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VATICANO, COPYRIGHT, E CARO-PREZZO ("CARITAS"): "IN PRINCIPIO ERA LA PAROLA" A PAGAMENTO!!! FIN DALLA PRIMA ENCICLICA TUTTO A PAGAMENTO !!! QUESTO E’ IL " LOGO" DEL "NOSTRO SIGNORE": PAROLA DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA ...

LA "LUCE DEL MONDO" SONO "IO"!!! CHE SUCCESSO, QUANTI SOLDI CON I DIRITTI DI AUTORE!!! Il benvenuto alla “Ratzinger Academy”. Una nota di Philippe Clanché ("Témoignage chrétien") - a cura di Federico La Sala

(...) il libro-intervista di Benedetto XVI con il giornalista tedesco Peter Seewald è già un successo di libreria (...)
giovedì 20 gennaio 2011 di Federico La Sala
[...] La metà dei guadagni di questo libro, così come dei precedenti - ossia già 2,5 milioni di euro - sarà destinata alle opere di carità del pontefice. L’altra metà servirà per una struttura cui è stato dato avvio in marzo e che è stata annunciata il 26 novembre: la Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI (1). La sua finalità sarà quella di sostenere gli studi sul pensiero del teologo divenuto pontefice [...]
SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS (...)

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> LA "LUCE DEL MONDO" SONO "IO"!!! ---- Il Gesù storico secondo Ratzinger (di Vito Mancuso) - Ma dov’è oggi il vento della Chiesa? (di Angelo Bertani).

venerdì 11 marzo 2011

Il Gesù storico secondo Ratzinger

di Vito Mancuso (la Repubblica, 11 marzo 2011)

Nel primo libro su Gesù pubblicato nel 2007 Benedetto XVI chiedeva ai lettori «quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione». Aveva ragione, perché occorre essere ben disposti verso l’autore di un libro o di una musica, come verso ogni persona che si incontra, per poter adeguatamente comprendere. È necessario però capire bene il senso della simpatia richiesta dal pontefice: nell’ambito teologico in cui si colloca non si tratta di un semplice sentimento, il quale peraltro c’è o non c’è perché nasce solo spontaneamente. Simpatia va intesa qui nel senso originario di patire-con, coltivando un comune pathos ideale. La domanda quindi è: qual è il pathos che ha mosso Benedetto XVI a pubblicare due volumi su Gesù di oltre 800 pagine complessive, di cui oggi arriva in libreria il secondo che riguarda, recita il sottotitolo, il periodo «dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione»?

La preoccupazione del Papa concerne il problema decisivo del cristianesimo odierno, a confronto del quale i cosiddetti "valori non negoziabili" (scuola, vita, famiglia) sono acqua fresca: cioè il legame tra il Gesù della storia reale e il Cristo professato dalla fede. Senza scuole cattoliche il cristianesimo va avanti, senza leggi protettive sulla famiglia e la bioetica lo stesso, anzi non è detto che una dieta al riguardo non gli possa persino giovare. Ma senza il legame organico tra il fatto storico Gesù (Yeshua) e quello che di lui la fede confessa (che è il Cristo) tutto crolla, e alla Basilica di San Pietro non resterebbe che trasformarsi in un museo. Nella fondamentale premessa del primo volume, una specie di piccolo discorso sul metodo, il Papa si chiede "che significato può avere la fede in Gesù il Cristo (...) se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa", domanda retorica la cui unica risposta è "nessun significato" e da cui appare quanto sia decisiva la connessione storia-fede.

Chiaro l’obiettivo, altrettanto lo è il metodo: «Io ho fiducia nei Vangeli (...) ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio»; concetto ribadito nella premessa del nuovo volume dove l’autore scrive di aver voluto «giungere alla certezza della figura veramente storica di Gesù» a partire da «uno sguardo sul Gesù dei Vangeli». Il Papa fa così intendere che mentre l’esegesi biblica contemporanea perlopiù divide il Gesù storico reale dal Cristo dei Vangeli e della Chiesa, egli li identifica mostrando che la costruzione cristiana iniziata dagli evangelisti e proseguita dai concili è ben salda perché poggia su questa esatta equazione: narrazione evangelica = storia reale. Questo è l’intento programmatico su cui Benedetto XVI chiede la sua "simpatia".

Peccato per lui però che in questo nuovo volume egli stesso sia stato costretto a trasformare il segno uguale dell’equazione programmatica nel suo contrario: narrazione evangelica ? storia reale.

Il nodo è la morte di Gesù, precisamente il ruolo al riguardo del popolo ebraico, questione che travalica i confini dell’esegesi per arrivare nel campo della storia con le accuse di "deicidio" e le immani tragedie che ne sono conseguite. Chiedendosi "chi ha insistito per la condanna a morte di Gesù", il Papa prende atto che "nelle risposte dei Vangeli vi sono differenze": per Giovanni fu l’aristocrazia del tempio, per Marco i sostenitori di Barabba, per Matteo "tutto il popolo" (su Luca il Papa non si pronuncia, ma Luca è da assimilare a Matteo). E a questo punto presenta la sorpresa: dicendo "tutto il popolo", come si legge in 27,25, "Matteo sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte di Gesù?".

