Dietrofront della Corte europea. Il crocifisso resta in classe
Annullata la sentenza del 2009, “è un simbolo passivo”
di Marco Politi (il Fatto, 19.03.2011)
Il crocifisso resterà nelle classi italiane. La Grand Chambre (istanza d’appello) della Corte europea dei diritti dell’uomo decide di non decidere sul carattere impositivo dell’esposizione di un unico simbolo e annulla la decisione del 2009, che obbligava l’Italia a rimuovere il segno religioso dalle aule.
La cittadina finno-italiana Soile Lautsi perde la sua battaglia quasi decennale e l’Italia non conquista la facoltà di vivere come nella religiosissima America, dove fervente e multiforme è il sentimento religioso - spesso lodato da Benedetto XVI - ma le istituzioni pubbliche non sono contrassegnate da simboli religiosi nel rispetto della libertà di tutti e della distinzione tra Stato e Chiesa.
Impazza il tripudio del centro-destra da Frattini alla Gel-mini, da Alemanno a Zaia, con un gran parlare di “vittoria del sentimento popolare... simbolo irrinunciabile... segno di identità e civiltà”. Per un giorno anche i leghisti adorano l’Europa. Ma egualmente in casa Pd e Italia dei valori c’è chi come Chiti o Leoluca Orlando plaude alla “giusta sentenza”. Deluso il marito della Lautsi, Massimo Albertin, “perché la prima sentenza in questa vicenda era clamorosamente chiara”. Il giudice “anticrocifisso” Luigi Tosti, rimosso dalla magistratura, denuncia “pressioni fortissime” esercitate sulla Corte di Strasburgo. Asciutto il commento del’insegnante di Terni Franco Coppoli, allontanato nel 2009 e poi reintegrato per aver tolto il crocifisso dal’aula del suo istituto professionale: “Hanno vinto i poteri forti”.
SOBRIA LA reazione delle autorità ecclesiastiche. Il presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco, parla di “una sentenza importante, di grande buon senso”. In realtà, al di là dell’uso politico della sentenza, emerge un primo dato di fatto. Di fronte all’offensiva del governo italiano, appoggiato da dieci paesi del Consiglio d’Europa significativamente in prevalenza del’Europa orientale ex comunista, la Corte di Strasburgo si è trincerata dietro il principio di non ingerenza negli affari interni di uno stato membro, sostenendo che all’Italia andava lasciato un “margine di valutazione” autonomo nel regolare la questione. Nessuna proclamazione, dunque, del diritto assoluto italiano a fare come sta facendo.
Anzi nella sentenza di Strasburgo è scritto esplicitamente che “non spetta alla Corte pronunciarsi sulla compatibilità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità come si trova consacrato nel diritto italiano”. Inoltre i giudici di Strasburgo hanno ritenuto di non ingerirsi, alla luce della divergenza registrata tra Cassazione e Consiglio di Stato sul significato stesso da attribuire al crocifisso.
LA MOTIVAZIONE, che ha salvato il governo italiano dalla condanna inflitta in prima istanza, risiede nel fatto che a parere della Corte non sono stati violati i protocolli 1 e 9 dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che si riferiscono alla libertà di educazione e alla libertà di pensiero, coscienza e religione.
La spiegazione ha un sapore paradossale in presenza dall’atmosfera trionfalistica degli intransigenti cristianisti: perché - così suona il verdetto - l’esposizione del crocifisso è irrilevante, non esercita nessun influsso sugli studenti.
Detto in maniera giuridicamente più forbita, i giudici di Strasburgo sostengono che l’affissione del crocifisso non è accompagnata da indottrinamento confessionale né usata come strumento influire. Di più, rappresenta un “simbolo essenzialmente passivo” e non gli si può attribuire l’influenza di un discorso didattico o di una partecipazione ad attività religiose. Peraltro, aggiungono a Strasburgo, non è accompagnato dall’insegnamento obbligatorio della religione cattolica e non produce una concreta discriminazione nei confronti degli alunni diversamente credenti. Insomma è l’apoteosi della regola (certamente non rintracciabile nel Vangelo ): “Tanto non da fastidio a nessuno”.
Da questa elencazione traspare l’atteggiamento ponziopilatesco della Grand Chambre. Perché come sancì a suo tempo la Corte costituzionale tedesca: nessuno può essere “obbligato” a studiare “sotto” il simbolo del crocifisso. Cioè l’esposizione stessa di un segno - che i giudici tedeschi giudicarono giustamente potente - stabilisce una superiore graduatoria di valore del credo di chi vi appartiene nei confronti del credo religioso o filosofico degli “altri”. Perciò l’aula non connotata non è offesa per nessuna religione, ma rispetto per tutte le coscienze. Come negli Stati Uniti.
Nella sua ansia di rappresentare il crocifisso buonisticamente come innocuo retaggio tradizionale, aperto a tutti, il governo italiano si è spinto però su un terreno scivoloso. L’Italia, riporta la sentenza, ha affermato di permettere il velo islamico in classe - dichiarazione fatta forse a insaputa dei membri leghisti del governo - e ha ricordato che spesso si festeggia il Ramadan in aula e che l’insegnamento delle altre fedi “può essere organizzato negli istituti per tutte le confessioni religiose riconosciute”.
È un boomerang per il governo Berlusconi-Bossi. Perché se continuerà a non riconoscere le comunità islamiche, ci saranno genitori che potranno adire la Corte di Strasburgo lamentando una discriminazione effettiva.