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COSMOLOGIA E CIVILTÀ. "PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA" DELLA RAGIONE ATEA E DEVOTA

KARL MARX RISPONDE A SALVATORE VECA, PRENDE LE DISTANZE DA ENGELS E RENDE OMAGGIO A FULVIO PAPI. Alcune precisazioni sulla sua intervista impossibile - raccolte da Federico La Sala

Salvatore Veca “intervista” Karl Marx: «Uno spettro si aggira per il mondo: sono io».
giovedì 8 novembre 2018
[...] Il mio invito fraterno, da compagno, è: sveglia! E’ ora di smetterla con i vecchi divertimenti di intellettuali di molti (non quattro) soldi, asserviti all’industria culturale del padrone di turno. Basta! Che “il mio faccione” - come dici - sia “tornato in giro per il mondo”, certamente non è il mio: è il vostro! Io sono sempre stato sempre con voi, nel presente - anche nel vostro presente! Solo che voi, immersi nel “sonno dogmatico” della (...)

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> KARL MARX RISPONDE ---- Gli Usa rinnegano il mito del capitale. Il ritorno di Karl Marx nel cuore di Wall Street (di Federico Rampini - di Paul Krugman) -

martedì 11 ottobre 2011

Il ritorno di Karl Marx nel cuore di Wall Street

Quei ricchi isterici che minacciano i valori americani

di Paul Krugman (la Repubblica, 11.10.2011)

NON sappiamo ancora se i manifestanti del movimento Occupy Wall Street imprimeranno una svolta all’America. Di certo, le proteste hanno provocato una reazione incredibilmente isterica da parte di Wall Street, dei super ricchi in generale. Edi quei politici ed esperti che servono fedelmente gli interessi di quell’un per cento più facoltoso. Questa reazione ci dice qualcosa di importante,e cioè che gli estremisti che minacciano i valori americani sono quelli che Franklin Delano Roosevelt definiva i monarchici economici ("economic royalists") non la gente che si accampaa Zuccotti Park. Si consideri, innanzi tutto, come i politici repubblicani abbiano raffigurato queste piccole, anche se crescenti dimostrazioni, che hanno comportato qualche scontro con la polizia - scontri dovuti, pare, a reazioni esagerate della polizia stessa - ma nulla che si possa definire una sommossa.

Non c’è stato nulla, finora, di paragonabile al comportamento delle folle raccolte dal Tea Party nell’estate del 2009. Ciò nonostante, Eric Cantor, leader della maggioranza alla Camera, ha denunciato degli «assalti» e «la contrapposizione di americani contro americani». Sono intervenuti nel dibattito anche i candidati alla presidenza del partito repubblicano, il cosiddetto Grand Old Party, con Mitt Romney che accusa i manifestanti di dichiarare una «guerra di classe», mentre Herman Cain li definisce «antiamericani». Il mio preferito, comunque, è il senatore Rand Paul che, per qualche motivo, teme che i manifestanti cominceranno a impossessarsi degli iPads, perché credono che i ricchi non se li meritino.

Michael Bloomberg, sindaco di New York e gigante della finanza a pieno titolo, è stato un po’ più moderato. Pur accusando anche lui i manifestanti di voler «portar via il posto a chi lavora in questa città», una dichiarazione che non ha nulla a che vedere con i reali obiettivi del movimento. E se vi è capitato di sentire i mezzibusti della CNBC, gli avrete sentito dire che i manifestanti si sono «scatenati» e che sono «allineati con Lenin».

Per capire tutto questo, bisogna rendersi conto che fa parte di una sindrome più ampia, nella quale gli americani ricchi, che beneficiano ampiamente di un sistema truccato a loro favore, reagiscono in modo isterico contro chiunque metta in evidenza quanto sia truccato questo sistema.