Sono parole veritiere e coraggiose (per le quali sarebbe stato bello che il Papa avesse fatto il nome dello storico ebreo Jules Isaac e del suo libro capitale del 1948 Gesù e Israele, purtroppo ignorato), ma che smentiscono decisamente l’equazione programmatica che è il principale obiettivo di tutta l’impresa papale, cioè l’identità tra narrazione evangelica e storia reale.

Alle prese con uno dei nodi più delicati della storia evangelica, il Papa è stato costretto a prendere atto che i quattro evangelisti hanno tre tesi diverse, e che una di esse «sicuramente non esprime un fatto storico». Se questa incertezza vale per uno degli eventi centrali della vita di Gesù, a maggiorragione per altri. Ne viene quello che la più seria esegesi biblica storico-critica insegna da secoli, cioè la differenza tra narrazione evangelica e storia reale.

Significa allora che tutta la costruzione cristiana crolla? No di certo, significa piuttosto che essa è, fin dalle sue origini, un’impresa di libertà. Non è data nessuna statica verità oggettiva che si impone alla mente e che occorre solo riconoscere, non c’è alcuna "res" al cui cospetto poter presentare solo un’obbediente "adaequatio" del proprio intelletto, non c’è nulla nel mondo degli uomini che non richieda l’esercizio della creativa responsabilità personale, nulla che non solleciti la libertà del soggetto.

La libertà di ciascun evangelista nel narrare la figura di Gesù è il simbolo della libertà cui è chiamato ogni cristiano nel viverne il messaggio. Se persino di fronte ai santi Vangeli la libertà del soggetto è chiamata a intervenire discernendo ciò che è vero da ciò che "sicuramente non esprime un fatto storico", ne viene che non esiste nessun ambito della vita di fede dove la libertà di coscienza non debba avere il primato (compresa la libertà di non prendere così tanto sul serio l’etichetta "valori non-negoziabili" apposta dal Magistero alla triade scuola-famiglia-vita). Affrontare seriamente la figura di Gesù, come ha fatto Benedetto XVI in questo suo nuovo libro, significa essere sempre rimandati alla dinamica impegnativa e responsabilizzante della libertà


Ma dov’è oggi il vento della Chiesa?

di Angelo Bertani (Europa, 11 marzo 2011)

Voci di disagio nella chiesa italiana. Ma è un disagio che è anche indice di speranza che si possa cambiare, uscire dal pantano. Già qualche anno fa Luigi Bazoli, fra i protagonisti del cattolicesimo democratico a Brescia, la cui moglie fu tra le vittime di Piazza della Loggia, scriveva: «Il pericolo più grave non è quello che viene da fuori, bensì un male oscuro che insidia da dentro le istituzioni. È un appannarsi dei valori ideali, è lo scivolare della vita politica su binari di interessi corporativi inconfessabili, è una montante mediocrità di comportamenti civili, amministrativi, politici, che allontana i giovani dalla vita pubblica, e diffonde sfiducia e scetticismo. Se resta povera di ideali, di rigore morale nella vita pubblica, ogni democrazia si corrompe».

Del resto, un laico cristiano come Nando Fabro, già ai tempi in cui finiva la prima repubblica e si cercava di dar vita a nuovi partiti, scriveva: «Vorrei un partito che prima ancora di proporsi di migliorare la società si proponesse di migliorare i suoi aderenti». Oggi la sfida è tutta qui. Non è solo la politica a preoccupare. Don Angelo Casati, scrittore e teologo, ricorda don Michele Do, altro profeta del cristianesimo conciliare, nella rivista Il Gallo (febbraio 2011), confessa il suo timore che nella Chiesa stia venendo meno il vento della libertà e dello Spirito. Ricorda le parole di Gesù e scrive: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non si sa di dove viene e dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito. Ma adesso dov’è il vento nella Chiesa? Io l’ho respirato a pieni polmoni nel Concilio; oggi mi manca l’aria».

Accanto al disagio anche segni di speranza. Difficoltà e sfide suscitano un impegno a capire e proporre pensieri e comportamenti nuovi. I vescovi lombardi, vincendo le tentazioni del silenzio, hanno confessato un forte disagio per la situazione socio-politica, per i temi e i toni del dibattito pubblico, per l’inquietudine diffusa. Il vescovo di Brescia Luciano Monari per la festa dei patroni Faustino e Giovita (15 febbraio) aveva diffuso una bella lettera sui temi dell’immigrazione (Stranieri, ospiti, concittadini) disegnando un progetto di accoglienza certamente molto diverso da ciò che le scelte amministrative della Lega vorrebbero imporre anche in luoghi di radicata ispirazione cristiana. Si tratta infatti di mettere in luce la contraddizione tra lo spirito evangelico e una politica gretta ed egoista. Ilvo Diamanti (Aggiornamenti sociali, febbraio 2011) l’aveva scritto: «La Chiesa in questi anni è stata nell’insieme troppo realista e molto divisa, non soltanto nei confronti della Lega ma di tutto il centro-destra, creando un forte disorientamento nei fedeli e lasciando troppi margini di strumentalizzazione ai singoli partiti».


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