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BANALITA’ DEL MALE. J. Roth, prima di Hannah Arendt, denunciò Hitler come “banale Medusa” e intuì che trasgredire il rispetto per gli altri non è solo crudele, ma volgare

JOSEPH ROTH E IL SUO "BUON COMBATTIMENTO" CONTRO L’ANTICRISTO. Un omaggio di Claudio Magris, al nemico di ogni totalitarismo - a cura di Federico La Sala

L’Anticristo, uscito nel 1934 (ora ripubblicato da Editori Riuniti), è un guanto gettato in faccia al mondo intero e soprattutto alla modernità, un Giudizio universale che coinvolge e travolge l’autore stesso.
mercoledì 22 dicembre 2010 di Federico La Sala
[...] La buona battaglia di Roth è pervasa dal sentimento sacro e fraterno dell’uguaglianza di dignità e di diritti di tutti gli uomini, contro ogni razzismo, esplicitamente condannato nell’Anticristo, e contro ogni aristocrazia - di sangue, di denaro e anche di cultura[...]
KANT E L’ANTICRISTO. DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO: IL PROGRAMMA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO. LA LEZIONE CRITICA DI KANT. Alcune luminose pagine da "La fine di tutte le cose"
ANTONIO GRAMSCI, SULLA "ZATTERA DELLA (...)

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> JOSEPH ROTH E IL SUO "BUON COMBATTIMENTO" --- Vladimir Solov’ëv è un pensatore ostile alla democrazia, e il suo Breve racconto dell’Anticristo - che conclude i Tre dialoghi e dal quale sono tratti i capisaldi ideologici della nostra epoca (di Ernesto Galli Della Loggia - Dialoghi sull’uomo nell’età dell’ipocrisia).

sabato 5 marzo 2011

Dialoghi sull’uomo nell’età dell’ipocrisia

di Ernesto Galli Della Loggia (Corriere della Sera, 5 marzo 2011)

L’ossessione della non violenza, il solidarismo egualitario, un cristianesimo ridotto a pura istanza etica. Sono alcuni tratti del senso comune dominante nella nostra epoca, contro cui si scagliava oltre un secolo fa il pensatore russo Vladimir Solov’ëv. La sua polemica preveggente contro l’ipocrisia del mondo moderno ci aiuta a smascherare il pericolo totalitario che spesso si cela proprio dietro le attese migliori dell’umanità.

Chi di noi non è un convinto sostenitore dei diritti umani, del diritto internazionale, della composizione pacifica dei conflitti? E chi mai vorrebbe, od oserebbe, opporsi a una redistribuzione della ricchezza attuata «venendo incontro ai desideri dei poveri senza scontentare in modo sensibile i ricchi» ? Nessuno presumibilmente, dal momento che almeno qui in Occidente i punti appena enumerati non fanno altro che riassumere il pensiero dominante della nostra epoca, il suo senso comune.

Proprio contro questo senso comune dell’epoca che è diventata per intero la nostra, ma che egli già intravedeva, Vladimir Solov’ëv scaglia i suoi strali avvelenati scorgendone e additandone l’origine e i risvolti a suo giudizio maligni. Con il che egli viene inevitabilmente a collocarsi ai nostri occhi in una posizione che dire ambigua è dire poco, e assume i contorni di un intellettuale maneggiabile solo con estrema cautela. Perché? Perché in sostanza il pensiero, il senso comune, della nostra epoca che tanto dispiacciono a Solov’ëv non sono altro che il pensiero e il senso comune della democrazia quale oggi la intendiamo e (più o meno) la pratichiamo. Sicché la conclusione appare obbligata: Vladimir Solov’ëv è un pensatore ostile alla democrazia, e il suo Breve racconto dell’Anticristo - che conclude i Tre dialoghi e dal quale sono tratti i capisaldi ideologici della nostra epoca che ho citato all’inizio - è un manifesto del pensiero antidemocratico.

Nel giardino di una villa dalle parti di Cannes Solov’ëv immagina che s’incontrino cinque personaggi della buona società russa - un Generale, un Uomo politico, un giovane Principe, una Dama di mezz’età e un signor Z (che palesemente impersona Solov’ëv) - e che essi allaccino una fitta conversazione sulle cose del mondo, che il nostro autore finge di restituirci divisa in tre parti: per l’appunto I tre dialoghi. Il Generale non solo rivendica contro il pacifismo la dignità morale del mestiere delle armi e della guerra; ma osa addirittura menare vanto della spietata vendetta che le truppe russe al suo comando fecero in una guerra contro i turchi per punirli della strage ai danni di un villaggio armeno. L’Uomo politico, invece, è il portavoce del «progresso della cultura che domina il presente». Egli sostiene che «oggigiorno il periodo storico della guerra è finito in Russia come dappertutto» (salvo forse nelle ultime contrade selvagge del pianeta), e afferma che invece di distruggere la Turchia bisogna piuttosto cercare di «incivilire i turchi con spirito di amicizia». Nel terzo dialogo la scena è occupata dal giovane Principe. In lui Solov’ëv intende ritrarre la figura del perfetto (e per lui odioso) tolstojano: e cioè l’apostolo della non resistenza al male, di un cristianesimo senza Cristo e senza la Resurrezione, ridotto a compiacimento pauperistico e a pura precettistica morale.