L’anno scorso, probabilmente lo ricorderete, alcuni baroni della finanza si infuriarono per alcune critiche molto miti fatte dal presidente Obama. Accusarono Obama di essere quasi un socialista perché appoggiava la cosiddetta legge Volcker, che voleva semplicemente impedire alle banche sostenute da garanzie federali di intraprendere speculazioni rischiose. E riguardo alla proposta di metter fine a una scappatoia che permette a molti di loro di pagare delle tasse bassissime, Stephen Schwarzman, presidente del Gruppo Blackstone, ha reagito paragonandola all’invasione nazista della Polonia.

Poi c’è la campagna diffamatoria contro Elizabeth Warren, una riformatrice del sistema finanziario che si candida al senato per il Massachusetts. Recentemente, un suo video su YouTube, in cui spiegava in molto eloquente e comprensibile a tutti perché si debbano tassare i ricchi, ha fatto il giro del web. Non diceva nulla di radicale: era solo una moderna versione della famosa definizione di Oliver Wendell Holmes, secondo la quale «le tasse sono ciò che paghiamo per vivere in una società civile».

Ma se dessimo ascolto ai paladini della ricchezza, dovremmo pensare che la Warren sia la reincarnazione di Lev Trotsky. George Will ha dichiarato che ha un «programma collettivista» e che crede che «l’individualismo sia una chimera». Rush Limbaugh l’ha definita, invece, «un parassita che odia il proprio ospite e che vuole distruggerlo mentre gli succhia il sangue». Ma che sta succedendo? La risposta, di sicuro, è che i Masters of the Universe di Wall Street capiscono, nel profondo del loro cuore, quanto sia moralmente indifendibile la loro posizione. Non sono John Galt; non sono nemmeno Steve Jobs. Sono gente che è diventata ricca trafficando con complessi schemi finanziari che, lungi dal portare evidenti benefici economici agli americani, hanno contribuito a gettarci in una crisi i cui contraccolpi continuano a devastare la vita di decine di milioni di loro concittadini.

Non hanno ancora pagato nulla. Le loro istituzioni sono state salvate dalla bancarotta dai contribuenti, con poche conseguenze per loro. Continuano a beneficiare di garanzie federali esplicite ed implicite - fondamentalmente, siamo ancora in una partita in cui loro fanno testa e vincono, mentre i contribuenti fanno croce e perdono. E beneficiano anche di scappatoie fiscali grazie alle quali, spesso, gente che ha redditi multimilionari paga meno tasse delle famiglie della classe media. Questo trattamento speciale non sopporta un’analisi approfondita e, perciò, secondo loro, non ci deve essere nessuna analisi approfondita. Chiunque metta in evidenza ciò che è ovvio, per quanto possa farlo in modo calmo e moderato, deve essere demonizzato e cacciato via. Infatti, più una critica è ragionevole e moderata, più chi la porta dovrà essere immediatamente demonizzato, come dimostra il disperato tentativo di infangare Elizabeth Warren.

Chi sono, dunque, gli antiamericani? Non i manifestanti, che cercano semplicemente di far sentire la propria voce. No, i veri estremisti, qui, sono gli oligarchi americani, che vogliono soffocare qualsiasi critica sulle fonti della loro ricchezza.

© 2011 New York Times News Service. Traduzione di Luis E. Moriones)


E gli Usa rinnegano il mito del capitale

Il movimento anti-Wall Street che da giorni scende in piazza ha scelto il proprio "guru". E, a sorpresa, ha rispolverato Marx e le sue teorie. Nella nazione in cui parlare male dei miliardari era diventato un tabù, sembra l’inizio di una svolta rispetto agli ultimi 30 anni segnati dall’egemonia culturale dell’edonismo reaganiano

di Federico Rampini (la Repubblica, 11.10.2011)

NEW YORK C’è un nuovo guru i cui testi sono diventati un’ispirazione per Wall Street: è un tedesco barbuto, si chiama Karl Marx. A riscoprire l’autore del "Capitale" e del "Manifesto del partito comunista" non sono soloi giovani che da tre settimane protestano contro i soprusi dei banchieri. Il movimento "Occupy Wall Street" è arrivato secondo in questa riscoperta. Il revival di Marx era già iniziato altrove: ai piani alti di quegli stessi grattacieli di Downtown Manhattan, contro cui i manifestanti gridano i loro slogan. Michael Cembalest, capo della strategia d’investimento per la JP Morgan Chase, in una lettera riservata ai clienti Vip della sua banca scrive che «i margini di profitto sono ai massimi storici da molti decenni e questo si spiega con la compressione dei salari».

