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EUROPA E FILOSOFIA. DALL’UNGHERIA UN APPELLO PER RIPRENDERE E RILANCIARE IL FILO DELLO SPIRITO CRITICO E DELL’ILLUMINISMO KANTIANO

LA FILOSOFIA E IL CASO UNGHERIA. Ágnes Heller racconta la campagna di diffamazione che il governo di Budapest ha organizzato contro di lei e altri suoi colleghi. La sua denuncia - a c. di Federico La Sala

(...) che la libertà di espressione, la libertà di opinione, la libertà di pensiero siano concetti che non conoscono confini. E che anche la filosofia, alla fine, non sia diventata un vecchio leone sdentato (...).
martedì 22 marzo 2011 di Federico La Sala
[...] Il nuovo Governo ungherese, appena entrato in carica, ha lanciato una campagna di diffamazione contro i filosofi ungheresi, e attraverso di loro contro tutta la filosofa critica, sottoposta ad attacchi in serie lanciati simultaneamente da tre quotidiani e tre reti televisive. La campagna è durata quasi due mesi, insistendo sempre sulle stesse accuse, asserzioni stucchevoli e reiterate da tempo smentite. L’accusa, ripetuta fino alla nausea, era che «la banda Heller», con mezzi (...)

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> LA FILOSOFIA E IL CASO UNGHERIA. Agnes Heller ... Il bonapartismo è ancora qui. L’Europa non è al sicuro, la democrazia è un’acquisizione recente.

domenica 1 maggio 2016

Il bonapartismo è ancora qui

L’Europa non è al sicuro, la democrazia è un’acquisizione recente

Ágnes Heller parla di diritti, migranti e islam: ci salverà Berlino

intervista di Danilo Taino (Corriere, La Lettura, 01.05.2016)

-  Ai tempi del nonno di Ágnes Heller, «in Bosnia i cristiani andavano dai vicini musulmani a fumare; e i musulmani dai vicini cristiani a bere vino». La filosofa ungherese, che il 12 maggio compirà 87 anni, lo racconta per dire che non è sempre stato come oggi, in Europa. Nell’impero asburgico, popoli ed etnie vivevano fianco a fianco. Poi, però, tutto finì comunque in tragedia. È che «il mondo è sempre stato un posto pericoloso, chi pensa il contrario non ha mai letto un libro di storia», dice.
-  La casa di Budapest della signora Heller ha un largo terrazzo sul Danubio, nel lato di Pest: di fronte, sulla sponda di Buda, l’università tecnica e il museo di Storia naturale. È una mattina di sole. Nel pomeriggio andrà al funerale di Imre Kertész, scrittore e premio Nobel, morto il 31 marzo e seppellito venerdì 22 aprile. Prima, si siede a un tavolo tondo colmo di libri e di fogli per questa intervista, nella quale intravede un futuro buono per i Paesi anglosassoni, incerto per l’Europa.

Sembra che nel mondo ci sia desiderio di uomini forti: Putin in Russia, Erdogan in Turchia, Al-Sisi in Egitto, Orbán qui in Ungheria, Xi Jinping in Cina, Trump in America.

«A parte il caso di Trump, uomini forti ci sono sempre stati in questi Paesi, niente di nuovo. Anche in Europa ce n’erano, ora non più. C’è una donna forte in Germania, ma è profondamente democratica».

La democrazia sembra avere un problema, però. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica si espandeva. Ora è in ritirata.

«Era un’illusione che la democrazia avanzasse. Cambiano i modi in cui il potere si manifesta, ma la sostanza tende a restare uguale».

Non vede una crisi della democrazia, nel mondo?

«Gli anglosassoni vivono nella democrazia e continueranno a viverci. Per loro la democrazia e i diritti civili sono fondati nella costituzione, non nello Stato. La crisi è in Europa, dove la democrazia non è una tradizione, dove ancora oggi il bonapartismo non è scomparso. Non possiamo dimenticare che per Paesi come la Spagna, il Portogallo, la Grecia la democrazia è un fatto degli scorsi 40 anni. Anche in Italia e in Germania è relativamente nuova, per non dire dell’Europa dell’Est. Il ruolo del costituzionalismo si vede bene nell’approccio agli immigrati».

