni livello, ma drammaticamente nel dibattito politico italiano, è una riflessione teorica sufficientemente approfondita, adeguata alla qualità nuova dei problemi che abbiamo di fronte. Una profezia degli ultimi vent’anni del secolo scorso indicava l’irrimediabile declino della politica; qualcuno s’è spinto ad affermare che ormai la politica non fosse necessaria perché funzionavano meccanismi di autoregolazione sociale che la rendevano superflua.

Quel che poi è accaduto ha mostrato l’inconsistenza di tale profezia, che tuttavia coglieva un punto importante, cioè che su molti temi tradizionali dell’iniziativa politica oggi la società riesce a fornire delle risposte indipendentemente dalla politica. Eppure vi sono questioni in cui è ancora indispensabile l’intervento di quella che si chiama la “grande politica”. Una politica capace d’interpretare e guidare i processi storici di trasformazione.

Fra questi problemi il più rilevante è quello dell’immigrazione, che non riguarda solo l’Italia, che non è riducibile a una sola dimensione sociale, economica o politica e che sarà il problema che le democrazie occidentali affronteranno per decenni.

Paragonata all’importanza di tale problema, alla sua incidenza e pervasività, l’attrezzatura teorica delle forze politiche, un po’ di tutte le forze politiche, è deprimente.

Lei scrive che superare la paura dell’“altro” significa riconoscere che «la relazione con l’altro costituisce la condizione senza la quale non è possibile il riconoscimento e l’affermazione della propria identità». Ha riflettuto sul perché i rom e, in generale, i nomadi siano sempre così temuti e fonte d’inquietudine?

Anzitutto c’è una sottolineatura statistica da fare: secondo dati recenti le persone d’etnia rom o sinti nel nostro paese sono circa duecentoquarantamila e di queste solo ventiseimila sono nomadi e cioè la stragrande maggioranza di queste persone vivono nel nostro paese integrate, stanziali, con i figli che vanno a scuola.
-  Si pensi alla comunità sinti di Venezia. Una comunità per la quale l’ex sindaco Cacciari, con tenacia, ha provveduto alla costruzione di un nuovo villaggio dove s’è trasferita, muovendo da una realtà degradata nella quale aveva vissuto negli ultimi decenni. Questo riferimento è utile per offrire una dimensione concreta del problema e capire come troppo spesso vi sia su di esso un’enfasi sproporzionata. Tutto ciò che appare altro da noi non può che avere una carica inquietante e quindi è normale, quasi fisiologico, che l’altro susciti apprensione e persino paura.
-  Il problema è trattare in chiave politica questa paura: l’esperienza di questi anni dimostra che da un lato vi sono alcuni che speculano su tale paura per costruire le loro fortune politiche, mentre resta troppo debole la voce di coloro che nei confronti di questa paura testimoniano che essa altro non è che l’effetto dell’incontro con un’alterità che bisogna affrontare sapendo che essa è in noi e implica anche una minaccia, ma cercando di inquadrarla sotto il profilo di categorie razionali.

Nelle pagine dedicate all’opera di Kant, Per la pace perpetua, lei dimostra che nell’opzione “giuridica” del filosofo c’è una riflessione sull’irriducibilità dell’altro da noi.

La questione del rapporto con lo straniero viene impostata da Kant proprio in quell’opera che dedica alla delineazione di un progetto di pace perpetua.
-  Sembrerebbe trattarsi di temi diversi: la pace, come la guerra, parrebbe pertinente alle relazioni politiche tra stati, mentre il rapporto con lo straniero parrebbe riguardare la questione dei rapporti individuali. Kant dimostra che la relazione con lo straniero è uno dei modi fondamentali attraverso cui si può raggiungere l’obiettivo di una pace stabile.
-  È significativo che in Kant questi due livelli siano saldati. Ciò vuol dire che il dialogo, dal punto di vista culturale, è una delle condizioni per la costruzione di un ordine giuridico internazionale.

È dialogo il metodo attraverso cui si può raggiungere l’obiettivo della pace: anche etimologicamente la parola dialogo include il senso del confronto, anche assai aspro, ma condotto tra logoi. In greco logos significa non solo discorso, ma anche pensiero, il dialogo è quindi primariamente un confronto tra pensieri diversi, talora opposti, ma pacifico, disarmato, capace di far prevalere il logos migliore. Non solo non dovremmo temere questo confronto, ma anzi dovremmo valorizzarlo e considerarlo il luogo stesso in cui si costruisce la pace.


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