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CHE LA DEA "GIUSTIZIA" ("MAAT") SOSTENGA IL POPOLO EGIZIANO NEL SUO CAMMINO ...

L’EGITTO E LA NOSTRA VERGOGNA: ROMA TACE. "L’occasione che perderemo": una nota di Lucio Caracciolo - con aggiornamenti (nel forum), a cura di Federico La Sala

Mentre tutto il mondo si preoccupa del dopo-Mubarak, noi ci dilaniamo sulla "nipote" (...)
venerdì 11 febbraio 2011 di Federico La Sala
[...] Nell’Egitto khedivale l’italiano era lingua franca, usata nell’amministrazione pubblica. Un tipografo di origine livornese, Pietro Michele Meratti, vi fondò nel 1828 il primo servizio di corrieri privati, la Posta Europea, poi assurto a monopolio pubblico. Le diciture delle prime serie di francobolli egiziani erano in italiano. Decine di migliaia di italiani, tra cui molti ebrei, abitavano il Cairo e Alessandria, dove i segni del "liberty alessandrino" sono ancora visibili. La nostra (...)

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> L’EGITTO E LA NOSTRA VERGOGNA: ROMA TACE. ---- Piazza Tahrir umilia l’8 marzo, la rivoluzione caccia le donne (di Francesca Caferri).

mercoledì 9 marzo 2011

Piazza Tahrir umilia l’8 marzo, la rivoluzione caccia le donne

di Francesca Caferri (la Repubblica, 9 marzo 2011)

Il tradimento, quello vero, c’era stato nelle settimane scorse, quando nel consiglio incaricato di riscrivere la Costituzione e delineare il futuro del nuovo Egitto non era stata chiamata nessuna donna. Lo schiaffo in faccia è arrivato proprio nel giorno della festa della donna: un migliaio di egiziane hanno tentato ieri di marciare verso Tahrir square, la piazza simbolo della rivoluzione, quella dove per settimane avevano protestato, gridato, combattuto, dormito, pianto, mandato tweet. Lo scopo era rivendicare il loro ruolo nella protesta e nel futuro del Paese. Ma hanno fallito.

La marcia è stata fermata da gruppi di uomini, che hanno bloccato le manifestanti, strappando loro i cartelli, spintonandole e costringendole a tornare indietro: «Non è il momento giusto per le vostre manifestazioni», avrebbero detto alle donne.

E così la marcia che doveva portare in piazza un milione di egiziane è fallita. Due volte: perché in strada si sono ritrovate in un migliaio e perché alcuni di quelli con cui avevano lottato fianco a fianco per settimane hanno volute relegarle a quel ruolo secondario da cui pensavano di essere riuscite ad emergere.

«Il nuovo Egitto lascia indietro le donne» titolava ieri Al Jazeera. Parecchie, dal Cairo ad Alessandria, condividono questa opinione: «Il sangue delle donne che sono state uccise nella protesta è ancora fresco: e già ci stanno tradendo», ha detto al New Yorker Nawal Al Saadawi, la più famosa femminista egiziana, la madrina della rivoluzione, 71 anni di cui parecchi passati in carcere ma in prima fila, con i suoi capelli bianchi, a Tahrir dal primo giorno. Ieri al Saadawi non era al Cairo: ma nel futuro le egiziane avranno ancora bisogno di lei, come questo 8 marzo ha dimostrato.

Sempre ieri al Cairo è morto un cristiano copto, ferito nei giorni scorsi negli scontri con i musulmani seguiti all’incendio di una chiesa: un altro segnale preoccupante per il nuovo Egitto.


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