Collocato per ultimo, il dialogo annuncia il racconto dell’Anticristo da parte del signor Z, il quale ne accenna in una battuta, anticipandone il significato: «l’Anticristo... non sarà la semplice incredulità, né la negazione del cristianesimo, né il materialismo o qualcosa di simile, ma sarà l’impostura religiosa, allorché il nome di Cristo sarà sfruttato da tutte le potenze umane che nelle azioni e nello spirito sono estranee e direttamente ostili a Cristo e al suo Spirito» .

E in effetti «Un’impostura religiosa» potrebbe essere un ottimo sottotitolo per il racconto dell’Anticristo. Certamente è la formula che agli occhi di Solov’ëv meglio riassume la situazione dell’epoca presente e la condizione fatta in essa al cristianesimo. Secondo una prospettiva storica, aggiungo, che a me sembra ben più complessa e problematica di quella offerta dai vari anticristiani e/o antidemocratici contemporanei del nostro autore. La differenza sta nel fatto che Solov’ëv si accorge, o comunque esprime il fondato sospetto, che forse non è per nulla vero che il cristianesimo sia effettivamente la religione della democrazia, la sua reale base ideologica. È preso dal sospetto (o forse bisognerebbe dire dalla certezza) che soprattutto non è affatto vero che la progressiva diffusione del «buonismo» democratico - mi si passi l’uso del neologismo, che però rende bene l’idea - cioè la progressiva diffusione di un insieme di mode, di luoghi comuni, di atteggiamenti ispirati a una sorta di convenzionale filantropismo, di obbligatorio virtuismo, è preso dal sospetto/certezza, dicevo, che tutto ciò non abbia molto a che fare con la verità della predicazione evangelica; che anzi ne sia una subdola contraffazione.

Solov’ëv, insomma, mette a fuoco una profonda frattura realmente verificatasi nel corso dell’Ottocento. E cioè il fatto che il secolo - come ormai anche a noi è chiaro, al di là di ogni contraria apparenza - non ha assistito in alcun modo al trionfo dell’irreligiosità. Ciò che è accaduto è stato sì un grande attacco alla religione tradizionale, ma proprio da tale vuoto, innanzitutto per riempirlo, sono sorte un gran numero di nuove religioni, di fedi che al posto di Dio hanno collocato altrettante divinità posticce: la nazione, la classe, lo sviluppo economico. Naturalmente in ognuna di tali religioni laiche sono rimasti tratti dell’antica religione, ma in nessun’altra ciò è avvenuto come in quella che forse è stata la nuova religione di maggior successo: vale a dire la religione dell’Umanità, l’umanitarismo. Ed è questa fede atea, è l’umanitarismo, non il cristianesimo, la vera religione della democrazia.

Per Solov’ëv il rappresentante per antonomasia di questo atteggiamento è Lev Tolstoj. Non il Tolstoj romanziere, evidentemente, ma il Tolstoj divenuto con il tempo una sorta di vero e proprio papa laico, firmatario a getto continuo di manifesti di protesta contro la guerra, contro il patriottismo, contro la violenza, contro la censura, contro la Chiesa (e anche contro il liberalismo parlamentare, per la verità: da non dimenticare); anticipatore di tutte le mode «bio» ed «eco» ; primo intellettuale e guru mediatico della scena europea, destinato nell’ultima parte della sua vita a essere seguito costantemente da qualche obiettivo fotografico e da una corte di seguaci qualunque cosa faccia: mentre lavora i campi (per sottolineare la propria vicinanza ai contadini), o mentre si fabbrica le scarpe da solo (per mostrare la propria vocazione alla vita semplice). Insomma il Tolstoj moderno intellettuale umanitario in servizio permanente effettivo: per molti versi iniziatore o comunque antesignano, noi diremmo, del «politicamente corretto» .

L’Anticristo di Solov’ëv è una sorta di Tolstoj al quadrato. Si fa avanti sullo sfondo di una planetaria globalizzazione culturale, che assomiglia al «ripetersi en grand dell’antico sincretismo alessandrino», e nel momento in cui l’Europa, appena liberatasi dal giogo del «mongolismo» asiatico, sta organizzandosi in Unione Europea (sic). «L’uomo del futuro», come lo chiama Solov’ëv, possiede in misura incredibile talento, gioventù, bellezza, nobiltà, disinteresse, ma pur credendo nel Bene «non ama che se stesso», ed è impegnato nel suo animo in una torbida, furiosa, competizione con la figura di Cristo, dietro la quale si staglia l’ombra di Satana: «Sono io, io, non Lui! Lui non è tra i viventi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto». La sua fama - prosegue il racconto - si diffonde come un baleno in tutto il mondo in seguito all’enorme successo di un libro di straordinaria genialità che «mette d’accordo tutte le contraddizioni»: La via aperta verso la pace e la prosperità universale, titolo non certo casuale per gli echi allusivi che certo Solov’ëv ha in mente. Un titolo, altresì, che compendia di fatto il suo programma di governo una volta che «l’uomo del futuro» - il quale, apprendiamo, è «per professione scienziato nel ramo della balistica e per posizione sociale un ricco capitalista» - viene eletto prima presidente a vita degli «Stati Uniti d’Europa», quindi «imperatore romano», per poi dar vita niente di meno che alla «monarchia universale», al dominio sull’intero pianeta.

