E se desiderassimo ciò che abbiamo?
Dalla smania di potere alla nostalgia: in questa epoca senza desideri l’analista Massimo Recalcati passa in rassegna le sue molteplici forme
di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 03.04.2012)
Fino a qualche decennio fa, a sinistra e non solo, ci si chiedeva: ma nella vita sociale conta più la struttura economica o l’ideologia, la «sovrastruttura»? Ne nascevano in replica varie miscele di fattori economici e culturali, primati dell’economico sulle idee e viceversa. Di combinazioni e retroazioni tra cause ed effetti. Una querelle lunga, da Marx ed Engels, a Weber, a Croce, alla sociologia post-weberiana fino ad oggi. Pochi in questa disputa, a parte Gramsci col simbolismo «attrattivo» dell’ «egemonia», si sono posti un’altra domanda, in apparenza bizzara: ma quanto conta invece il «desiderio»?
Già il «desiderio», una forza che è al centro della psicoanalisi freudiana e di quella post-freudiana di da Jacques Lacan, eretico della psicoanalisi francese, morto nel 1980. Oggi un allievo ideale di Lacan, docente a Pavia e tra i più noti analisti lacaniani in Italia, Massimo Recalcati, rilancia la questione assieme a quella del potere: delle forme di dominio, del destino del «soggetto» in tutta la gamma delle relazioni inter-soggettive nelle moderne società capitalistiche. Recalcati, bravo a scendere in prosa dalle rarefazioni linguistiche del Maestro francese, s’era già occupato per Cortina editore de l’Uomo senza inconscio e di Cosa resta del padre. Mostrando abilità nell’infilzare fenomeni sociali fludi, come l’anestesia delle emozioni profonde, o la cancellazione dell’Autorità paterna (a vantaggio di confusività e nichilismo).
DA DON GIOVANNI A ANTIGONE
Stavolta va al punto chiave: il desiderio appunto. Con un saggio fatto di ritratti e figure emblematiche: Ritratti del desiderio. Ecco alcune delle figure: invidia, angoscia, desiderio sessuale, Don Giovanni, Antigone, desiderio di niente, desiderio di godere, desiderio dell’Altrove, desiderio del desiderio, desiderio dell’Analista. In ultimo un breve ritratto di Jacques Lacan, utile a capire l’uso che Recalcati fa del «suo» Lacan.
Ma torniamo al «desiderio», che Recalcati spiega etimologicamente come allontanamento dalle stelle: de-(sidera)re, contrario di con-siderare, cioè fissare i «sidera». Lo sviamento o perdita della direzione stellare generava «mancanza» e appunto desiderio di ritrovare i sidera. Era un fenomeno noto ai naviganti, o ai soldati di Cesare (i «de-siderantes») che smettevano di guardare in attesa le stelle, per ritrovare gli amici reduci dalla battaglia. Insomma il desiderio è «mancanza», connessa all’umano e alle «umane». Che attende come Eros platonico il suo «riempimento». In un «immaginario» e in un Altrove. In un oggetto del «desiderio» e in una cometa perduta da ritrovare («E andiamo! Con l’indesiderato al posto della cometa», come spiega in poesia Pietro Spataro).
Quell’altrove-oggetto in realtà, scrive Recalcati, è sempre un rapporto inter-soggettivo, una relazione umana. Che si incide nell’anima tramite il linguaggio, con tutte le immagini emotive che racchiude: lacanianamente è il Significante. I «significanti», con il patrimonio simbolico connesso. Ecco allora che anche il Potere, oltre all’amore, si svela come capacità di soddisfare un desiderio: un desiderio di essere riconosciuti dall’altro nella Parola. Protetti, oppure obbediti. È un dato inconscio della natura umana, che prima della psicoanalisi ha ben svelato Hegel, consideratissimo da Alexandre Kojeve (un maestro di Lacan). E cioè: il desiderio è sempre «desiderio del desiderio dell’altro», proprio per venir (riconosciuti) come soggetti. Non è desiderio di «cose». E quando appare come edonismo capitalistico di mercato, virtù dell’accumulazione o appetito acquisitivo, quel desiderio in realtà parla d’altro. Parla di distruttività, masochismo, confusione illusoria tra bisogno animale e desiderio. Tra soggetto e oggetto del desiderio. E perciò parla di nevrosi. Del farsi riconoscere come potente, per cibarsi dell’altro in un godimento assoluto e solitario. In altri termini, per tornare alla politica l’economia è sempre scambio umano, non «tecnica». Dunque rapporto di dominio, oppure di rispecchiamento equilibrato, nel rispetto e nell’accoglienza dell’altro (eguale o più debole), o di contro nella manipolazione e nella divorazione del mio altro. Anche l’economia quindi è una relazione simbolica e di linguaggio, nella quale trapela il «desiderare» che dà forma alla forza e ai rapporti di forza tra gli umani, o all’amore tra persone concrete.
MARX-FREUD
Conclusione: per cambiare l’economia e la politica occorre liberare e capire il «desiderio», che è il vero motore dentro il linguaggio dell’economia. Sicché niente scissione tra economia e ideologia, ma primato dell’economia come «struttura desiderante» del dominio. Detto diversamente: la relazione «servo-padrone» è un incantesimo, dove il primo e l’altro termine «si desiderano» a vantaggio del dominio del secondo. Succede anche nel rapporto violento uomo-donna. E quella relazione stregata va rovesciata. In un desiderio accogliente tra soggetti liberi e distinti. Dove la libertà solidale dell’uno si muta in libertà di ciascun altro. E dove ciascuno può «desiderare il suo desiderio», magari col rischio di fallire, ma senza distruggere o autodistruggersi con «sintomi» e finti oggetti compensativi. Il tutto sarebbe poi per Recalcati il frutto di una cura psicoanalitica riuscita. Magari. Sarebbe un modo per «cambiare il mondo», rilanciando la formula «Marx-Freud», con «l’additivo Lacan».