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COSMOLOGIA E CIVILTÀ. "PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA" DELLA RAGIONE ATEA E DEVOTA

KARL MARX RISPONDE A SALVATORE VECA, PRENDE LE DISTANZE DA ENGELS E RENDE OMAGGIO A FULVIO PAPI. Alcune precisazioni sulla sua intervista impossibile - raccolte da Federico La Sala

Salvatore Veca “intervista” Karl Marx: «Uno spettro si aggira per il mondo: sono io».
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> KARL MARX RISPONDE --- La nuova ’Storia del marxismo’ in Italia (di Paolo Favilli)

mercoledì 11 maggio 2016

La nuova ’Storia del marxismo’ in Italia

di PAOLO FAVILLI (MICROMEGA, 10.05.2016)

Nella "Storia del marxismo" (Carocci, Roma 2015, 3 voll.) recentemente uscita a cura di Stefano Petrucciani si ripresenta la possibilità di riesaminare la storia del marxismo alla luce del sistema di relazioni che sorregge le sue diverse forme. Entro questo contesto sono almeno due i problemi che vanno posti: quello del rapporto fra riforme e rivoluzione e quello del nesso fra filosofia e marxismo.

1) I tre agili volumetti che compongono questa Storia del marxismo, pur inserendosi in una tradizione consolidata e di lungo periodo concernente i modi di fare storia dell’«oggetto» in questione, presentano interessanti spunti di originalità nel panorama complessivo della produzione storica frutto del clima della Marx Renaissance. Ho usato l’espressione produzione storica, ma, come vedremo proseguendo nel discorso, il termine storia, proprio nell’ambito della tradizione cui ho fatto sopra riferimento, necessita di essere meglio precisato. Qual è, però, il peso della dimensione storica nel contesto di quella riflessione generale su Marx ed il marxismo che è stata chiamata Marx Renaissance?

La Marx Renaissance è, indubbiamente, un fenomeno di estrema importanza che oggi ha travalicato anche l’ambito degli studi per diventare, ad esempio, elemento centrale di una delle più importanti manifestazioni artistiche mondiali: la Biennale di Venezia del 2015. Il «cardine» del programma è stato «l’imponente lettura dal vivo dei tre volumi di Das Kapital di Karl Marx. «Porto Marx alla Biennale perché parla di noi oggi», ha detto il curatore della mostra veneziana[1]. La sfera degli studi, la sfera dell’arte, la sfera dell’alta cultura in genere, però, appare separata dai processi di mutamento che interessano lo stato di cose presente.

Il fenomeno della Marx Renaissance comincia a delinearsi pochissimo tempo dopo la proclamata morte del pensatore di Treviri, non casualmente in concomitanza con i primi sinistri scricchiolii delle crisi finanziar-recessive degli anni Novanta. Un fenomeno che poi è cresciuto in maniera esponenziale a partire dagli inizi della «grande crisi» in cui siamo tuttora immersi. Le ragioni sono evidenti: l’impossibilità del pensiero economico mainstream, ormai quasi del tutto coincidente con l’«economia volgare», a spiegare le logiche profonde dei modi in cui si manifestano gli squilibri dell’«economia mondo», cioè del capitalismo mondo. Porsi le domande giuste e tentare qualche risposta di fronte all’attuale fase di accumulazione capitalistica, comporta la necessità di pensare il capitalismo come problema. È possibile farlo senza Marx?

Con tutta evidenza non lo è. Di qui la ripresa di una ricchissima pubblicistica, in gran parte scientifica, su Marx e il marxismo, quasi una nuova biblioteca che si aggiunge a quella vera e propria biblioteca di Alessandria (fortunatamente non scomparsa) che ha raccolto nel tempo gli infiniti contributi dedicati a problematiche marxiane e marxiste.

Il contributo italiano alla costruzione di questa nuova biblioteca è stato ed è tutt’altro che marginale. Studiosi di economia, di filosofia, di sociologia hanno prodotto una letteratura di alto livello. I testi fondamentali di Marx sono stati sottoposti a nuove ed accurate indagini filologiche. In particolare Il Capitale è stato oggetto di una recente ed importante edizione comprendente tutti i testi scritti da Marx con l’intenzione esplicita della realizzazione del I libro[2]. Il volume comprende anche tutte le principali varianti delle edizioni precedenti alla IV edizione tedesca, e permette, così, di entrare direttamente nel laboratorio marxiano. Un preliminare «lavoro filologico minuto e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica»[3], per dirla con Antonio Gramsci. Filologia messa al servizio dell’interpretazione critica della teoria[4]. Della teoria, appunto. Gli studiosi di storia, fino a questo momento, sono rimasti ai margini dei filoni centrali della Marx Renaissance; nel migliore dei casi ne hanno accompagnata la logica dominante.

