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TESTAMENTO BIOLOGICO: STATO E CHIESA. COSTITUZIONE E ... CONCORDATO IN NOME DI DIO "MAMMONA" (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006).

ALLEANZA TERAPEUTICA ATEA E DEVOTA. Nella Santa Alleanza creatasi tra Papi e l’istituzione ecclesiastica, “alleanza terapeutica” vuol dire che il medico può fare l’opposto di quello che ha disposto il malato o chiede il suo fiduciario. Una nota di Marco Politi - a c. di Federico La Sala

Diecimila euro per mantenere buone le squinzie dello staff postribolare di Arcore. Un baciamano a Gheddafi per fare affari con lui. La promessa di un bonus scuola per ammansire l’episcopato. Il “sondino di stato” per accontentare il Vaticano.
mercoledì 9 marzo 2011 di Federico La Sala
[...] La cura forzata è inquietante come la morte. Nel 2008 la Fondazione Don Gnocchi ha scritto che il
“non rinunciare in alcun caso all’idratazione-nutrizione artificiale può rientrare nell’accanimento
terapeutico da abuso di tecnica”. Di questo bisognerebbe parlare [...]
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE. AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (...)

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> ALLEANZA TERAPEUTICA ATEA E DEVOTA. ---- Il biotestamento autoritario (di Adriano Sofri).

giovedì 10 marzo 2011

Il biotestamento autoritario

di Adriano Sofri (la Repubblica, 10 marzo 2011)

Sapete come va, per lo più, la vita: dal tempo delle promesse a quello della gara accanita e poi delle abitudini, al bilancio delle realizzazioni mancate o dimezzate, fino a un umile augurio finale: "Lasciatemi morire in pace". La legge sul fine vita, come si chiama ora, è una manomissione anticipata della preghiera di morire in pace. La sua vicenda è esemplare: comincia col desiderio battagliero di regolare per legge un dignitoso modo di accomiatarsi dal mondo

Un modo che rispetti la libertà della persona e il diritto alla cura - dunque a essere curati e a non esserlo più. Al battagliero progetto manca però, a differenza che nell’opinione pubblica, che lo condivide larghissimamente, una maggioranza parlamentare, che al contrario milita, per convinzione e per convenienza, in favore di una feticistica "indisponibilità della vita", espropriata in concorrenza dallo Stato, dai politici, dai medici, dai magistrati, e finalmente, per conto di Dio, dalla Chiesa cattolica.

Questa maggioranza si oppone strenuamente alla legge sul cosiddetto biotestamento, finché (specialmente per amore di Eluana Englaro o in odio a Beppino) la sua eminenza grigia si accorge che una resistenza di retroguardia è destinata a fallire, e capovolge la strategia: ora è lei a volere la legge, e a farne un proprio cavallo di battaglia, fissando quella che finora era un’impensata assurdità, cioè che non sia lecito in extremis alle persone consentire o dissentire dalle cure, al punto di rendere obbligatoria, anche contro l’espressa volontà del "paziente" (nome appropriato per difetto), la nutrizione e l’idratazione forzata. I fautori originari della legge, attaccati al principio dell’autodeterminazione delle persone, siccome sono anche un po’ ingenui, ci mettono un po’ a capire che continuare su questa strada significa tirarsi addosso un macigno. Così, mentre l’altra parte non fa che rincarare esosamente le proprie pretese di sequestro preventivo di persona a fine vita, si affannano a cercare di limitare i danni, invece di ripiegare sulla nitida ammissione che nessuna legge è meglio che una orribile legge, e di avvalersi della benvenuta compagnia di personalità e gruppi che, pur in seno alla maggioranza vescovista (ma lo Spirito soffia, e anche fra i vescovi ci sono differenze) non è disposta a spingersi fino a un’invasione così grave delle vite degli altri. Dovrei dire delle morti degli altri, di ciascun altro, e a chi sia pronto a riflettere senza pregiudizio apparirà chiaro come in questo punto cruciale vite degli altri e morti degli altri diventino sinonimi, e l’enormità del sequestro del fine vita coincida col sequestro delle vite.

