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BERLUSCONI DIMETTITI - E RESTITUISCI LA PAROLA "ITALIA" AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO, AL PARLAMENTO, E A TUTTI I CITTADINI E A TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA!!!

IL BENE COMUNE E LA "PUBBLICITA’ PROGRESSO" DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: PER LA PAROLA E L’ONORE DELL’ "ITALIA", AL PALASHARP DI MILANO UNA GRANDE MANIFESTAZIONE CON "LIBERTA’ E GIUSTIZIA". Una nota - a c. di Federico La Sala

UMBERTO ECO: «Per quanto noi gridassimo, gridiamo o grideremo, Berlusconi le dimissioni non le dà, noi credevamo che il nostro presidente del Consiglio avesse con Mubarak in comune una nipote, e, invece, ha anche il vizietto di non voler dimissionare».
martedì 8 febbraio 2011 di Federico La Sala
[...] l’intervento di Eco. «Siamo venuti qui a difendere l’onore dell’Italia», ha affermato, «per ricordare al mondo che non tutti gli italiani farebbero lo stesso, che non tutti i padri dicono alle figlie «dai, che ci guadagniamo qualcosa», non saremo molti, ma sotto il fascismo tutti i professori universitari furono obbligati a prestare giuramento tranne undici che non lo fecero e che persero il posto ma salvarono l’onore dell’università» [...]
DIMISSIONI IMMEDIATE DEL PRESIDENTE DEL (...)

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> IL BENE COMUNE E LA "PUBBLICITA’ PROGRESSO" --- IRRICEVIBILE!!! Irricevibile è un governo che disprezza il parlamento e prescinde dal Quirinale, irricevibile è una maggioranza di nominati arroccata nel bunker del suo padrone (di Ida Dominijanni - Strappi e mimose).

domenica 6 febbraio 2011

Strappi e mimose

di Ida Dominijanni (il manifesto, 05.02.2011)

Per quanto tecnica sia la formula, l’aggettivo «irricevibile» con cui Napolitano ha respinto al mittente e rinviato alle camere il decreto sul federalismo ha un suono ben più forte dello strappo procedurale cui si riferisce. Irricevibile è un governo che disprezza il parlamento e prescinde dal Quirinale, irricevibile è una maggioranza di nominati arroccata nel bunker del suo padrone, irricevibile è un capo di governo che usa sistematicamente la scena internazionale per denigrare «la Repubblica giudiziaria commissariata dalle procure», irricevibile è lo stesso capo di governo che su quella stessa scena difende, unico in Occidente, lo zio - anch’esso di sua nomina - della propria favorita, irricevibile è una prassi istituzionale fondata per metodo e sistema sullo scontro fra i poteri dello Stato. Se ne contano almeno nove al calor bianco, in tre anni, fra Palazzo Chigi e il Quirinale, su questioni di procedura e di merito. È un segno, e non l’ultimo, che la situazione è da tempo oltre il livello di guardia.

Perché allora, con le pinze, si tiene ancora? Perché in campo c’è una sola strategia riconoscibile, nei suoi tratti devastati e devastanti: quella di un raìs in pieno delirio di onnipotenza («sono l’unico soggetto universale a essere tanto attaccato», ha detto di sé ieri testualmente il premier) e deciso a resistere, resistere, resistere a tutti costi, nessuno escluso. Senza limiti, perché non ne conosce. Senza vergogna, perché non ne ha. Senza tema di smentite, perché la sua capacità di scambiare il vero col falso è segno non più di manipolazione bensì di negazione della realtà. Intorno a questa maschera, solo una corte di figuranti asserviti che finiscono col restituirle lo scettro anche quando potrebbero sfilarglielo, alla Bossi o alla Maroni per capirci. Dall’altra parte, una strategia felpata, una ricerca di alleanze senza selezione e senza seduzione, una promessa di liberazione senza desiderio. Il risultato è una paralisi che si alimenta di una lacerazione al giorno, una rivelazione all’ora, uno scandalo al minuto, senza che la tela si strappi davvero e mentre chiunque non faccia parte dello zoccolo duro del raìs si chiede: com’è possibile?

È possibile, perché c’è un fantasma lì dietro la scena, che nessuno vuole davvero vedere. Berlusconi lo rimuove, i suoi avversari lo scansano in attesa della foto del peccato o della prova del reato, e tutti quanti pensano di parlare, ancora, di «politica» (federalismo, fisco e quant’altro), come se, per citare Gustavo Zagrebelsky, le notti di Arcore non fossero la notte della Repubblica. Lo sappiamo, i numeri in parlamento sono quelli che sono. Ma la democrazia parlamentare non esclude altre forme dell’azione politica, e non domanda nemmeno che si resti in parlamento a recitare una farsa. Una società stremata da vent’anni di berlusconismo merita qualcosa di più della promessa di una parodia del Cln. O di una raccolta di firme offerta l’8 marzo come un mazzo di mimose dal segretario del Pd «alle nostre donne». Non siamo di nessuno, non amiamo le mimose né tantomeno, per citare stavolta Luisa Muraro, chi conta di usarci come truppe ausiliarie di una politica inefficacace.


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