L’amplissimo panorama di studi che la Marx Renaissance ha prodotto è stato recepito dagli storici soprattutto per lavori relativi a nuove interpretazioni di storia del pensiero, di storia dell’analisi, di storia delle idee in genere.

In Italia la storia della teoria ha una lunga tradizione di grande interesse. Il fatto che il contributo italiano al dibattito teorico sul marxismo sia stato di estrema rilevanza sia alla fine dell’Ottocento (Antonio Labriola), sia nel Novecento (Antonio Gramsci), non poteva non avere influenza su tutta una tradizione di studi. Inoltre sempre italiani erano gli interlocutori/avversari tanto sull’«economia pura» (Vilfredo Pareto) che sui «concetti puri» (Benedetto Croce), e si trattava di italiani che rappresentavano le punte alte internazionali vuoi della teoria economica che della filosofia idealistica.

Una tradizione che ha avuto ed ha importanti risultati conoscitivi. Nei «trenta gloriosi» seguiti al secondo dopoguerra si sono esplorati con varia fortuna i sentieri della storia sociale della cultura marxista. Questa impostazione storiografica non si è sostituita alla prima, vi si è affiancata e, nonostante alcune frizioni, l’insieme di rimandi tra le due dimensioni storiografiche ha rappresentato un indubbio arricchimento di quella cultura.

Dopo «fine del marxismo» e «fine della storia», diventata assai problematica la connessione con il «movimento reale», la storia della teoria ha ripreso nuovo vigore, ma con riferimenti del tutto esterni rispetto alle forme marxismo nel loro rapporto con le forme assunte dall’antitesi dei subalterni, tanto nella loro storia quanto nelle loro prospettive. D’altra parte la storia del marxismo si concretizza proprio nel sistema di relazioni tra le sue forme, le quali si presentano, a loro volta, come incroci, risultanti di percorsi molteplici

È possibile che lo scavo in atto nei materiali teorici marxiani sia propedeutico anche ad una storia rinnovata, ad una nuova sintesi, ma per ora le opere di carattere generale che sono uscite nel periodo della Marx Renaissance hanno riproposto il modello della storia delle teorie.

Allo stato attuale degli studi di storia del marxismo era impossibile pensare una storia di carattere generale, una storia addirittura globale, in grado di seguire la molteplicità delle forme marxismo al di fuori della forma marxismo teorico.

Come ha opportunamente ricordato Giorgio Cesarale, uno degli autori dell’opera in questione, ««il marxismo (...) se ha un valore conoscitivo è perché riposa su un complesso di forme (da quelle storiche e politiche a quelle più legate alla critica dell’economia politica)»[5]. E, seppure attraverso una declinazione sostanzialmente interna al marxismo teorico, i lineamenti dei volumi si snodano e si articolano secondo tale pluralità.

Gli ideatori dell’opera, il curatore, Stefano Petrucciani, sono perfettamente coscienti delle difficoltà insuperabili, anche rimanendo nell’ambito della sola forma marxismo teorico, per costruire una narrazione generale con tendenze sistematiche relativamente ad un oggetto definibile solo tramite storicamente determinati. Petrucciani nella Premessa parla esplicitamente della costruzione di una «mappa», e nel saggio introduttivo afferma «che una storia del marxismo non possa essere che selettiva e dunque per molti versi anche arbitraria»[6]. È quindi del tutto ovvio che la mappa in questione sia esile e che i suoi lineamenti si dipanino attraverso uno spazio talmente ampio da rendere impraticabile la possibilità di percorrere tutto il territorio. Sarebbe, però un’esercitazione non solo inutile, ma anche fuorviante, esercitarsi nella ricerca degli spazi non percorsi dalla «mappa» tracciata. Un’opera non va giudicata per quello che non c’è. Ed inoltre la ricerca delle «assenze» avrebbe il medesimo carattere «arbitrario» che Petrucciani ha indicato per la scelta delle «presenze». Un’opera va giudicata per quello che c’è, e in questa Storia del marxismo c’è molto, e di sostanza.

2) Tra le molte «forme» marxismo quella di «marxismo teorico» parrebbe avere una solida struttura di riferimento, e quindi caratteristiche di denotazione attraverso parametri certi. Dal punto di vista dell’analisi storica, invece, i parametri di definizione dell’oggetto di studio in questione non si delineano con nettezza. I loro confini sono sfumati sia in profondità che in ampiezza. Ci troviamo di fronte, infatti, a livelli diversi di «marxismo teorico». Diversi per capacità euristica, diversi per la scelta del punto ritenuto essenziale allo svolgimento della teoria, diversi infine per gli effetti su processi culturali di lunga durata.

