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ITALIA: BIENNALE DEMOCRAZIA. MATEMATICA E COSTITUZIONE E TEOLOGIA POLITICA: IL PROBLEMA DELL’UNITA’. L’unificazione italiana impone alle élite degli Stati preunitari una serie di gigantesche sfide, di cui la più difficile da vincere è proprio quella «culturale» ...

ITALIA!!! TUTTI. MOLTI. POCHI: E NESSUNA COGNIZIONE DELL’UNO, DELL’UNITA’!!! L’Italia e le classi dirigenti senza senso nazionale. Una riflessione di Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica di Milano - a c. di Federico La Sala

BIENNALE DEMOCRAZIA 2011. Uno dei problemi della storia italiana dell’ultimo secolo e mezzo è segnato da élites che non hanno saputo andare oltre gli interessi particolari
giovedì 14 aprile 2011 di Federico La Sala
[...] Con ogni probabilità, tuttavia, ben più del persistente lamento sull’assenza di élite e sulla latitanza di una vera classe dirigente conta - oggi soprattutto - apprestarsi finalmente a formare le une e preparare l’avvento dell’altra. È questo infatti il solo modo «per superare la presente crisi» [...]
[...] Il testo del rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, che pubblichiamo è tratto dal volume «L’interesse dei pochi, le ragioni dei molti», in libreria per i tipi di (...)

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> ITALIA!!! ---- A Roma, gli Stati generali della cultura. Terza edizione dell’iniziativa del Sole 24 Ore (di Pier Luigi Sacco - Un ecosistema da rilanciare)

giovedì 19 giugno 2014


-  Terza edizione dell’iniziativa del Sole 24 Ore
-  Presenti i ministri Franceschini e Giannini

Cultura, Stati generali a Roma

Un ecosistema da rilanciare

di Pier Luigi Sacco (Il Sole-24 Ore, 19.06.2014)

Si tengono oggi a Roma, al l’Auditorium Conciliazione, gli Stati generali della cultura organizzati dal Sole 24 Ore. L’iniziativa, nata dalla pubblicazione sulla Domenica del Manifesto per la cultura, è alla III edizione. I lavori iniziano alle 9,45. Partecipano il ministro della Cultura Franceschini e quello del l’Istruzione e dell’Università Giannini.

Solo cinque anni fa, il giornalista francese Frédéric Martel pubblicava un libro molto influente, Mainstream, nel quale passava in rassegna il panorama mondiale della produzione culturale e creativa. La sua conclusione era netta: per quanto si stesse assistendo a un’impressionante moltiplicazione dei centri geografici di produzione di contenuti culturali anche in paesi economicamente emergenti, il predominio statunitense sulla scala globale appariva sostanzialmente indiscusso.

Lo scenario di oggi è alquanto diverso. Paesi come la Corea del Sud sono rapidamente diventati giganti della produzione culturale, capaci di penetrare non più soltanto nei mercati asiatici ma in quelli del Medio Oriente (e in prospettiva probabilmente in Europa). La Cina sta aprendo un numero impressionante di nuovi musei e centri di produzione multimediale. Alcuni paesi del Golfo aspirano a diventare i nuovi attrattori del grande turismo culturale con investimenti senza precedenti in strutture museali di ultima generazione. E questi sono solo alcuni degli esempi più eclatanti di un movimento tettonico. La centralità degli Stati Uniti in un simile contesto è sempre più in discussione, e a maggior ragione ciò vale per l’Europa, e quindi per l’Italia.

Siamo di fronte a una fase di cambiamento di straordinaria portata, le cui conseguenze possono essere previste solo in parte, ma per la quale almeno una certezza l’abbiamo: per essere competitivi in paesi come il nostro bisognerà saper innovare, produrre e attrarre talenti e competenze, sviluppare nuovi modelli di business e al tempo stesso salvaguardare l’autenticità e il valore di ricerca della sperimentazione culturale contemporanea così come del patrimonio culturale e paesistico.

