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IL MONOTEISMO DEL "PARTITO DELL’AMORE" E DEL DENARO (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006) NON E’ IL MONOTEISMO DELL’AMORE ("Deus charitas est": 1 Gv., 4.8) DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI E DELLA COSTITUZIONE. E IL "LOGOS" NON E’ UN "LOGO"!

IL VATICANO E IL "BERLUSCONISMO" DELLA PAROLA. BENEDETTO XVI: "L’IDEA DI UGUAGLIANZA DEMOCRATICA E’ FIGLIA DEL MONOTEISMO EVANGELICO". MA - COME SI SA - NON DEL MONOTEISMO CATTOLICO-COSTANTINIANO!!! Il discorso del Papa ai membri della Commissione teologica internazionale - a c. di Federico La Sala

(...) sappiamo bene che la parola «logos» ha un significato molto più largo, che comprende anche il senso di «ratio», «ragione». E questo fatto ci conduce ad un secondo punto assai importante (...)
domenica 5 dicembre 2010 di Federico La Sala
[...] Contemplazione di Dio rivelato e carità per il prossimo non si possono separare, anche se si vivono secondo diversi carismi. In un mondo che spesso apprezza molti doni del cristianesimo - come per esempio l’idea di uguaglianza democratica senza capire la radice dei propri ideali, è particolarmente importante mostrare che i frutti muoiono se viene tagliata la radice del l’albero. Infatti non c’è giustizia senza verità, e la giustizia non si sviluppa pienamente se il suo orizzonte è (...)

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> IL VATICANO E IL "BERLUSCONISMO" DELLA PAROLA - L’IDEOLOGIA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO DELL’ALTRO E IL SONNO DOGMATICO (di Bruno Forte - E dopo le ideologie? L’Altro).

lunedì 6 dicembre 2010


-  IL NOME DI DIO. L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"

-  FEDE E CARITA’ ("CHARITAS"): CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI"). Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato!


E dopo le ideologie? L’Altro

di Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 05.12.2010)

Che cosa ha fatto cultura negli ultimi 150 anni e che ruolo potrà avere la cultura nei prossimi 150 anni? La complessità dell’analisi e il necessario rifiuto di letture semplicistiche rendono ardua la risposta a questa domanda.

Uno sguardo all’odierna situazione dell’Occidente, nel quadro più ampio del "villaggio globale", consente tuttavia l’audacia di una risposta, che ha piuttosto il sapore di una provocazione. La parabola della modernità occidentale si è sviluppata nell’ultimo secolo e mezzo all’insegna di una straordinaria affermazione e di una non meno vistosa disgregazione: l’orizzonte omogeneo dei sistemi ideologici - di quel mondo delle ideologie e delle loro realizzazioni storiche, caratterizzabile nel segno del "trionfo dell’identità" - ha ceduto il posto a processi di forte frammentazione, accompagnati dal delinearsi di modelli culturali molteplici e spesso antagonisti fra di loro, che hanno prodotto la "folla delle solitudini" tipica della società "post-moderna", in cui ognuno sente l’altro come "straniero morale" e ogni orizzonte comune sembra perduto. È il tempo del "trionfo della differenza", tipico della "società liquida" nella quale ci troviamo, tale non per l’assenza, quanto appunto per la molteplicità di pretese di verità, spesso in conflitto fra loro. Fra identità e differenza la cultura degli anni che verranno dovrà cercare una terza via: oltre la "luce" moderna e la "notte" dell’inquieta post-modernità, è possibile intravedere un’aurora?

La metafora della luce esprime il principio ispiratore della modernità, la pretesa della ragione adulta di comprendere e dominare ogni cosa. Illuminare razionalmente il mondo e la vita avrebbe dovuto rendere l’uomo padrone del proprio destino, emancipandolo da ogni dipendenza: l’emancipazione" è stato il sogno che ha alimentato i grandi processi di trasformazione dell’epoca moderna. L’ideologia, però, tende a emancipare il mondo imponendo l’ordine della ragione a ogni cosa, fino a stabilire l’equazione compiuta fra ideale e reale: per questo è necessariamente violenta. Il sogno di totalità diventa inesorabilmente totalitario. Ed è precisamente l’esperienza storica della violenza dei totalitarismi ideologici a produrre la crisi delle pretese della ragione moderna. «La terra interamente illuminata - affermavano già Max Horkheimer e Theodor W. Adorno all’inizio della loro Dialettica dell’Illuminismo - risplende all’insegna di trionfale sventura» (Torino 1966, 11). Se la ragione adulta dava senso a tutto, il pensiero debole della condizione post-moderna non riconosce senso a nulla. È tempo di naufragio e di caduta, di oscurità e di notte, segnato soprattutto dall’indifferenza: il rifiuto degli orizzonti totalizzanti dell’ideologia si traduce per molti nella rinuncia a porsi la domanda sul senso e perfino nella perdita del gusto a cercare le ragioni ultime del vivere e del morire umano. Si profila l’estremo volto della crisi culturale della coscienza europea agli inizi del terzo millennio: il volto della décadence. Questa svuota di forza il valore, perché non ha interesse a misurarsi con esso. Viene meno la passione per la verità: la "cultura forte" dell’ideologia si frantuma nei tanti rivoli delle "culture deboli", dove la mancanza di speranze "in grande" piega ciascuno nel corto orizzonte del suo "particulare". La fine delle ideologie appare così veramente come la pallida avanguardia dell’avvento dell’idolo, che è il relativismo di chi non ha più alcuna fiducia nella forza della verità.

L’analisi dei processi in atto non esclude però alcuni segnali di aurora. C’è una ’nostalgia di perfetta e consumata giustizia" (Max Horkheimer), che si lascia riconoscere in una sorta di ricerca del senso perduto. Non si tratta di "une recherche du temps perdu", di un’operazione rivolta al passato, ma di uno sforzo diffuso di ritrovare il senso al di là del naufragio, per discernere un orizzonte che ispiri la direzione del cammino.

Fra le espressioni di questa ricerca va segnalatala riscoperta dell’altro: si profila una crescente coscienza delle esigenze della solidarietà, a livello interpersonale, come pure sociale ed internazionale; va emergendo una sorta di "nostalgia del Totalmente Altro", una riscoperta delle domande ultime e dell’ultimo orizzonte; si delinea l’esigenza di un nuovo consenso intorno alle evidenze etiche per motivare l’impegno morale non in vista del risultato che se ne può trarre, ma per la forza del bene in se stesso. La ricerca che si fa strada nella crisi del nostro presente ha dunque il volto dell’altro, non solo di quello prossimo e immediato, ma anche dell’Altro che sia fondamento trascendente del vivere e del vivere insieme. È nel confrontarsi con questa domanda che si giocherà il futuro prossimo e remoto del nostro presente. Oltre il conflitto fra identità e differenza, sarà l’accoglienza dell’Altro a salvarci?


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