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CHE LA DEA "GIUSTIZIA" ("MAAT") SOSTENGA IL POPOLO EGIZIANO NEL SUO CAMMINO ...

L’EGITTO E LA NOSTRA VERGOGNA: ROMA TACE. "L’occasione che perderemo": una nota di Lucio Caracciolo - con aggiornamenti (nel forum), a cura di Federico La Sala

Mentre tutto il mondo si preoccupa del dopo-Mubarak, noi ci dilaniamo sulla "nipote" (...)
venerdì 11 febbraio 2011 di Federico La Sala
[...] Nell’Egitto khedivale l’italiano era lingua franca, usata nell’amministrazione pubblica. Un tipografo di origine livornese, Pietro Michele Meratti, vi fondò nel 1828 il primo servizio di corrieri privati, la Posta Europea, poi assurto a monopolio pubblico. Le diciture delle prime serie di francobolli egiziani erano in italiano. Decine di migliaia di italiani, tra cui molti ebrei, abitavano il Cairo e Alessandria, dove i segni del "liberty alessandrino" sono ancora visibili. La nostra (...)

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> L’EGITTO --- Piazza Tahrir in rivolta contro i militari: in tre giorni oltre quaranta morti e 1.800 feriti. El Baradei: «Basta con l’esercito. Ora un governo civile».

mercoledì 23 novembre 2011


-  Piazza Tahrir in rivolta contro i militari: in tre giorni oltre quaranta morti e 1.800 feriti
-  Il premier Essam Sharaf rimette il mandato ma il Consiglio supremo prende tempo
-  Un bagno di sangue
-  La giunta dei generali presenta le dimissioni
-  La Piazza resiste. Nonostante la repressione e i morti che sono oltre 40. Piazza Tahrir rilancia la sfida per oggi. Dimissioni annunciate in serata del premier. La protesta si allarga, l’Egitto è nel caos.

di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 22.11.2011)

La Piazza sfida i militari. Il governo di Essam Sharaf annuncia le sue dimissioni che però il Consiglio supremo militare «congela» invitando le forze politiche egiziane a un« dialogo urgente». Però la tragica conta dei morti cresce. È il caos. Un caos che rischia di trasformarsi in una tragedia nazionale. Al centro c’è una Piazza trasformata in un campo di battaglia. Il cuore di una rivoluzione minacciata, tradita, ma che non si dà per vinta.

BILANCIO DI MORTE

Piazza Tahrir ha ripreso l’aspetto dei giorni seguiti al 25 gennaio, quando sbocciò la «rivoluzione del giovani» che portò alla caduta del regime Mubarak. Centinaia di migliaia di persone, se non un milione, sono assiepate in modo inverosimile da ieri sera, dopo che nel pomeriggio si era temuto il peggio per l’approssimarsi dei carri armati destinati è stato poi chiarito solo a proteggere il ministero dell’Interno. Si erano subito alzate barricate metalliche nelle strade interessate ed erano stati incendiati copertoni, in falò spenti poco dopo. «È la seconda rivoluzione», dice una parola d’ordine raccolta sui blog in Internet, «dopo il tentativo di militari e governo di far fallire la prima». Di questo fallimento verso la democratizzazione del Paese ed il rispetto dei diritti umani i militari sono stati accusati anche in un rapporto diffuso ieri da Amnesty International. E la denuncia non sembra infondata, specie dopo la proposta nei giorni scorsi del vice primo ministro, Ali Selmi, per una modifica alla costituzione che aveva irritato tutte le forze politiche, specie i Fratelli Musulmani, candidati a raccogliere ampi consensi nelle elezioni legislative in calendario dal 28 novembre. La proposta, che prevede di dare una speciale immunità ai militari e di sottrarre i loro bilanci ai controlli del Parlamento, aveva provocato il grande raduno di venerdì scorso, il venerdì «per la protezione della democrazia», come al solito nell’arcinota piazza Tahrir.

La tensione è alle stelle. Man mano che le ore passavano si sono susseguite le notizie di bilanci di vittime di sabato e domenica progressivamente più alti. Dalla morgue lo stillicidio di informazioni ha portato prima il numero di oltre 40 vittime e poi la richiesta di auto e di bare perché non ce n’erano abbastanza. Più tardi i medici degli ospedali da campo intorno a piazza Tahrir hanno chiesto ai loro colleghi di arrivare in forza, dato l’alto numero di feriti e hanno invitato a donare sangue ed a portare generi di conforto a chi si prepara a passare la notte in piazza. Canti e balli si sono alternati a momenti di preghiera collettiva, mentre dagli ambienti del potere e da quelli dei manifestanti sono arrivati messaggi opposti. Un generale arrivato in piazza dichiara che è diritto dei manifestanti quello di fare sit-in, purchè non sia danneggiata la proprietà pubblica, e rassicura che i generali non intendono rimanere al potere, vogliono cederlo a civili appena possibile. Ma nessuno gli crede. «Chiedono di rimanere intoccabili proprio a noi che abbiamo mandato a casa il vecchio regime del militare Mubarak?» chiede insistentemente un gruppo di giovani manifestanti vicino alla sede della Lega Araba, sottolineando che comunque i militari hanno le loro responsabilità nelle morti dei «martiri di piazza Tahrir». Anche per questo per oggi i giovani hanno sollecitato un nuovo maxi raduno, ancora nella «piazza della rivoluzione». Un portavoce dei Fratelli musulmani annuncia: «I membri di 35 partiti e movimenti saranno scudi umani».

