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Cultura?

Ha chiuso "Libraria", l’unica libreria della città. Si legge niente, la scuola ha fallito, la politica delle bugie trova spazi enormi

Con la chiusura dell’unica libreria della città, s’è aperto uno scenario da "Fin de partie"
venerdì 14 gennaio 2005 di Emiliano Morrone
Punto. La libreria di San Giovanni in Fiore, “Libraria”, ha chiuso, il 31 dicembre 2004. Silenzio, normalità e ritmo d’ogni giorno. Con mille cose da fare, sempre uguali, identiche. Con mille progetti da concludere e pratiche vitali da seguire. Una macelleria ha venduto, in città, ventisette copie di “Pane, vino e angeli”, di Anna Zurzolo.
Ce lo dice Saverio Basile, direttore del “Corriere della Sila”, col quale si discute della situazione d’oggi, della (...)

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> Ha chiuso "Libraria", l’unica libreria della città

mercoledì 6 dicembre 2006

Editoria in fermento al Sud, ma per le librerie la situazione è disastrosa: se ne parla a Roma alla Fiera dei medi e piccoli editori

Il libro non è arrivato a Eboli

Solo 5 comuni su 100 in Meridione e nelle Isole dispongono di una libreria e ben 112 comuni con più di 20.000 abitanti ne sono privi. Parla Giovanni Peresson,dell’Aie: «Come rimediare? Favoritismi no, ma sostegno per i primi due o tre anni dell’attività sì», «Ma i potenziali lettori ci sono: lo dimostrano le esperienze di quei librai che hanno messo gazebo in piazza o in altri luoghi:ottenendo ottimi risultati».

Da Roma Paola Springhetti (Avvenire, 06.12.2006)

Se nelle regioni del Nord del nostro Paese la lettura di libri riguarda poco più del 50% della popolazione, nel Sud questa già poco consolatoria percentuale scende al 30%. E d’altra parte, che cosa ci si potrebbe aspettare visto che appena il 5% dei comuni delle regioni meridionali possiede una libreria, e soprattutto che ci sono 112 comuni con più di 20mila abitanti che non ne hanno neanche una? È vero, infatti, che sono i lettori a fare le librerie, ma è ancora più vero il contrario: sono le librerie, cioè i luoghi in cui si può scegliere tra un’offerta ricca e diversificata, nella quale si possono inseguire i propri interessi, che "creano" i lettori. E al Sud questi luoghi scarseggiano, così come scarseggiano le biblioteche, che sono l’altro luogo in cui si "coltivano" i lettori. Queste cifre sono contenute in un libro bianco sulla lettura che l’Aie (Associazione italiana degli editori) ha presentato un paio di mesi fa agli Stati generali dell’editoria. Saranno discusse, con tutte le loro implicazioni, in un dibattito organizzato all’interno della fiera della piccola e media editoria "Più libri più liberi" che si svolgerà da domani al 10 dicembre a Roma.

Il dibattito avrà per titolo "Il libro non è ancora arrivato a Eboli" (venerdì mattina, palazzo dei Congressi dell’Eur) e vedrà a confronto Giovanni Peresson, responsabile dell’ufficio studi di Aie e i titolari di alcune librerie del Sud. Perché comunque, anche nelle regioni meridionali, alcuni segni di ripresa e di vitalità si vedono: nella nascita di nuove case editrici, per esempio, e di nuove iniziative culturali. I motivi per cui al Sud le librerie scarseggiano sono di vario tipo. Secondo Peresson, «di fatto bisogna fare i conti con il fatto che se prendiamo come bacino d’utenza i lettori forti, al Sud sono 1/3 rispetto alle regioni del nord ovest. Di conseguenza si moltiplicano le soluzioni ibride: cartolerie che vendono anche libri o edicole con libri e giocattoli. In questo modo si cercano in altri campi le risorse per andare avanti».

Ma c’è anche una ragione di tipo amministrativo: «molte piccole-medie librerie del Nord hanno le amministrazioni come controparte. Può essere anche un rapporto conflittuale, a volte, ma spesso è di sostegno: le amministrazioni possono trovare spazi, organizzare festival o iniziative culturali che attirano lettori e accendono curiosità». A questi si aggiungono altri problemi di tipo organizzativo: «Il fatto che, ad esempio, la grande distribuzione non abbia magazzini al di sotto di Roma, per cui ordinare un libro da una città del Sud significa mettere in moto un processo complicato. O il fatto che meno risorse significa anche meno formazione per il personale e meno investimento in quelle innovazioni tecnologiche che si tramutano in servizi per il cliente».

In questa analisi sono già contenute alcune proposte su cui lavorare, e le esperienze che verranno presentate nell’incontro di venerdì in qualche modo le incarnano. Sta a rappresentare l’intraprendenza dell’imprenditoria privata la libreria Primalibri, aperta da Colomba Rossi Carlotto a Quartu, che è il terzo comune della Sardegna quanto a numero di abitanti, ma non aveva neanche un libreria prima di questa. Paolo Pisanti, invece, ha aperto VesuvioLibri a San Giorgio a Cremano, nell’hinterland napoletano: lì il Comune aveva restaurato una grande villa settecentesca, e ne aveva destinato i locali a una biblioteca, a una enoteca e a una libreria. E avere dei locali a disposizione non è poco, per chi vuole partire.

Ada Codecà, invece, gestisce a Ostia la libreria Almayer nata nel 2003 all’interno di una biblioteca, la Elsa Morante di Ostia: per aprirla ha potuto usufruire dei fondi di un progetto del Comune e della Provincia di Roma che ha lo scopo di sostenere la nascita di nuove librerie nelle periferie della capitale. Ognuna di queste esperienze costituisce un’ipotesi di lavoro. «Non vogliamo favoritismi», puntualizza Peresson, «ma sostegno per i primi due, tre anni di attività, que lli fondamentali per avviarla». E il ritorno per le amministrazioni sarebbe interessante, e non solo dal punto di vista economico. «La libreria è luogo di coesione sociale, oltre che di produzione di cultura». Al Sud, del resto, i potenziali lettori ci sarebbero. Lo dimostrano le esperienze di quei librai «che in varie occasioni hanno messo gazebo in piazza o in altri luoghi, e hanno sempre avuto ritorni economici straordinari».


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