Ambulanti all’italiana
di Igiaba Scego (l’Unità, 30 marzo 2011)
Negli anni ’90 esisteva una parola che odiavo (lo stesso odio che riservo oggi alla parola clandestino). La parola in questione era “vu cumprà”, il termine, altamente dispregiativo, indicava i venditori ambulanti di origine straniera. Gli ambulanti venivano anche designati con il termine generico “marocchino”, anche se molti di loro erano di origine senegalese.
Forse questa storia è nota ai più di voi, ma mi chiedo quanti di voi sanno che in Europa oltre a esportare cervelli gli italiani esportano anche ambulanti? Durante il boom dell’emigrazione anni ’50 molti italiani hanno cercato di sbarcare il lunario vendendo di tutto. Ma credevo che questo non succedesse più agli italiani di oggi, invece a Manchester e in generale nel Nord dell’Inghilterra ci sono molti italiani che girano per le strade a vendere orologi. Questo me l’hanno raccontato membri della comunità somala inglese.
Infatti sono i somali i più ricercati dagli ambulanti italiani, soprattutto se il somalo ha più di 50 anni. Gli italiani sanno che il somalo è il pollo... ops.... il cliente perfetto a cui rifilare orologi. Sanno che i somali della diaspora over50 sanno tutti parlare italiano, sanno che i somali provano una strana “nostalgia” per o sole e o mare nonostante l’Italia non li abbia accolti e non gli abbia dato uno stato da ex paese colonizzato con i privilegi del caso (privilegi dovuti dopo anni di distruzione e apartheid inflitti).
Il somalo si illumina a sentire la lingua di Dante e si ferma sempre. In molti ti dicono «Ci fermiamo anche perché ci fanno pena questi italiani. Poveretti costretti all’emigrazione come noi che viviamo una guerra civile e con quel Berlusconi che li rende tutti poveri».