In serata, il primo contraccolpo politico: il premier egiziano, Essam Sharaf, e il suo governo presentano le dimissioni, rimettendo il proprio mandato a disposizione del Consiglio Supremo delle Forze Armate. Sharaf aveva già presentato le dimissioni del suo governo ai militari il 10 settembre scorso, dopo l’assalto all’ambasciata israeliana del Cairo, invasa e demolita da manifestanti che il servizio d’ordine intorno al palazzo non era riuscito a bloccare. Anche in quel caso il suo addio non fu accettato dal Consiglio supremo presieduto dal generale Tantawi.


-  El Baradei: «Basta con l’esercito. Ora un governo civile»
-  Il capo del Movimento 6 Aprile: «Le forze armate sono incapaci di gestire la transizione». L’ex direttore Aiea a l’Unità: -«Ignorano le richieste della rivoluzione. Usano le stesse parole di Mubarak»

di U.D.G. (l’Unità, 22.11.2011)

Voci da una Piazza inr ivolta. Voci che denunciano una repressione brutale, voci che reclamano giustizia e verità. E che rifiutano di subire un «mubarakismo senza Mubarak». Cronaca di una battaglia senza fine. «Il numero dei morti negli scontri a piazza Tahrir supera le 40 vittime, mentre i feriti sono più di mille», dice a l’Unità Mahmoud Afifi, portavoce del Movimento egiziano del 6 Aprile. «Il Consiglio militare (al governo in Egitto dalle dimissioni Mubarak a febbraio, ndr) sta trattando i giovani della rivoluzione con estrema violenza», afferma Afifi, precisando che gli attivisti del Movimento «sono presenti in piazza in gran numero». La crisi degli ultimi giorni, sottolinea, è il risultato del «fallimento del Consiglio supremo delle Forze armate nel gestire la fase di transizione».

Quanto alle istanze degli attivisti, questi ultimi chiedono di «fissare un’agenda per la consegna del potere a un presidente, un civile, al massimo entro il prossimo aprile, le dimissioni del governo di Essam Sharaf e la nomina di un governo di salvezza nazionale che goda del consenso delle forze politiche e che abbia piena competenza nel gestire quel che resta della fase di transizione, oltre - ricorda Afifi - alla formazione di una commissione d’inchiesta sugli ultimi incidenti per perseguirne i responsabili».

Duro contro i vertici militari e la polizia è anche il candidato alla Presidenza dell’Egitto Mohamed El Baradei. «Non vi può essere alcun dubbio su chi è responsabile di una situazione che rischia di precipitare da un momento all’altro dice a l’Unità il Premio Nobel per la Pace: il responsabile di questa situazione è il Consiglio supremo delle Forze Armate, che sta dimostrando, oltre ad averlo ammesso, che non può governare il Paese», rileva l’ex Direttore dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea). «Il Consiglio supremo delle Forze Armate continua a ignorare alcune delle richieste principali della Rivoluzione, come la fine dei processi militari per i civili e la cancellazione della Legge d’emergenza, ma anche la domanda di un welfare sociale e di sicurezza pubblica incalza El Baradei. Non molto aggiunge è cambiato dalla Rivoluzione del 25 gennaio e in molti casi il Consiglio supremo delle Forze Armate ha semplicemente assunto il ruolo del deposto presidente Hosni Mubarak, usando anche lo stesso linguaggio. Parlare di manifestanti eterodiretti da potenze straniere e di criminali comuni, per esempio, è esattamente quello che Mubarak usava dire per screditare alcuni movimenti. Alcune dichiarazioni del Consiglio supremo delle Forze Armate sono identici a quelli dell’era Mubarak», denuncia ancora El Baradei.

Una denuncia rilanciata da Amnesty International: «Chi sfida o critica il Consiglio militare, come i manifestanti, i giornalisti, i blogger o i lavoratori in sciopero, viene represso senza pietà, nel tentativo di sopprimerne la voce», denuncia Philip Luther, direttore ad interim di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Il bilancio dello Scaf (il Consiglio supremo delle forze armate che governa l’Egitto dalla caduta del presidente Hosni Mubarak a febbraio, ndr) in materia di diritti umani e civili dopo nove mesi mostra che gli scopi e le aspirazioni della rivoluzione del 25 gennaio sono stati fatti a pezzi». «Le forze armate egiziane conclude Philip Luther non possono continuare a usare la sicurezza come una scusa per mantenere in vigore le stesse vecchie pratiche viste sotto la presidenza di Mubarak».


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