La «lega universale della pace», il primato del diritto internazionale, il divieto della vivisezione («l’uomo del futuro» è anche un convinto vegetariano!), una semplice e completa riforma sociale grazie alla quale «ciascuno cominciò a ricevere secondo le sue capacità e ciascuna capacità secondo i lavori e i servizi» e per finire «l’eguaglianza della sazietà generale»: a completare questa sorta di eden il Grande Democrate aggiunge l’ultimo tassello, il requisito indispensabile di un compiuto regime di massa: i circenses. Nella forma - immagina Solov’ëv - di una specie di televisione ante litteram dovuta all’«operatore di miracoli» Apollonio, capace di «captare e guidare a propria volontà l’elettricità dell’atmosfera» e così suscitare «i prodigi e le apparizioni più diverse e più sorprendenti»: insignito perciò a buona ragione del titolo di «cancelliere imperiale e gran mago universale».

All’imperatore del mondo manca ormai solo un’ultima impresa per realizzare il suo incontrastato dominio: la conquista del potere spirituale. E cioè la cancellazione del cristianesimo. È a questo punto, però, che la natura diabolica dell’Anticristo è costretta a smascherarsi e la situazione precipita verso il redde rationem. In un drammatico susseguirsi di colpi di scena, nel corso di un Concilio da lui appositamente convocato a Gerusalemme con il proposito di proclamarsi «unico difensore ed unico protettore» della religione cristiana, egli arriva a un passo dal realizzare i suoi intenti. Annichiliti dai poteri diabolici suoi e di Apollonio, nel frattempo nominato addirittura Papa, i massimi rappresentanti dell’ortodossia, del cattolicesimo e del protestantesimo, dopo aver denunciato pubblicamente la vera natura dell’Anticristo, appaiono ormai vinti e dispersi.

Quando però avviene l’impensabile: il popolo ebreo, che peraltro «non era del tutto estraneo alla preparazione e all’affermazione dei successi universali del superuomo», e che in precedenza si era spinto a riconoscerlo come il Messia, scoprendo la sua ennesima impostura, e cioè che egli non è neppure circonciso, si ribella. «Tutto l’ebraismo - scrive Solov’ëv, manifestando il proprio filosemitismo - si sollevò come un solo uomo e i suoi nemici scopersero con sorpresa che l’anima di Israele nel suo fondo non vive di calcoli e bramosie di Mammona, ma della forza di un sentimento sincero, nella speranza e il corruccio della sua eterna fede messianica».

È come se egli volesse farci capire che è lì, nel giudaismo messianico, l’inesausta riserva di quel monoteismo etico che, trasfusosi poi nel cristianesimo, ha impregnato di sé l’anima di tutto l’Occidente. Dalla rivolta del giudaismo, infatti, parte la riscossa che in breve condurrà alla rovina l’imperatore del mondo, il quale insieme alle schiere del suo esercito finirà la propria avventura demoniaca inghiottito in un lago di fiamme creato dall’improvvisa comparsa di un vulcano. Il racconto termina con la visione di Gerusalemme, nel cui cielo appare la figura del Redentore, mentre ebrei e cristiani, ricongiunti nella città santa, si accingono «a vivere con Cristo per mille anni». A questo punto il dialogo sulle rive del Mediterraneo riprende anche se per poco, e noi veniamo a sapere che, guarda caso, il giovane Principe tolstojano ha abbandonato la riunione proprio nel punto del racconto in cui l’Anticristo veniva smascherato. È lo stesso signor Z, infine, che s’incarica di dare la spiegazione di quanto è stato narrato, ricorrendo a un banale proverbio: «Non è tutt’oro quello che luccica», e aggiungendo: «Lo splendore di un bene artefatto non ha nessuna forza».

Non solo insomma la storia non contiene alcuna certezza di progresso, è dominata dall’ambiguità: ma tanto più lo è quanto più essa appare vicina a realizzare le attese migliori dell’umanità. Il demoniaco moderno - ormai la lezione del totalitarismo novecentesco ce lo ha insegnato - non è il Male in sé, bensì il Male abbigliato in altri panni, il Male travestito da Bene. Vladimir Solov’ëv è andato un passo oltre dicendoci che anche nei rassicuranti paesaggi della democrazia si aggira insidioso l’Anticristo, il compagno segreto delle nostre troppo laiche certezze.


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