Cembalest riecheggia ampiamente l’analisi di Marx sulle crisi di sovrapproduzione, provocate da un capitalismo che comprime il potere d’acquisto dei lavoratori. Sottolinea che a fronte dei profitti-record c’è «un livello salariale sceso ai minimi da 50 anni, sia se lo si misura in percentuale del fatturato delle imprese, sia in proporzione al Pil americano». Tre suoi colleghi di Citigroup, altro colosso bancario di Wall Street, nei loro studi per i clienti descrivono gli Stati Uniti come una «plutonomia, dominata da una ristretta élite del denaro».

La rivista The New Republic parla di "bolscevismo alla Brooks Brothers": è la riscoperta delle teorie classiche del padre del comunismo da parte di chi indossa le celebri camice che sono uno status-symbol della élite di Manhattan. La rivista economico-finanziaria Bloomberg Businessweek intitola un reportage "Marx to Market, come la crisi ha reso le sue teorie rilevanti". Cita un altro esperto di una grande banca, George Magnus della Ubs, secondo il quale l’attuale livello di disoccupazione può essere descritto come «l’esercito industriale di riserva» di Marx: un’arma in mano ai capitalisti per ricattare chi ha lavoroe comprimerei livelli retributivi. Il capitalismo - sostiene Bloomberg Businessweek - ha cercato di ovviare alla depressione dei consumi con la finanza creativa e cioè offrendo all’esercito dei nuovi poveri un credito a buon mercato: ma lo scoppio della bolla dei mutui subprime ha interrotto quell’illusione.

Il pensiero marxiano torna a fiorire nelle aule universitarie, e non solo nei corsi di scienze politiche e di storia che non lo avevano mai completamente dimenticato. Alla University of Santa Cruz, California, un circolo interdisciplinare di lettura e commento dei testi del grande Karl, di Friedrich Engelse di Antonio Gramsci si è formato attorno al Dipartimento di Scienze Ambientali, dove abitualmente si prediligono chimica e biologia. Aumentano gli abbonamentia The Nation, l’unica rivista storica della sinistra americana che non ha mai ripudiato il marxismo; la sua direttrice Katrina Vanden Heuvel è un’opinionista corteggiata dai network televisivi Abc, Cnn, Msnbc, Pbs.

Per il pubblico di massa, la tv ha appena lanciato due serial praticamente sovversivi. Basta "Sex and the City"e altre storie eroticofrivole da borghesi spendaccioni, roba datata pre-recessione. Ora vanno in onda "2 Broke Girls" storia di due ragazze spiantate (vedi il titolo) che faticano per sopravvivere coni magri salari da cameriere. Sul network Abc il serial del momentoè "Revenge", dove la protagonista trama vendette contro i banchieri e altri privilegiati che hanno rovinato suo padre. Gli episodi si svolgono agli Hamptons, la località di villeggiatura marittima dei miliardari newyorchesi, luogo ideale per chi voglia punire i capitalisti. L’attrice Madeleine Stowe che recita da protagonista della "Vendetta", è convinta che «in questo particolare momento della nostra storia, l’americano medio vuol vederei ricchi messi al tappeto».

E’ un inizio di svolta rispetto agli ultimi trent’anni, segnati dall’egemonia culturale dell’"edonismo reaganiano"? Questa è la nazione dove parlar male dei ricchi era diventato un tabù, perché il dogma dell’American Dream è che un giorno ricchi lo saremo tutti. Per anni in cima alla classifica dei best-seller si sono avvicendati libri come "Secrets of the Millionaire Mind", "The Millionaire Next Door", "Rich Dad Poor Dad": i lettori sembravano ossessionati dalla voglia di carpire i segreti del milionario della porta accanto, il suo modo di pensare, i metodi con cui educai suoi figli. Perfino le chiese evangeliste si erano adeguate, scordandosi della parabola sul "riccoe la cruna dell’ago" avevano abbandonato il Vangelo di Matteo a favore di un culto della prosperità: successoe ricchezza come segni della predestinazione divina. Ora tutto ciò sembra invecchiato di colpo, di fronte all’efficacia dello slogan di "Occupy Wall Street": «Siamo il 99%, riprendiamoci un’America cheè stata sequestrata dall’1% dei plutocrati».