In che senso?

«Integrazione non significa avere tutti gli stessi vestiti o dire tutti le stesse preghiere. Significa semplicemente rispetto delle leggi. Che non c’è religione che superi la legge. E che tutti gli ospiti devono rispettare le regole della casa: mantenere le proprie tradizioni nella legge. In America e in Australia succede. In Europa no, perché il costituzionalismo è più debole. In Francia una ragazza non può andare a scuola con il chador. In America sì; però deve obbedire all’insegnante. È fondamentale che al centro ci sia la legge. Poi, il chador o la croce non sono un problema dello Stato. Sì, sono liberale: non dobbiamo avere paura delle culture diverse».

Torniamo a Trump. Anche in America sembra esserci voglia di un uomo forte.

«Trump è un peronista e su quella base mobilita le masse. Ma non diventerà presidente. Quello che è interessante negli Stati Uniti è che molta gente è insoddisfatta e per questo sostiene Trump o un ebreo socialista come Sanders. Perché non riconosce più l’establishment. È la prima volta che in America c’è una sfiducia così forte nell’establishment. Ma non è una crisi politica, è una crisi economica. Abituati a credere nelle possibilità infinite, gli americani sono di fronte a una mobilità che era fondata sull’istruzione e ora si è molto ridotta. Perché l’istruzione costa troppo. Ma in discussione non è la democrazia. L’America non abbandonerà la democrazia, non ha una tradizione bonapartista. Lo stesso vale per la Gran Bretagna. In Europa, invece, tutto è possibile. Non vedo un continente dominato dall’islamismo, ma una vittoria della destra e un’Unione Europea illiberale sono possibili».

A proposito, ha letto il romanzo di Houellebecq, «Sottomissione»?

«Sì, è un bel libro. Ma l’ho letto come un avvertimento, non come una previsione. Nel senso che l’islamismo è totalitario, ma non è il pericolo maggiore che corre l’Europa, dal punto di vista della sua possibilità di accettare una sottomissione. Si è già sottomessa ai fascismi, al nazismo, al bolscevismo. Non è impossibile che si sottometta all’islamismo, però lo ritengo improbabile. Le questioni della razza, dello scontro di classe, del nazionalismo esistevano come tradizione in Europa e su di esse quelle ideologie si sono sviluppate e affermate. L’islam no, non è nella tradizione europea. Non credo che sia un vero pericolo. Ma bene l’avvertimento di Houellebecq».

Forse, proprio per il passato fascista, nazista, bolscevico, abbiamo anticorpi contro la sottomissione.

«No, non credo all’antidoto. Qui nell’Est europeo sappiamo bene che coloro che si sottomisero al nazismo si sottomisero poi anche al bolscevismo».

Veniamo alla questione dei rifugiati. Iniziamo proprio con l’Europa dell’Est, dove il loro rifiuto sembra più forte. Cosa succede?

«Alcune differenze tra i Paesi dell’Est europeo ci sono. Gli ungheresi ad esempio hanno paura degli immigrati, ma non di Putin; i polacchi, invece, hanno paura di entrambi. Diversità che dipendono da ragioni storiche. Ma tutti questi Paesi hanno un passato comune, l’occupazione sovietica e il paternalismo. Non hanno affrontato il loro passato durante la guerra, non ne hanno mai discusso, non sono arrivati a dire basta al nazionalismo. Il nazionalismo ha iniziato a imporsi sotto l’impero asburgico, ma i popoli allora vivevano fianco a fianco. È dopo la Prima guerra mondiale che sono emersi gli Stati nazionali, etnicamente omogenei, che hanno negato il passato di convivenza. Ora, questi Paesi difendono lo Stato nazionale per difendere le loro omogeneità etniche: ritengono che se arrivano estranei perderanno i vantaggi dello Stato nazionale. L’omogeneità etnica non è razzismo, ma ha a che fare con esso. In questi Paesi, i governi non parlano mai di rifugiati, ma sempre di migranti che distruggono la società e portano una cultura parallela».

