La scoperta
I ricordi? È provato che si possono trasferire con l’Rna. L’esperimento dello scienziato tra due lumache
«La sede delle memorie nelle cellule nervose». Il test realizzato da David Glanzman dell’Università della California a Los Angeles con una molecola di Rna
di Anna Meldolesi *
Parafrasando Shakespeare, siamo fatti della stessa sostanza dei ricordi. Ma i ricordi di preciso di cosa sono fatti? La rivista della Society for Neuroscience (eNeuro) ha provato a rispondere, scommettendo sull’Rna. Insomma su quelle piccole molecole che parlano lo stesso linguaggio del Dna, senza possederne la tipica struttura a doppia elica. L’ipotesi sta già agitando le acque della scienza e se venisse confermata da gruppi indipendenti scatenerebbe una tempesta. Se la memoria si affida a molecole trasportabili, anziché alle connessioni tra i neuroni del cervello, diventerà più semplice risvegliare nei malati i ricordi perduti o cancellare quelli traumatici?
Le reazioni
Scioccante, sconvolgente, incredibile. Questi sono gli aggettivi usati dalla comunità dei neuroscienziati per i primi commenti a caldo. L’autore del lavoro è David Glanzman, un ex allievo del padre degli studi sulla memoria, il grande Eric Kandel. Protagonista è ancora una volta l’Aplysia, la lumaca di mare che, nonostante l’aspetto poco seducente, è una stella delle neuroscienze. Si può dire che il Nobel vinto da Kandel spetti in parte a lei. Una creatura grossa quanto il palmo di una mano, violacea e suscettibile. Se viene disturbata si difende spruzzando un liquido purpureo, che tinge l’acqua tutto intorno. Come modello animale è entrata di diritto nel XXI secolo, grazie alle sue doti di semplicità e reattività. Perché è possibile imprimerle dei ricordi negativi e poi verificare dal suo comportamento per quanto tempo resta sulla difensiva.
L’esperimento
Nel suo laboratorio di Los Angeles, all’Università della California, Glanzman ha indotto un riflesso di contrazione stimolando la coda di alcuni esemplari con degli choc elettrici, senza far loro del male. Una scarica ogni venti minuti, per cinque volte, ripetendo lo schema 24 ore dopo. A questo punto basta sfiorarli e il ricordo dei dispetti subiti si fa subito sentire: gli animali già infastiditi reagiscono restando contratti quasi un minuto, mentre i compagni più fortunati si rilassano nel giro di un secondo. Nella speranza di decifrare il codice di questa memoria, i ricercatori si sono concentrati sull’Rna, una classe di molecole multiformi e versatili, capaci di veicolare messaggi chimici. L’idea era che potessero funzionare come una chiavetta, salvando file mnemonici per poi trasportarli da un computer all’altro. Pardon, da una lumaca all’altra. Per verificare l’ipotesi l’Rna è stato estratto dal sistema nervoso delle lumache ansiose e iniettato in esemplari indisturbati. Questi ultimi hanno preso a comportarsi come se avessero subito lo choc, insomma come se la memoria si fosse trasferita insieme alle molecole. L’Rna delle lumache tranquille, invece, non ha sortito alcun effetto. Il lavoro è stato accolto dagli esperti con un mix di cautela e di stupore, Glanzman del resto sapeva a cosa andava incontro.
La teoria
La teoria classica colloca la memoria in corrispondenza delle connessioni tra i neuroni, le cosiddette sinapsi. L’ultimo esperimento invece la porta fin dentro il nucleo delle cellule nervose. Qui le molecole messaggere modulerebbero l’attività dei geni, anche se è presto per ipotizzare come. Una lumaca dotata di 20.000 neuroni non può certo riprodurre fedelmente ciò che succede in un cervello umano da 100 miliardi di elementi. Ma l’organismo che ora prova a scardinare il dogma sinaptico è lo stesso che ha contribuito a fondarlo. Una bella responsabilità per questo mollusco di mare simile a una melanzana. Insegnarci a dire: io sono le mie sinapsi. E poi instillare amleticamente il dubbio. Oltre alle sinapsi, forse, c’è di più.
* Corriere della Sera, 16 maggio 2018 (ripresa parziale, senza immagini).