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’NDRANGHETA ("ANDRAGATHIA"): FILOLOGIA E POLITICA. " Forse non sarà mai possibile imporre a tutti "il dovere del coraggio", ma almeno sarà possibile (...) chiamare le cose con il loro vero nome: ’ndrangheta".

ALLA REGIONE CALABRIA UNO SPIRITO NUOVO, A PARTIRE DALLA PAROLA: DARE ALLE COSE IL LORO NOME!!! Un "editoriale" sul giornale dei Vescovi di Domenico Delle Foglie - a cura di Federico La Sala

Una piccola rivoluzione linguistica che la giunta spiega così: «È una precisa presa di coscienza che si esprime nel dare alle cose, appunto il loro nome».
venerdì 28 gennaio 2011 di Federico La Sala
[...] quello che sta accadendo può apparire non solo come un atto di coraggio intellettuale, ma anche come una piccola ma significativa svolta nei rapporti fra i Palazzi della politica e la società civile. Infatti, per affrontare un nemico insidioso, feroce e potente come la ’ndrangheta, non basta il coraggio. Occorrono una serie di circostanze favorevoli: la maturazione diffusa, nella popolazione, di una profonda consapevolezza del fenomeno nella sua effettiva drammaticità; la formazione (...)

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> ALLA REGIONE CALABRIA UNO SPIRITO NUOVO, A PARTIRE DALLA PAROLA: DARE ALLE COSE IL LORO NOME!!! - «Chi fa antimafia non può delegittimare la Giustizia» (di Emiliano Morrone).

venerdì 19 gennaio 2018

«Chi fa antimafia non può delegittimare la Giustizia»

di Emiliano Morrone*

Sino a prova del contrario sono impulsive e gratuite le recenti affermazioni di Adriana Musella e Maria Teresa Russo sull’inchiesta che le tocca da vertici dell’associazione antimafia “Riferimenti-Gerbera Gialla”. Le due, ha ricordato il “Corriere della Calabria”, sono a vario titolo indagate per abuso d’ufficio, appropriazione indebita e malversazione ai danni di ente pubblico.

La prima ha scritto: «Restituiamo allo Stato i beni a noi affidati, nell’impossibilità di poter continuare nel nostro impegno. Hanno voluto così e così sia». E poi, in crescendo: «Questa non è la nostra sconfitta, ma quella dello Stato di diritto. A questo Stato e alla causa, siamo coscienti di avere già dato e tanto, forse troppo. Lo abbiamo fatto perché abbiamo creduto. Oggi non crediamo più».

La seconda ha parlato, nella scuola di cui è preside e davanti agli studenti, di un «tentativo di delegittimazione, operato da apparati dello Stato che hanno redatto informative con falso ideologico artatamente costruito».

La libertà di manifestazione del pensiero è sancita dalla Costituzione repubblicana all’articolo 21. Questo non significa che si possa dire ciò che si vuole, senza tenere conto del peso, degli effetti delle proprie esternazioni.

È banale ripetere quanto invano suggerisce il buon senso: ci si difende sempre nel singolo procedimento, in uno Stato democratico. Soprattutto gli esponenti dell’antimafia civile, dunque, non possono delegittimare la giustizia penale con tesi, come quelle di Musella e Russo, che alludano al complotto. Non è bello, non è giusto, non è coerente con lo specifico di ruoli e attività svolti, nella fattispecie con fondi pubblici.

La logica e la cultura antimafiosa impongono di riferire e circostanziare, nel caso in cui si conoscano o presumano trame a danno della propria storia, della propria immagine e credibilità. Perciò le vie sono due: o Musella e Russo sanno chi, come e perché a loro dire sta provando a screditarle, e quindi spieghino come d’obbligo, oppure non hanno elementi a sostegno delle loro dichiarazioni e pertanto tacciano.

Ora è il momento peggiore per la Calabria: regna una confusione senza precedenti ed è complicato orientarsi, distinguere, vivere in pace e libertà. Una parte della politica è dentro la ’ndrangheta e viceversa, la massoneria deviata gestirebbe l’accademia per candidati dell’antistato, su pezzi dell’antimafia civile gravano sospetti di tradimento della missione statutaria e alla Chiesa tocca combattere contro l’inquinamento di sacrestie, parrocchie e oratori.

Impossibile uscirne se non ci facciamo Stato, se, cioè, non cominciamo ad assumere posizioni culturali, politiche e morali che preservino le istituzioni di governo e controllo dall’illegalità e dalla corruzione dilaganti.

La sfida per la Calabria richiede la volontà di pulizia nelle forze politiche; l’indipendenza e la correttezza dell’informazione; il radicamento della cultura dei diritti e delle regole da parte delle agenzie formative, intanto nell’istruzione pubblica; la pratica del vangelo dei poveri e degli ultimi negli ambiti religiosi; la trasparenza dentro le pubbliche amministrazioni; la (non più rinviabile) discesa in trincea degli intellettuali e attori sociali; la garanzia di un reddito adeguato a singoli e famiglie emarginati.

Nel dominio del capitalismo finanziario e dei consumi, stiamo perdendo di vista l’obiettivo principale, cioè la costruzione di un futuro migliore per i più giovani, oggi senza lavoro e certezza di pensione. In Calabria si sfruttano a oltranza il patrimonio comune e il bisogno delle masse, la responsabilità e le funzioni del potere, le postazioni d’influenza e l’ignoranza generale sulla gestione dei soldi e degli uffici pubblici, compensata da forme di appagamento virtuale ed effimero che non ribaltano lo stato comatoso dei servizi, dell’economia e della tutela dei diritti. Intanto molta politica punta alla propria sopravvivenza, come dimostrano le trattative romane per le imminenti elezioni. E tace, immobile, sui vecchi problemi che producono emigrazione, astensionismo, sfiducia nel palazzo e solidarietà meccanica verso i potentati criminali.

*Giornalista

* CORRIERE DELLA CALABRIA, 19.01.2018 (ripresa parziale, senza immagini).


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