Un verdetto che cancella un’epoca
di Cesare Rimini (Corriere della Sera, 21 gennaio 2011)
La decisione della Suprema Corte è molto importante perché afferma che certe sentenze del giudice ecclesiastico sono contrarie all’ordine pubblico italiano, cioè a un principio fondamentale della legge dello Stato. È proprio per questo che non possono essere delibate dal nostro ordinamento, non possono entrare, diventare efficaci. Restano naturalmente valide per la legge della Chiesa, ma la porta rimane chiusa. Le sentenze che non passano sono quelle che pronunziano la nullità di un matrimonio che ha già avuto una lunga stagione, che è stato accettato e vissuto per anni dai coniugi.
La sentenza ecclesiastica pronunzia la nullità perché c’è stata una riserva mentale, perché nel processo si è dimostrato che al momento del matrimonio l’altro coniuge tanti anni prima aveva escluso il bonum prolis, aveva taciuto la volontà di non avere figli, o perché l’altro coniuge aveva escluso l’indissolubilità del vincolo. Insomma, la Corte di Cassazione ha chiuso il catenaccio: ha detto che il nostro ordinamento non può accogliere una sentenza che afferma che quel matrimonio non c’è mai stato (e questo è perfettamente comprensibile per la legge della Chiesa) dopo che per anni è stato accettato come valido. È facile prevedere che la delibazione sarà negata in molti casi e di conseguenza che molte cause di nullità avanti i tribunali ecclesiastici non verranno nemmeno promosse, se si sa che le sentenze sono destinate a non essere delibate dai giudici dello Stato.