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IL NEGAZIONISMO COME "INESISTENZIALISMO" E I VISIONARI DELLA METASTORIA COME I VISIONARI DELLA METAFISICA. Come distinguere il romanzo dalla storia? Come è possibile la conoscenza storica? Come distinguere l’illusione dall’apparenza?

VIDAL-NAQUET, KANT, E CARLO GINZBURG. TRACCE PER UNA STORIOGRAFIA CRITICA. Un invito a (rileggere Kant e) focalizzare meglio la questione. Alcune pagine da “Un Eichmann di carta” di Vidal-Naquet e una nota di Carlo Ginzburg (“La storia non si arrende alla fiction dei negazionisti") - a c. di Federico La Sala

La lezione di Vidal-Naquet sul confine tra realtà e narrazione. Carlo Ginzburg racconta come l’antichista, confutando le tesi di Faurisson sulla Shoah impresse una svolta alle ricerche sul passato
mercoledì 10 novembre 2010 di Federico La Sala
[...] Si può certo sostenere che ognuno abbia il diritto alla menzogna e al falso, e che la libertà individuale comporti questo diritto, riconosciuto, nella tradizione liberale francese, all’accusato per la su difesa. Ma il diritto che il falsario può rivedicare non gli deve essere concesso in nome della verità. [...] Né l’illusione, né l’impostura, né la menzogna sono estranee alla vita universitaria e scientifica [...]
Pierre Vidal-Naquet, Un Eichmann di carta. Anatomia di una (...)

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> VIDAL-NAQUET, KANT, E CARLO GINZBURG. TRACCE PER UNA STORIOGRAFIA CRITICA. ---- La recita di un codardo che merita solo l’oblio (di Stefano Jesurum)

venerdì 18 ottobre 2013

La recita di un codardo che merita solo l’oblio

di Stefano Jesurum (Corriere della Sera, 18 ottobre 2013)

E adesso anche il video-testamento. Diciamolo: tutto ciò che è accaduto dopo la morte di Erich Priebke e intorno a quella salma è l’ultimo obbrobrio compiuto dal boia delle Fosse Ardeatine e dai suoi compari, a cominciare da Paolo Giachini. Un «avvocato», Giachini, che nella registrazione del centenario ergastolano e nostalgicamente intitolata Vae victis, Guai ai vinti, presenta il capitano delle SS secondo i più triti canoni del negazionismo come un soldato tedesco di stanza a Roma «con compiti di antiterrorismo e lotta alla guerriglia». L’intero copione è stato preparato con puntiglioso rigore e con la collaborazione del moribondo.

Ogni passaggio della macabra pagliacciata ricorda troppo la «banalità del male» che i grandi processi della Storia ci hanno insegnato. Per questo ho orrore per Priebke e per i suoi compari. Perché hanno fatto vincere ancora una volta l’odio, risvegliandolo. Quel carro funebre preso a calci dalla disperazione della Memoria, quelle braccia alzate nel saluto romano, il pianto dei sopravvissuti chiamati ancora una volta a ricordare, le domande dei nostri figli, dei nostri nipoti. Il sale di nuovo versato sulle ferite di chi, come noi, ha avuto pezzi di famiglia passati per i camini; di chi, come molti, ha avuto un parente o un amico torturato e ucciso perché antifascista; di chi ha ascoltato la sera i racconti su quel prete buono fucilato insieme ai suoi parrocchiani.

Le immagini e le parole del video-testamento sono le immagini e le parole di un vigliacco che accusa della strage delle Fosse Ardeatine i gappisti dell’attentato a via Rasella e i superiori che hanno impartito gli ordini. Non una volta che si sia preso le proprie responsabilità. Dice Giachini che Priebke si sarebbe pentito. Ad ascoltarlo non sembra proprio. E comunque non ci interessa. Il «pentimento» sarebbe servito a lui e alla sua coscienza, non alle persone che non torneranno a noi. Che scompaia nell’oblio.

Guardo il video e sento l’urlo muto di Primo Levi: «Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi»


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