MENTE ACCOGLIENTE. DUE SOLI (DANTE): USCIRE DALL’INFERNO EPISTEMOLOGICO, dalla dialettica "tunica di Nesso" ... *
Leader e popolo, una fusione pericolosa
di Lea Melandri **
La politica dell’odio comporta inevitabilmente la ricaduta su un capro espiatorio, ma prevede anche che ci sia un abile manovratore che lo riconosca e lo additi come la causa di tutti i mali. Meno visibile, ma determinante è il sentimento che sta a monte, e cioè il rancore, inascoltato e diffuso quanto basta per fare di un capo autoritario l’espressione ritenuta più genuina della volontà di un popolo. Contraddittoriamente, è proprio la perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni che dovrebbero rappresentarli - partiti, sindacati, parlamento, amministrazioni, ecc.- a imprimere alle democrazie una svolta sovranista. La saldatura avviene non a caso attraverso un linguaggio che scambia la politica col senso comune, il ragionamento con le emozioni, la verità con la demagogia, la legge con la vendetta.
Se la mozione degli affetti è smaccatamente l’arma preferita dal cinismo politico di Matteo Salvini, pronto ad agitare, per la cattura del suo pubblico, crocefissi, rosari, bambini violati, il malcontento che ha portato alla presidenza degli Usa inaspettatamente un personaggio come Donald Trump, non è molto diverso da quello che sta all’origine del successo elettorale della Lega. In un libro di una decina di anni fa, Il rancore (Feltrinelli 2008), Aldo Bonomi parlava della comparsa nelle fabbriche di “una forma di sordo rancore quale reazione alla frustrazione di un ruolo sociale perduto”.
“Imprenditore politico della paura”, la Lega - commentava Bonomi - non aveva avuto difficoltà a indirizzare le paure e le insicurezze dei “naufraghi del fordismo” contro la “concorrenza sul mercato del lavoro da parte degli immigrati, l’ingiustizia perpetrata a loro danno con la concessione degli alloggi agli extracomunitari, l’impossibilità della convivenza tra soggetti portatori di culture diverse”. Riflessioni analoghe sul legame tra populismo e sovranismo si trovano nella intervista di Eleonora Capuccilli a Wendy Brown (Il Manifesto 7.1.20):
Nel momento in cui si dissolvono i legami che per un secolo hanno strutturato le relazioni sociali, la partecipazione politica e l’azione collettiva, a venire allo scoperto è una moltitudine di singoli, avviati verso un individualismo sempre più competitivo: l’individualismo proprietario o “il capitale umano”, di cui si parla oggi. Le ricadute della globalizzazione sui luoghi della vita quotidiana, la scomparsa del lavoro in una miriade di impieghi sottopagati o gratuiti, a cui va aggiunta la crisi del patriarcato e dei secolari privilegi del sesso maschile, muovono paure, spaesamento, fanno emergere fragilità insospettate, bisogno di protezione e ripiegamento su identità e appartenenze tradizionali, oltre a violenze di matrice sessista e razzista, nostalgie di regimi autoritari.
Dire che oggi “il re è nudo” significa riconoscere il limite della politica separata, la
Dire che la “psiche individuale” è oggi il campo attraverso cui “passano tensioni politiche di un’epoca sospesa tra rancore, chiusure verso il nuovo che avanza e la prefigurazione di forme comunitarie più libere che in passato” (A. Bonomi), significa rendersi conto - come ha fatto il femminismo - che la figura del cittadino non coincide con la “persona”, vista nella sua interezza, corpo e pensiero, e nella appartenenza a sessi diversi.
Nella “viscere della storia” si può pensare che siano rimasti, non indagati, tesori di cultura, insospettate potenzialità antropologiche, così come pulsioni arcaiche, sogni, pregiudizi: un rimosso inferno infantile che preme per la sua reincarnazione.
L’uscita dal dualismo si era affacciata alla coscienza storica con i movimenti non autoritari degli anni Settanta, sintomo essi stessi della modificazione dei confini tra privato e pubblico, e, contemporaneamente, prefigurazione di nuove forme dell’agire politico.
Il problema era di cercare nessi, che ci sono sempre stati, tra un polo e l’altro e spingere le analisi politiche verso una “regione bio-psico-sociologica”. Non si poteva immaginare allora che i nuovi percorsi aperti dal ’68 e dal femminismo come riscoperta della politicità del vissuto personale, uscita dalla passività e dalla delega, partecipazione di coloro che sono sempre stati esclusi dal potere, valorizzazione dei sentimenti e dei sogni, sarebbero stati nel giro di alcuni decenni assorbiti dalle tecnologie digitali, ripresi e piegati a finalità opposte dal populismo di destre autoritarie.
Nell’“acquario Web” si può dire che passano la saldatura tra leader carismatico e popolo, e l’illusione partecipativa. “L’affermazione globale di Internet - si legge nel libro di Alessandro Dal Lago. Populismo digitale (Raffaello Cortina
2017) - rende superflua la distinzione fondamentale tra vita pubblica e vita privata. Chi agisce in rete, come blogger,
come commentatore, acquirente, semplice flaneur o attore politico potenziale, si trova in una situazione privata, perché è a casa sua o comunque isolato, e al tempo stesso pubblica..”.
Tipico del populismo digitale di leader come Trump, Salvini, Grillo, è il coinvolgimento che passa attraverso un linguaggio rozzo, volgarità, sensazionalismo, ammiccamenti ai ceti impoveriti dalla crisi economica, ritorno alle logiche amico-nemico, che si tratti di migranti, omosessuali o femministe. Dell’importanza di un “rapporto emotivo” sembra essersi accorta tardivamente anche la sinistra partitica, oggi all’affannosa ricerca di “un’anima”. Che ci siano movimenti, come quello delle Sardine, a offrirgliene una all’occorrenza, non sembra sufficiente. Si potrebbe invece vedere nel movimento a difesa dell’ambiente e nella rete globale femminista di Non Una Di Meno, oggi protagonisti sulla scena del mondo, la “ripresa” di quella cultura politica che negli anni Settanta ha avviato forme nuove e più libere di convivenza umana.
* *Pubblicato su Il Riformista e qui con l’autorizzazione dell’autrice (Comune-info, 20 Febbraio 2020 (ripresa parziale, senza immagine]).
Non Una di Meno: Appello per la mobilitazione dell’8 marzo e Sciopero femminista e transfemminista del 9 marzo 2020
* SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
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Federico La Sala