Non è solo una caratteristica dell’Est.

«No. Tutti gli Stati nazionali tendono a parlare di culture parallele e a temerle. In Europa l’eccezione è la Svizzera, che infatti non è uno Stato nazionale. In Italia questo aspetto sembra essere meno forte tra la popolazione, forse perché il vostro è uno Stato nazionale più tardo e meno forte. Non c’è invece questione di cultura parallela in America o in Israele. Ma da noi si è affermata un’ideologia di comodo: qui, quando dici islam dici Parigi e Bruxelles, gli attentati. Identificare islam e terrorismo è una concezione del tutto errata, empiricamente: gli iraniani non si fanno esplodere, solo certi arabi lo fanno. Però è un’identificazione che sostiene la demagogia».

Che opinione ha della cancelliera Merkel?

«Una gran donna. Non era probabilmente del tutto cosciente della portata della decisione di aprire le porte ai rifugiati, ma la sua è stata un’ottima decisione. Il suo cuore è nel posto giusto. Però ha fatto errori, non aveva un piano, probabilmente. Ma mi pare la leader migliore in Europa. È che la Germania ha fatto una riflessione enorme sul proprio passato e l’ha rifiutato. I tedeschi sono diventati un popolo diverso. Il che non risolve il problema dell’Europa, perché per stare ritti non basta un piede, ne servono almeno due: ma oggi la Francia è attraversata da un nazionalismo di destra e di sinistra molto più forte di quello tedesco».

Come legge le tensioni nazionaliste che crescono in tutta Europa?

«Nel XVIII secolo si è sviluppato e ha preso piede l’universalismo, abbracciare tutti. Nel Flauto Magico , Mozart poteva musicare la frase riferita a Tamino, “è più di un principe, è un uomo”. Ma subito dopo arriva la Nazione Tedesca di Fichte. Universalismo e nazionalismo sono nati assieme e gli europei tendono a ubbidire a questa dualità. È la ricerca di un compromesso tra i diritti dell’uomo e lo Stato. Caratteristica europea, perché i diritti umani sono basati sullo Stato nazionale e non sulla costituzione».

Oggi ha più senso parlare di divisione tra destra e sinistra o tra nazionalisti e globalizzati?

«Destra e sinistra sono categorie tradizionali che ora hanno contenuti diversi, collegati più ai modi di vita che all’economia. La destra è più per famiglia e religione, la sinistra più per modernizzazione e piacere della vita. Ma la questione capitalismo versus collettivismo è sparita, l’Europa ha di fatto accettato l’americanizzazione. Quanto alla globalizzazione, sì, la cultura è globalizzata, sia quella alta sia quella bassa; come l’economia e la tecnologia. Ma non sono globalizzati i modi di vita, basati sulla tradizione: non possono esserlo. Anche nell’impero romano all’assimilazione seguì la disassimilazione. Ciò può essere una buona cosa, le differenze non sono un male».

Non sono passi indietro?

«Il progresso della natura umana è un’illusione dell’universalismo. È meglio la realtà dell’illusione. Nel mondo ci sono strutture diverse, anche strutture di omicidio di massa, masse di poveri mobilitate dalle élite. Servono le radici delle libertà democratiche per limitarle e prevenirle. Ma non illudiamoci di andare verso una società giusta: non esiste la società giusta, niente è perfetto. In Europa possiamo trattare i problemi, ma non risolverli. La vita non può essere risolta».

Un mondo di incertezze.

«Gli anglosassoni sono al sicuro. L’Europa non lo so. Ma ho fiducia nei tedeschi».


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