Ma non è più solo una questione di policentrismo geo-culturale. È anche, sempre più, una questione di senso individuale e sociale dell’esperienza culturale. Per accedere ai contenuti culturali non è più indispensabile (per quanto consigliabile) recarsi negli spazi deputati. L’esperienza culturale può oggi accadere in qualsiasi ambiente e in qualsiasi situazione, con il semplice ausilio di uno smartphone o di un tablet, e presto di tecnologie indossabili.

Inoltre, la produzione stessa dei contenuti culturali è oggi sempre più diffusa e generalizzata: tutti noi produciamo continuamente contenuti, più o meno interessanti, più o meno originali, ma in ogni caso questa nuova situazione produce un fondamentale mutamento di prospettiva, nel quale il pubblico «passivo» diventa invece sempre più attivo, consapevole, partecipe, e sempre più co-creatore dell’esperienza piuttosto che semplice utilizzatore.

Non sono scenari futuribili, è quello che accade oggi, sotto i nostri occhi, se soltanto vogliamo vederlo. E le conseguenze sono importanti e profonde: occorrerà sempre più pensare alla cultura non più come un settore specifico dell’economia e della società, per quanto importante, ma piuttosto come un vero e proprio ecosistema che si connette con tutte le principali dimensioni della vita sociale ed economica: dalla salute all’innovazione, dalla sostenibilità ambientale alla coesione sociale, ovvero con tutte quelle dimensioni che hanno un rapporto diretto con la qualità della vita e con le determinanti fondamentali dei comportamenti individuali e collettivi.

In Italia, per quanti sforzi si stiano oggettivamente facendo per dare impulso a un sistema da troppo tempo trascurato nelle priorità delle scelte politiche e mortificato nei suoi ancora grandi talenti e competenze, siamo decisamente indietro, e se davvero vogliamo dare seguito alle nostre ambiziose affermazioni circa un futuro modello nazionale di sviluppo fondato sulla cultura, dobbiamo andare molto al di là di un volonteroso potenziamento di un modello di valorizzazione turistico-culturale del patrimonio che si fonda su una logica di produzione e disseminazione culturale sostanzialmente vecchia di decenni.

In particolare, non è sufficiente lavorare su un salto di qualità dei canali digitali di promozione del nostro turismo culturale (che è necessario e che sta fortunatamente avvenendo), ma bisogna appunto lavorare sulla natura stessa dell’esperienza culturale e del suo rapporto con l’intera società e con l’intera economia del nostro paese.

Le nuove priorità sono, ad esempio, l’aumento delle competenze culturali e dei livelli di partecipazione attiva dei nostri cittadini, oggi ben sotto la media europea, il raggiungimento di standard di connettività digitale adeguati ai nostri obiettivi di posizionamento competitivo (e anche questi ben sotto la media europea), la digitalizzazione del patrimonio (che è molto, molto di più della semplice scansione digitale dei contenuti, e per capirlo basta una semplice visita al sito di Europeana, la biblioteca digitale europea), lo sviluppo di modelli di business che tengano conto della fisiologica evoluzione (leggi, in prospettiva: dissoluzione) dell’attuale regime della proprietà intellettuale, e in ultima analisi l’elaborazione di una chiara strategia di sviluppo del sistema della produzione culturale e creativa, possibilmente supportata, come accade oggi in tutti i paesi europei più competitivi nel settore, da un’agenzia di sviluppo nazionale che impieghi le migliori competenze disponibili (come ad esempio Nesta nel Regno Unito o Kultur Styrelsen in Danimarca).

Vaste programme, osserverà qualcuno. E magari è vero. Ma se è così, sarà allora il caso di rinunciare anche ai nostri vasti proclami su cultura e futuro, e puntare su opzioni di sviluppo diverse, più realistiche e modeste. Se invece crediamo davvero che la cultura sia uno dei settori chiave per ricostruire la nostra economia, sarà bene rendersi conto che l’asticella è molto, molto in alto, e che sarà bene iniziare ad allenarsi sul serio e prendere una rincorsa bella lunga. C’è chi lo sta facendo da tempo, e non aspetta certamente noi.


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