Proprio la molteplicità dei modi in cui si manifesta la permeabilità dei confini del «marxismo teorico», implica l’impossibilità, in una storia, di ignorare nel contesto delle connessioni con il «marxismo politico». Il marxismo politico, infatti, dal punto di vista dell’analisi storica, e non solo, non è separabile dalle altre forme. Con queste, nel corso della sua storia, ha costituito un sistema di relazioni attraverso cui si è resa possibile l’amplissima diffusione di aspetti fondamentali delle forme stesse. Per più di un secolo partiti politici e poi persino Stati hanno posto il «marxismo» come elemento centrale della propria denotazione ed anche delle molteplici connotazioni, e dunque abbiamo necessariamente a che fare con dimensioni teoriche «impure».

Alcuni dei contributi dell’opera in questione hanno indagato accuratamente nel terreno della suddetta permeabilità, con risultati di notevole interesse. È il caso, ad esempio, dell’articolato itinerario di Nicolao Merker nell’universo del marxismo di lingua tedesca, dalla Spd all’austromarxismo, e di Guido Carpi nella centralità politica del marxismo russo e poi sovietico.

Merker sottolinea il ruolo fondamentale delle leggi antisocialiste di Bismarck nella formazione dei caratteri originari del marxismo. «Esibire dottrine ispirate a Marx - afferma - diventò importante per motivi anzitutto politici»[7]. Senza la pesante concretezza di questa contingenza storica la «cerniera che segna il passaggio da Marx al marxismo», la «cerniera»[8] engelsiana, avrebbe avuto maggiore difficoltà a chiudersi sull’orizzonte di una «filosofia per il socialismo».

Ed ancora, a proposito della permeabilità dei confini di cui si è detto, Merker cita Bruno Bauer che in un articolo politico del 1924 discute una tesi di fondo della Meccanica nel suo sviluppo storico (1883) di Ernst Mach[9]. E la discute, appunto, non in uno scritto di teoria della conoscenza, ma in un intervento sul terreno molto caldo dei tempi delle trasformazioni storiche, dei tempi delle rivoluzioni e della lentezza dei ritmi di trasformazione. E in tempi in cui il movimento operaio austriaco ed europeo su tali temi si sta dilaniando, e non solo metaforicamente.

Il marxismo russo è, con tutta evidenza, il luogo in cui l’intreccio tra marxismo teorico e marxismo politico finirà per assumere forme che incideranno profondamente nella vicenda dei socialismi novecenteschi. Merito del ricco ed analitico saggio di Guido Carpi è di avere tenuti ben stretti i lineamenti della particolare storia russa dell’Ottocento nel loro rapporto tanto con il marxismo precedente la rivoluzione d’ottobre che con quello seguente. Pur senza alcuna tentazione deterministica, Carpi coglie il peso di una storia profonda e di lunga durata nell’ambito di un complesso sistema di relazioni con i fenomeni legati a esigui gruppi di intelligencija. Anche il partito socialdemocratico russo (POSDR), prima della Grande guerra è partito di intelligencija. E sarà soprattutto dopo la guerra e la rivoluzione che la storia russa profonda, con protagonista il contadino-soldato, entrerà in collisione con la dimensione critica del marxismo. La belle pagine che Carpi dedica alla tensione tra quella vera e propria esplosione di sperimentazione artistica, culturale in genere, degli anni Venti e il prevalere del marxismo della ragione politica, sono, a questo proposito, di grande interesse.

Il grande scrittore sovietico Vasilij Grossman immagina una situazione in cui, nel 1943, un fisico teorico di grande rilevanza e famoso in tutto il mondo scientifico anche al di fuori della Russia, viene messo sotto accusa in quanto le sue teorie «contraddicevano le idee leniniste sulla natura della materia»[10]. Una situazione tutt’altro che immaginaria ed isolata nel marxismo di Stalin. In quella del Diamat (materialismo dialettico) dello «stalinismo maturo» - che, dice Carpi, «funziona e vuole funzionare come generatore e fondamento di una mitologia universale assoluta». Ed aggiunge: «Lungi dal rappresentare una mera deformazione del marxismo in senso platealmente deterministico - come vuole Lukács o, al contrario in senso pragmatico (come vuole Marcuse), il “materialismo dialettico” staliniano trapassa - qui davvero dialetticamente! - in arte divinatoria, demiurgica e polemologica: il nostro oggetto di studio si è così “tolto” (aufgehoben) in qualche cosa di altro da sé»[11].

Credo che sia una conclusione consolatoria. Anche questa era una forma marxismo, uno specifico e particolare storicamente determinato.

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