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IL NEGAZIONISMO COME "INESISTENZIALISMO" E I VISIONARI DELLA METASTORIA COME I VISIONARI DELLA METAFISICA. Come distinguere il romanzo dalla storia? Come è possibile la conoscenza storica? Come distinguere l’illusione dall’apparenza?

VIDAL-NAQUET, KANT, E CARLO GINZBURG. TRACCE PER UNA STORIOGRAFIA CRITICA. Un invito a (rileggere Kant e) focalizzare meglio la questione. Alcune pagine da “Un Eichmann di carta” di Vidal-Naquet e una nota di Carlo Ginzburg (“La storia non si arrende alla fiction dei negazionisti") - a c. di Federico La Sala

La lezione di Vidal-Naquet sul confine tra realtà e narrazione. Carlo Ginzburg racconta come l’antichista, confutando le tesi di Faurisson sulla Shoah impresse una svolta alle ricerche sul passato
mercoledì 10 novembre 2010 di Federico La Sala
[...] Si può certo sostenere che ognuno abbia il diritto alla menzogna e al falso, e che la libertà individuale comporti questo diritto, riconosciuto, nella tradizione liberale francese, all’accusato per la su difesa. Ma il diritto che il falsario può rivedicare non gli deve essere concesso in nome della verità. [...] Né l’illusione, né l’impostura, né la menzogna sono estranee alla vita universitaria e scientifica [...]
Pierre Vidal-Naquet, Un Eichmann di carta. Anatomia di una (...)

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> VIDAL-NAQUET, KANT, E CARLO GINZBURG. TRACCE PER UNA STORIOGRAFIA CRITICA. ---- GLI EQUIVOCI DELLA MEMORIA (di Valentina Pisanty e di Furio Colombo).

martedì 24 gennaio 2012

Gli equivoci della Memoria

di Valentina Pisanty e di Furio Colombo (il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2012)

      • Pubblichiamo un botta e risposta tra Valentina Pisanty, autrice del volume “Abusi di memoria. Negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah” (di cui, venerdì 20 gennaio Il Fatto aveva pubblicato un estratto), e Furio Colombo, che nell’edizione di domenica scorsa aveva citato il libro, contestandone alcune tesi.

Caro Furio,

grazie della menzione e dell’occasione che mi dai per spiegare meglio una materia complicata di cui vorrei chiarire alcuni aspetti. Innanzitutto sgombero il campo da un possibile equivoco: quando ho suggerito che forse “il difetto sta nel manico, e cioè nella scelta di rubricare la rievocazione della Shoah sotto la categoria della Memoria anziché della Storia”, non intendevo affatto contestare l’importanza e la legittimità del Giorno della Memoria in quanto tale.

Ho seguito con partecipazione l’appassionata battaglia parlamentare con cui sei riuscito a far approvare la legge 211, rompendo decenni di silenzio sul razzismo fascista, e penso che il Giorno della Memoria abbia tuttora una rilevante funzione pedagogica da svolgere. Ciò che invece mi lascia perplessa è un diffuso equivoco di fondo sul senso di questa ricorrenza, che molti tendono a considerare come un’occasione celebrativa, nel triplice significato di commemorazione solenne, di cerimonia rituale e di glorificazione di una qualche identità collettiva (ma quale?). È questo, del resto, il senso delle altre ricorrenze prescritte dal calendario istituzionale, dove l’evento ricordato è edificante, se non addirittura gioioso: attributi evidentemente incompatibili con la storia delle persecuzioni razziali e della Shoah.

Forse l’equivoco si insinua già nella scelta della data del 27 gennaio, che da una parte fa pensare alla fine dell’incubo (qualcosa da “festeggiare”, dunque), e dall’altra stempera la specificità italiana dell’evento commemorato. Ricordo che in origine avevi proposto il 16 ottobre, e sarebbe interessante capire perché il Parlamento abbia bocciato questa data, ben più pertinente. La citazione di Halbwachs sugli usi politici della memoria evidentemente non getta alcuna ombra sulle intenzioni di una legge pensata come stimolo a studiare senza indulgenza i trascorsi razzisti di un paese che per lungo tempo si è consolato con il mito degli italiani brava gente. Ma le applicazioni della legge non sempre ne colgono o ne rispettano l’intenzione. Mi è sembrato perciò opportuno definire meglio i termini di una Memoria che - nel momento in cui diventa memoria critica, e non celebrazione stucchevole di non si capisce bene quale identità collettiva - confluisce sì nella Storia, come giustamente sottolinei.

Valentina Pisanty

Cara Valentina,

sono grato della tua attenta risposta che mi permette di aggiungere qualche precisazione e qualche notizia. Una notizia, è, per esempio, che la Memoria evocata dalla legge che ne prende il nome (“Giorno della Memoria”) per ragioni che potremo studiare e discutere, non ha mai dato luogo a “occasioni celebrative nel triplice significato di commemorazione solenne, di cerimonia rituale e di glorificazione”. C’è stata e c’è una risposta dei media, questo sì. Ma nessun movimento di autorità e istituzioni,come avviene invece, per esempio, per eventi militari o date di storia politica. Molti insegnanti sensibili e preparati ne parlano nelle scuole. Ma non mi risulta che vi sia mai stata una circolare ministeriale in proposito.

Quanto ai “viaggi della memoria” di molte scuole (se non sbaglio iniziati a Roma quando era sindaco Veltroni) sono ormai una tradizione bella, radicata e sporadica, iniziata prima della legge. Come vedi, glorificazione e celebrazione appaiono uno scampato pericolo. Resta il problema di parlare, e di invitare a parlare, di ciò che, certo in Italia, è stato a lungo taciuto. E c’era la necessità storica e politica di dichiarare per legge (questo è l’unico frutto giuridico di quelle poche righe) che la Shoah è un delitto italiano.

Si tratta di una certificazione che chiude per sempre ogni dibattito sul fascismo. È vero, la data da me indicata nella prima stesura era il 16 ottobre, la notte del 1943 in cui 1017 cittadini italiani ebrei sono stati strappati dalle loro case a Roma da soldati tedeschi su indicazioni dettagliate della polizia italiana. Tutto ciò è avvenuto nel silenzio di Roma, a 500 metri dal Vaticano. E il treno italiano per Auschwitz ha viaggiato in orario per giorni e per notti con un carico umano che non è mai più ritornato.

La data non è stata cambiata dal Parlamento. Il 27 gennaio era già stato indicato come possibile "giorno della memoria " di tutta l’Unione europea e suggerito vivamente da Tullia Zevi, allora presidente delle Comunità Ebraiche italiane, per indicare, nella caduta dei cancelli di Auschwitz non la fine di un incubo (che finirà solo nel maggio successivo) ma la vastità del delitto che Auschwitz-Birkenau,più di altri campi, rappresentava: ebrei ma anche Rom, omosessuali e tanti fra coloro che avevano avuto il coraggio di opporsi. L’identità collettiva, Valentina, è quella di coloro che anche oggi dicono no, qualunque sia il rischio.

Furio Colombo


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