I manifestanti sono ancora un minoranza, ma dietro di loro c’è una realtà terribile. La recessione del 2007-2009 ha lasciato 25 milioni di americani senza lavoro e ha tagliato del 3,2% i redditi di chi ancora ha un posto. Dopo quella botta le cose non sono affatto migliorate, anzi: dal giugno 2009 al giugno 2011 il reddito della famiglia media è sceso ancora di più, meno 6,7%. Nel frattempo per i ricchi nulla è cambiato. E non importa se siano incompetenti: Léo Apotheker, il disastroso chief executive di Hewlett-Packard defenestrato dal Consiglio d’amministrazione il mese scorso, è stato ringraziato con un "premio di licenziamento" di 13 milioni di dollari che si aggiungono a quello che lui aveva guadagnato di stipendio normale cioè 10 milioni in soli 11 mesi. Il suo collega chief executive di Amgen (biotecnologie) se n’è andato con 21 milioni di stipendio annuo dopo che il valore dell’azienda in Borsa era caduto del 7%e lui aveva licenziato 2.700 dipendenti.

Barack Obama ha colto il cambiamento di clima e da un paio di settimane il suo tono è un po’ più radicale. Ha proposto la tassa sui milionari, sfidando la destra a bocciargliela al Congresso. Ha espresso «comprensione» per il movimento "Occupy Wall Street", noncurante del fatto che la polizia di New York ne abbia arrestato 700 aderenti per il blocco illegale del ponte di Brooklyn. Subito da destra è partita contro il presidente l’accusa di «fomentare l’odio di classe» (Rick Perry), di «incitare alla lotta di classe» (Mitt Romney). Sembrano riecheggiare Ronald Reagan, il padre storico dei neoconservatori, quando diede la sua versione della discriminante tra destra e sinistra: «Noi aumentiamo la ricchezza nazionale perché tutti abbiano di più, loro redistribuiscono quello che abbiamo già, cioè spartiscono la povertà».

Ma il Verbo reaganiano ha perso credibilità, dopo trent’anni di regressione delle classi lavoratrici e del ceto medio. Sotto lo shock di questo declino della middle class, si cominciaa riscoprire che gli anni d’oro dell’American Dream furono segnati proprio dalla lotta di classe: all’epoca dei presidenti democratici Woodrow Wilson e Franklin Roosevelt c’erano potenti forze socialiste nel paese; sotto John Kennedy e Lyndon Johnson la piena occupazione coincise con il massimo potere contrattuale dei sindacati.

David Harvey, il 75enne storico e geografo che ha sempre insegnato Marx ai suoi studenti (prima a Oxford poi a Johns Hopkins) è convinto che la storia si ripete: come ai tempi della Grande Depressione, «in mano al capitalismo sregolatoe alla destra, l’economia di mercato va verso l’autodistruzione». Un segnale arriva perfino dalla superpotenza governata da un partito che si definisce comunista.

In Cina l’attenzione verso "Occupy Wall Street" è intensa, sul blog Utopia animato da accademici nostalgici del maoismo quella protesta viene definita come «l’inizio di una rivoluzione che spazzerà il mondo». E non si limiterà agli Stati Uniti: secondo quei blogger cinesi «i paesi emergenti hanno lo stesso destino, le stesse sofferenze, gli stessi problemie gli stessi conflitti; di fronte a una élite globale che è il comune nemico, i popoli hanno una sola opzione, unirsi per rovesciare lo strapotere delle oligarchie capitalistiche». Come diceva Lui: proletari del mondo intero...


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