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Calabria, sanità e fabbrica dei voti: Giuseppe Scopelliti e Mario Oliverio due facce d’una sola medaglia

giovedì 5 maggio 2011 di Emiliano Morrone
Succede in Calabria, incanto e laboratorio politico-mafioso. C’è un comune, San Giovanni in Fiore (Cs), col record italiano della disoccupazione ed emigrazione. Vi si trova un ospedale, irregolare, vecchio e morente, usato come fabbrica di voti e clientele. La politica se n’è sempre fottuta, giocando sul bisogno altrui. Lì, medici, infermieri e amministrativi hanno consolidato bacini di voti, assicurandosi il potere e benefici come dipendenti pubblici.
In ogni periferia del Sud, il (...)

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>CALABRIA, SANITÀ: BASTA ERRORI, SITUAZIONE DRAMMATICA. APPELLO AI SANGIOVANNESI (E A TUTTI I CALABRESI) (di Emiliano Morrone).

lunedì 23 novembre 2020

SANITÀ,

APPELLO AI SANGIOVANNESI (E A TUTTI I CALABRESI):

BASTA ERRORI, SITUAZIONE DRAMMATICA

di Emiliano Morrone *

Non è il momento delle accuse, dei veleni, del tifo e della propaganda. Non c’è più tempo né campo per lo scontro politico, gli attacchi e il protagonismo, qualunque ne sia la bandiera, la matrice, l’obiettivo. San Giovanni in Fiore e tutta la Calabria devono guardare in faccia la realtà, drammatica per tutti. Siamo sulla stessa barca e non possiamo permetterci nuovi errori, leggerezze e deliri contagiosi.

I casi positivi hanno superato l’immaginabile: sono ben oltre 400 nella «Capitale della Sila», sommando quelli ufficializzati dall’Asp di Cosenza e quelli accertati dai laboratori privati. Ma potrebbero essercene molti altri, nascosti dall’abilità del virus di camuffarsi, ingannare, infettare e colpire all’improvviso. Dobbiamo, per quanto possibile, proteggere i più deboli, intanto gli anziani e i bambini. Perciò vi sono due soluzioni: stare a casa propria e uscire solo per necessità; abbandonare i pregiudizi e inquadrare la situazione, di massima allerta senza precedenti. Anche per gli interventi di solidarietà e assistenza, giusti e sacrosanti, occorrerà cautela assoluta.

Siamo disarmati, in una guerra che non riconosciamo come tale, che davamo per vinta a causa dei messaggi sballati dei mesi scorsi, figli di una “politicizzazione” della pandemia, del disordine mediatico, di certe teorie del complotto e delle giocate quotidiane all’“Allegro statista”, che ci hanno incollato al pc (o al telefonino) durante e dopo il primo lockdown.

Nel contesto la confusione nei Palazzi e il «fai da te» sui territori si sono moltiplicati all’impazzata. Così ministri, presidenti di Regione, sindaci, dirigenti sanitari, commissari e delegati - perfino senza titolo - hanno spesso agito d’istinto e non di rado a fasi lunari: senza un coordinamento stabile sui dati e i fabbisogni e, nonostante il dettato della Costituzione in tema di profilassi internazionale, senza la regia fissa dello Stato. Ciò è avvenuto a discapito della chiarezza e dell’uniformità delle misure di contenimento.

Il Servizio sanitario calabrese non può, per quello che è, fronteggiare a modo l’epidemia in atto. Molti malati cronici non riceveranno le cure necessarie. Il sistema è vicino al collasso: ospedali, sanitari e unità operative sono sotto enorme stress, tanti reparti si tanno dedicando al solo Covid, gli organici sono più che insufficienti, i mezzi disponibili ancora pochi e le direttive alquanto carenti, specie per i medici e le terapie di base. Inoltre, in Calabria ci troviamo nel bel mezzo di una Babele istituzionale, amplificata da tg e servizi in onda e pagina. Nell’emergenza mancano il capitano e la rotta. E perfino l’equipaggio sanitario è decimato dal Covid, già ridotto dal blocco - anche dovuto a una schizofrenia del Tavolo di verifica degli adempimenti del Piano di rientro - delle assunzioni, che speriamo il parlamento rimuova, senza indugi, nella conversione del secondo «decreto Calabria».

Nel quadro complessivo, la recente trasferta a Roma dei sindaci appare tardiva e piuttosto inutile, perché da marzo 2020 sono trascorsi otto mesi senza il previsto aumento del personale sanitario e delle terapie intensive; senza l’attuazione del Piano Covid; senza l’acquisto di un congruo numero di macchine per processare i tamponi e mantenere il tracciamento; senza l’attivazione delle Usca programmate e di plessi dedicati; senza nuovi medici, infermieri e Oss a tempo indeterminato. Per non parlare delle scuole, qui tralascio per brevità la storia dei banchi a rotelle, molte delle quali non sono state adeguate con i soldi mandati dal governo per l’edilizia leggera e l’affitto di spazi alternativi.

Se quanto riassunto è vero, e lo è, senza l’incremento di personale e strumenti dovremmo abbandonare l’idea, foriera di grandi entusiasmi, di trasformare un’ala dell’ospedale di San Giovanni in Fiore (o di altro posto) in Covid hotel. Se la sposassimo acriticamente e a furor di social, potremmo trovarci presto a scongiurare ulteriori contagi, per di più nel periodo di punta dell’influenza stagionale. Bisogna invece muoversi per riqualificare il presidio ospedaliero nostrano e l’assistenza territoriale. Con una proposta unitaria e convincente, con la forza e la determinazione di una comunità (montana e periferica) che finora ha soltanto subito per colpa dell’opportunismo e della compiacenza di larga parte della vecchia politica.

È triste da scrivere, ma allo stato dobbiamo barricarci in casa, chiedendo ai rappresentanti di ogni livello che non ci sia più quella sovrapposizione di poteri che, insieme all’attendismo generale e a una diffusa voglia di apparire, ha confermato la debolezza del sistema politico e sanitario della Calabria, come la nostra incapacità, purtroppo cronica, di tutelare uniti il diritto alla salute. Il più importante per la ripresa dell’economia e della formazione scolastica, in una regione in cui la ’ndrangheta e il malaffare proliferano grazie alla miseria, all’ignoranza e alle connivenze, non soltanto mafiose.

* Faceboock, 23.11.2020.


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