I «fagioli» in movimento che conservano i ricordi
Le nuove scoperte sull’architettura dei neuroni
di Massimo Piattelli Palmarini (Corriere della Sera, 09.03.2012)
Andiamo per un attimo con il pensiero a una vicenda che ben ricordiamo e che è vecchia di cinque o dieci anni o ancor più. Come fa il nostro cervello a ricordare quanto ci è successo tanto tempo fa? Se è per questo, come fa perfino a ricordare qualcosa che risale a poche ore addietro? Le neuroscienze hanno a lungo studiato i processi della memoria, mietendo una mole impressionante di eccellenti risultati. Restano, però, molti problemi di fondo ancora aperti e perfino dei paradossi. L’articolo oggi pubblicato sulla rivista scientifica internazionale «PLoS Computational Biology» da due fisici canadesi, Travis Craddock e Jack Tuszynski (Università di Alberta) e da un neuroscienziato e anestesiologo americano, Stuart Hameroff (Università dell’Arizona), promette di aprire una nuova frontiera in questo settore.
Detto molto semplicemente, questi studiosi offrono un modello teorico e sperimentale di quello che succede dentro i neuroni. Sì, abbiamo capito bene, hanno sondato quello che succede all’interno dei singoli neuroni responsabili della fissazione e della successiva salvaguardia delle tracce mnemoniche. Occorre, qui, forse, fare un passo indietro. Nel lontano 1949, uno dei padri delle moderne neuroscienze, il canadese Donald Olding Hebb, aveva individuato l’autografo cerebrale della memoria: la fissazione stabile dei ponti che si creano incessantemente tra i neuroni, le cosiddette sinapsi. Il motto che lo ha reso famoso è «i neuroni che sparano insieme si sposano insieme» (in inglese è più grazioso: «neurons that fire together wire together»). In altre parole, due neuroni che si attivano allo stesso tempo, in uno stesso preciso momento, stabiliscono tra di loro un’alleanza stabile per il futuro. Attivate uno di questi, e anche l’altro risponderà prontamente all’appello.
Questo tipo di sinapsi si chiama, da allora, una sinapsi hebbiana. Ne è passata, da allora, di acqua sotto i ponti. Nel 1966, all’Università di Oslo, Terje Lomo e Timothy Bliss, studiando il consolidamento della memoria nell’ippocampo del coniglio, scoprirono il fondamentale meccanismo chiamato potenziamento a lungo termine (in gergo internazionale Ltp). Lo sposalizio tra i neuroni veniva da loro certificato su precise basi molecolari. Il problema, però, mi spiega Stuart Hameroff, è che molte di queste molecole della memoria (delle speciali proteine) vivono solo pochi minuti o poche ore, mentre i ricordi vivono molto più a lungo. Un paradosso, questo, che il lavoro oggi pubblicato conta di poter risolvere.
Entriamo, allora, con Hameroff e collaboratori dentro questi benedetti neuroni e dentro queste benedette sinapsi. Scopriamo un’architettura di grande complessità e di grande bellezza: i cosiddetti microtubuli, parte dello scheletro delle cellule, ma che, nei neuroni, assumono proprietà particolari. Sono colonne di forma esagonale, formate da moltissime molecole, le tubuline, che hanno ciascuna all’incirca la forma di un fagiolo. Questi fagioli possono essere ripiegati su se stessi o invece aprirsi. E lo fanno in modo contagioso, facendo aprire o chiudere altre tubuline lungo tutto il tubulo. Il loro passaggio dalla forma aperta a quella chiusa racchiude informazione e questa informazione si propaga lungo l’intero tubulo e può poi trasmettersi a un neurone successivo. Il processo è assai simile a quanto avviene in un microcalcolatore. È così che l’immagazzinamento e la trasmissione di informazione possono restare stabili anche su lunghi periodi, in certi neuroni anche lungo molti anni. La quantità di energia consumata è bassissima. L’articolo oggi pubblicato spiega tutto ciò in grande dettaglio, con illustrazioni degne di un grande disegnatore. Ecco quindi trovata, secondo questi scienziati, la soluzione del paradosso della memoria.
Lascio la parola a Hameroff: «Abbiamo scoperto quello che sembra proprio essere il sito della memoria, il codice del ricordare, all’interno dei neuroni. Abbiamo scoperto la memoria, senza alcun paradosso». Poi aggiunge: «È forse solo un primo passo, ma le conseguenze possono essere molto importanti per capire il funzionamento del cervello, perfino per capire i fondamenti del linguaggio e della coscienza». Mi descrive anche le possibili applicazioni pratiche: «Il trattamento dell’Alzheimer e di altri disturbi del sistema nervoso, compresi i disturbi da stress post-traumatico. Diventerà forse possibile in futuro potenziare la memoria o, all’opposto, eliminare ricordi traumatici». Hameroff è autore di numerosi articoli e libri scientifici su quello che succede all’interno dei neuroni, uno di questi scritto a quattro mani con il noto fisico e matematico inglese Sir Roger Penrose (autore del discusso saggio La mente nuova dell’imperatore).
Nel comunicato stampa rilasciato ieri congiuntamente dall’Università dell’Arizona e dall’Università di Alberta, Hameroff non ha peli sulla lingua: «Molti articoli tecnici di neuroscienze concludono promettendo cure per l’Alzheimer e altri disturbi. Anche noi ora lo facciamo, ma questa volta potrebbe essere vero».
Tronchiamo di colpo l’intervista, perché deve andare in sala operatoria ad amministrare l’anestesia. Il camice che indossa e la mascherina che ora si porta davanti a bocca e naso sono verdi, un colore che ben si addice alle sue speranze.