Qui, da Rodotà e altri, è stata argomentata la forzatura costituzionale di una legge che vanifica e anzi irride il "testamento"-Dat, la "Dichiarazione anticipata di trattamento". Il mio punto di vista è più comune: quello di uno con gli occhi chiusi e la bocca muta al cui capezzale si disputi di che cosa farne. Pensate ai grandi affreschi del Giudizio con gli angeli e i demoni che si contendono le anime - e i corpi - dei defunti, tirandoli di su e di giù, verso il cielo e l’inferno. Qui, al nostro capezzale, corporazioni di preti e medici, parlamentari e magistrati, tirano ingordamente di qua e di là il nostro corpo, già esanime - siamo ancora noi però, se non altro per esserlo stati, e aver detto la nostra parola. Dice qualche ispirata esponente di maggioranza che si tratta di impedire l’invadenza dei giudici - in pro dell’invadenza dei politici. Dicono molti politici che si tratta di garantire la scienza e coscienza dei medici - benché tanti medici spieghino che loro hanno giurato di curare, non di sopraffare.

Dicono voci religiose che si tratta della sacralità della vita, che va difesa dunque da tutti, "anche da se stessi". "Difendere le persone anche da se stesse": così. È la radice di un autoritarismo paternalistico che saprebbe arrivare, contro ogni intenzione iniziale, al totalitarismo, e arriva intanto alla moltiplicazione dei proibizionismi: difendere i drogati da se stessi, e intanto buttarli a crepare in una cella. Fantastico altruismo, lo conosco bene. È quella premura che fa sequestrare al prigioniero i lacci delle scarpe, perché debba escogitare sistemi più orrendi per impiccarsi. La premura che fa di tutti i cittadini dei sudditi, e di tutti i sudditi dei bambini, e di tutti i bambini degli sventati autolesionisti - e dello Stato un grande severo sollecito Direttore d’asilo. Non sopportano "il potere della persona di disporre del proprio corpo" - che è, oltre che un principio costituzionale, una tautologia, a meno di scempiare la persona dal corpo, e il corpo dalla persona.

La dignità umana, proclamano questi nemici assoluti di ogni relatività, anche la più sobriamente relativa, non è più assoluta se le si pone un limite nell’autodeterminazione. Dunque la dignità umana è tale grazie, al limite, all’eterodeterminazione? Temo che pretendano in realtà che la dignità umana non abbia un limite nella morte, nel fatto che siamo mortali, e in nome dell’assoluto vogliano derubarci della nostra sorella morte. Assoluta è l’eternità, per chi la pensi tale, ma non compete alla società umana e tanto meno ai suoi parlamenti. Oggetto della loro legge è imporre la continuazione non voluta di una persistenza vegetativa senza speranza, invece del contrario, la continuazione di quella esistenza per chi, "paziente" o parente o curante, la voglia. Qui è il punto vero, e la vera necessità mancata di un’alleanza fra concezioni e speranze diverse.

Seguo, per circostanze personali, il lavoro di medici rianimatori e anche l’esperienza di cura e di ricerca di centri come quello bolognese degli "Amici di Luca". Per quest’ultimo, Fulvio De Nigris invita a liberarsi dalla contrapposizione fra "diritto di cura" e "libertà di scelta", e non si può che concordare, perché diritto è altra cosa dall’obbligo di cura. De Nigris allude a una "terza via" fra movimento "pro life" e "pro morte", e non so concordare, perché la dizione "pro morte" è arbitraria e violenta, e non si adatta certo alla vicenda di Piero Welby e dei suoi compagni, né a quella della famiglia Englaro. È del tutto condivisibile invece l’impegno a sostenere le migliaia di famiglie che continuano a sperare per i loro cari in stato vegetativo, che confidano in una ricerca mai esausta, che guardando un tubo che entra nella pancia non si sentano ridotte all’interrogativo "terapia o non terapia". Ma appunto questa comprensione solidale non è l’alternativa, ma il complemento alla libertà di decisione di ciascuna persona e dei suoi delegati.

Ieri si è annunciato un emendamento alla legge (che, dopo l’eventuale voto di aprile, dovrà comunque tornare in Senato) a firme distanti come quelle di Bondi, Manconi, Pecorella, Mazzarella e altri, che mira a ridurre il danno. Non so valutarlo, benché sia evidente il doppio disastro di un Parlamento che riapre una simile questione di vita e di morte "a tempi di discussione contingentati", e che lo fa in buona parte perché il presidente del Consiglio proclama che "su temi etici e scuole cattoliche terrà conto delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica". Ecco mostrata una connessione stretta fra il corpo e il capezzale del presidente del Consiglio, quelli delle sue ospiti nell’imbarazzo, e quelli di tutti noi. Un ennesimo Uomo della Provvidenza.


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