di Valerio Onida* e Paolo Pombeni** (Corriere della Sera, 9 febbraio 2011)
Caro direttore,
il presidente del Consiglio appare ormai prigioniero del ruolo che egli stesso si è costruito e che i suoi avversari hanno concorso a costruire. I fatti emersi- non le accuse ipotizzate della Procura milanese, ma i fatti quali sono stati ammessi e raccontati da lui stesso e da coloro che lo difendono, e che nella sua prospettazione non configurano reati ma, come fatti, sono certi - sono tali che nessuna persona di buon senso può negare oggi la inopportunità del permanere di Silvio Berlusconi nella alta carica che ricopre. Si può considerare accettabile per il Paese avere un premier che, per sua ammissione, ospita in casa propria, senza controlli, persone di ogni genere, fra cui giovani donne, maggiorenni e minorenni, in evidente ricerca di amicizie utili a procurare loro vantaggi e denaro; che è intervenuto presso la Questura di Milano a favore di una minorenne accusata di furto della quale sostiene di avere, fino ad allora, ignorato la vera età e la vera nazionalità, riferendo di una parentela inesistente con un capo di Stato straniero e ottenendo che venisse affidata, non ad una comunità di accoglienza, ma ad una giovane consigliera regionale di sua fiducia, la quale peraltro si è occupata della minorenne solo per lasciarla in compagnia di altra persona per nulla qualificata al compito; un premier che sostiene di essere intervenuto in tal modo nell’esercizio delle sue funzioni per salvaguardare le relazioni internazionali, sulla base di una falsa rappresentazione della presunta parentela, e con ciò ammette di essere stato così platealmente ingannabile?
C’è una dignità e c’è un decoro delle istituzioni che, in situazioni di questo genere, esigono di esser prontamente ripristinati attraverso il ritiro spontaneo dalle cariche istituzionali da parte di colui che, con la sua condotta da lui stesso ammessa, questa dignità e questo decoro ha gravemente compromesso.
Eppure la corale richiesta di dimissioni proveniente dalle opposizioni parlamentari e da tante voci che la condividono non riesce a raggiungere lo scopo. Essa appare a molti motivata dal desiderio di rovesciare, al di fuori delle ordinarie procedure parlamentari, l’attuale governo e l’attuale maggioranza uscita dal voto popolare.
L’iniziativa giudiziaria intrapresa dalla magistratura milanese appare a molti il portato di un intento persecutorio nei confronti di Berlusconi, e ciò basta a far scomparire dall’orizzonte del dibattito politico anche fatti accertati ed ammessi, e a spostare l’attenzione sulla polemica circa vere o presunte deviazioni della magistratura.
A questo punto solo dall’interno della stessa maggioranza di governo possono venire le iniziative necessarie e urgenti per ripristinare subito la normalità politico-costituzionale. Una situazione democratica di normale prevalenza della maggioranza sulle opposizioni si distingue da un vero e proprio regime anche perché, quando si manifesta la opportunità di sostituire il personale di governo indipendentemente da un nuovo confronto elettorale, sono le stesse forze politiche di maggioranza a procedere alle decisioni necessarie a questo scopo, pur mantenendo il ruolo di guida dell’esecutivo che deriva dal consenso elettorale ottenuto (pensiamo per esempio, pur nella evidente radicale diversità di situazioni, alla sostituzione, nel Regno Unito, del primo ministro Margaret Thatcher con John Major).
In un regime, invece, l’allontanamento di colui che lo incarna non è possibile se non abbattendo l’intero edificio. Proprio perché noi riteniamo del tutto normale e da rispettare la dialettica fra maggioranza e opposizioni, e perché vogliamo continuare a ritenere che in Italia non vi sia un «regime» ma vi siano forze politiche che derivano la propria posizione e le responsabilità che esercitano dal consenso elettorale legittimamente espresso, crediamo indispensabile non disperdere il significato profondo di ogni competizione, per cui il voto dei cittadini rispecchia scelte ideali e di programma e non conferisce investiture personali e mandati in bianco. Così come è dovere delle opposizioni rispettare quel voto, è dovere della maggioranza che lo ha raccolto non sminuirlo trasformandolo impropriamente in plebisciti personali che non appartengono allo spirito della nostra democrazia.
Facciamo dunque appello alle personalità e alle forze che, all’interno dell’attuale maggioranza di governo e del Popolo della libertà, condividono non già le nostre valutazioni politiche, ma la convinzione che sia urgente ripristinare la normalità ela dignità delle nostre istituzioni - che appartengono a tutti - perché vogliano riaprire il normale corso della dialettica politica sottraendola alla deriva impropria di un confronto sulle fedeltà personali e riconsegnandola al confronto sulle scelte che stanno davanti al Paese in questa complessa fase storica. Chiedano che gli organi dirigenti dei partiti adottino le necessarie deliberazioni; indichino essi stessi, responsabilmente, la persona che ritengono più idonea, fondandosi sulla stessa attuale maggioranza, a guidare il governo, e la propongano al Parlamento e al capo dello Stato. L’Italia non può attendere oltre, senza che si aggravi irrimediabilmente il danno per tutti.
*ex presidente della Corte costituzionale
**ordinario di Storia contemporanea all’Università di Bologna