La mostra -Da Alighieri a Manzoni, al Quirinale gli autografi dei capolavori della nostra letteratura
Il convegno- Presente il Capo dello Stato, una mattinata con Eco e Ossola, De Mauro e Serianni
Da Dante a Mike Bongiorno una lingua chiamata Italia
Una mattinata «dentro» la lingua italiana, con gli studiosi nostri maggiori e con letture d’autore. Al Quirinale ieri. E da oggi la mostra di autografi dei grandi, da Dante a Manzoni, aperta al pubblico.
di Maria Serena Palieri (l’Unità, 22.02.2011)
Per trentanove giorni, da oggi al 3 aprile, il Quirinale avrà un cuore pulsante in più: è la sala delle Bandiere, al pianoterra dell’edificio, dove è allestita la mostra Viaggio tra i capolavori della letteratura italiana. Francesco De Sanctis e l’Unità d’Italia, allestita dalla Fondazione intestata al maestro della critica, primo ministro dell’Istruzione nell’Italia cavouriana. E se usiamo l’espressione «cuore pulsante» c’è un motivo: è perché la piccola esposizione ci consegna il nostro patrimonio letterario nel modo più biologico, più vivo, attraverso le calligrafie degli autori al lavoro sulle loro opere.
Prendete quindi una stanza, al centro metteteci una teca con le 553 «carte sciolte» che Francesco De Sanctis consegnò all’editore Morano di Napoli per l’edizione «princeps» della sua Storia della letteratura italiana e intorno a raggiera in altrettante teche mettete le edizioni autografe delle opere di cui De Sanctis parla e, se manca il testo di pugno dell’autore, il più antico dei codici in cui esso è riportato.
Così c’è Guinizelli nel Codice Laurenziano Radiano, Dante (della cui mano non è restata neppure una firma) nel Laudiano, e poi la novella di Frate Puccio dal Decamerone per mano di Boccaccio, una lettera vergata da Petrarca, un brano dalla Miscellanea di Poliziano, delle missive di Machiavelli, il Canto LXVI dell’Orlando furioso per mano di Ariosto e Tasso con la Gerusalemme conquistata, e ancora Galilei, Vico, Marino, Parini, Goldoni, e «Quel ramo del lago di Como» nella seconda minuta manzoniana e «Sempre caro mi fu...» vergato da Leopardi. Sono carte che arrivano qui da tutta Italia, ma anche oltre (Boccaccio per esempio da Berlino).
L’emozione è enorme. E l’interesse pure, perché le calligrafie suggeriscono idee nuove, fino al Cinquecento così codificate, poi da Machiavelli in poi moderne, libere: di sbieco, tormentata, carica di cancellature come ferite quella di Tasso, immacolata e logica quella di Galileo. La Sala delle Bandiere fino al 3 aprile resterà aperta al pubblico e speriamo che siano in molti a cogliere l’occasione irripetibile.
A inviti invece ieri la mattinata di studi sulla «Lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale», alla presenza del Capo dello Stato, realizzata con l’Accademia della Crusca, l’Accademia dei Lincei, l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e la Società Dante Alinghieri. Immaginate un copione cerimonioso, un trionfo della retorica? Il contrario. Un documentario di Giovanni Minoli ci ha portato nel cuore dell’italiano più novecentesco, quello televisivo, con gaffes di Mike Bongiorno comprese. E Giuliano Amato, Tullio De Mauro, Vittorio Sermonti, Luca Serianni, Carlo Ossola, Nicoletta Maraschio, Umberto Eco hanno fatto a gara per desacralizzare il tema.
Idem le letture: un trittico regionale, Fogazzaro-Gadda-Verga, servito in brianzolo-molisano-siciliano da un multiforme Fabrizio Gifuni, il don Abbondio di Toni Servillo e un Pascoli straordinario, dai Primi poemetti, in italiano e inglese alla Broccolino, letto da Umberto Orsini, il Pinocchio con Ottavia Piccolo e per finire un Mario Luzi recitato con energia totale da Pamela Villoresi. Eccolo: «Vola alta, parola, cresci in profondità/ tocca nadir e zenith della tua significazione,/ giacché talvolta lo puoi sogno che la cosa esclami/ nel buio della mente -/ però non separarti/ da me, non arrivare,/ ti prego, a quel celestiale appuntamento/ da sola, senza il caldo di me...».
Il futuro della nostra lingua? De Mauro certifica che oggi la parla il 94% della popolazione: «Quello che Foscolo, Cattaneo, Manzoni avevano sognato, che l’italiano un giorno diventasse davvero la lingua comune degli italiani, è diventato realtà nell’Italia della Repubblica democratica» spiega. Ma visto che il centocinquantenario decolla in un vortice di forze centrifughe, il futuro è nelle mani del paradosso che ci consegna Eco: « Se l’unità venisse infranta, come alcuni vogliono, la lingua italiana non verrebbe meno» osserva. Anzi: «Il trionfo dei dialetti ci impedirebbe anche di parlare tra noi e l’italiano sarebbe l’unico strumento di contatto». A valorizzare la lingua nel nostro processo identitario, spiega, sono quelli cui l’Italia post-risorgimentale dà noia, quelli che pensano di tradurre in dialetto i segnali stradali. Appunto. Per gli altri, da qui al 3 aprile, visita alla sala delle Bandiere, cuore del Quirinale.