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KANT, ETICA ED EBRAISMO. SEGUENDO ACRITICAMENTE LEVINAS, BUBER, ROSENZWEIG, WITTGENSTEIN ....

PER RINNOVARE LA FILOSOFIA, HILARY PUTNAM INTERPRETA KANT COME EICHMANN. E PROPONE COME "UNA GUIDA DI VITA" LA SUA "FILOSOFIA EBRAICA". Una pagina dal suo libro, con note - a cura di Federico La Sala

Armando Massarenti: (...) mentre in Svezia gli viene assegnata quella sorta di Nobel per la filosofia che è il Rolf Schock Prize, in Italia esce uno dei suoi libri più sorprendenti (...)
giovedì 24 marzo 2011 di Federico La Sala
[...] l’etica non deve essere ricavata da una qualche metafisica, nemmeno una metafisica "ontica" (ossia "anti-ontologica") come quella di Heidegger, ma anche che l’intera riflessione su ciò che vuol dire essere un essere umano deve iniziare con una simile etica "non fondata". Ciò non significa che Levinas vuole negare la validità, per esempio, dell’«imperativo categorico»: quel che rifiuta è ogni formula come «comportati in questo e quest’altro modo perché...». In molti e diversi modi (...)

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> PER RINNOVARE LA FILOSOFIA -- E’ morto Hilary Putnam, "patriarca" della filosofia (di Maurizio Ferraris).

lunedì 14 marzo 2016

E’ morto Hilary Putnam, "patriarca" della filosofia

Americano, 89 anni, era tra i più grandi pensatori a cavallo del millennio. I suoi studi hanno spaziato in diversi campi della filosofia, della logica, delle scienze informatiche. Con un tocco di "fantascienza" e un blog di "commenti sarcastici" sull’attualità

di MAURIZIO FERRARIS (la Repubblica, 14 marzo 2016)

Meno di un mese dopo il suo amico Umberto Eco se ne è andato l’altroieri Hilary Putnam. Aveva fatto in tempo a vedere le bozze del suo ultimo libro Naturalism, Realism, and Normativity, in uscita da Harvard University Press, a cura e con una illuminante introduzione del suo allievo e amico Mario De Caro. Nato a Chicago il 31 luglio 1926, avrebbe compiuto tra pochi mesi novant’anni, una età da patriarca della filosofia, che stabilisce un parallelo con un patriarca della letteratura anche lui di Chicago, Saul Bellow, morto dieci anni fa. Professore emerito all’Università di Harvard, dopo aver studiato all’Università della Pennsylvania, essersi addottorato a Los Angeles, e aver insegnato alla Northwestern University, a Princeton e all’MIT, il 2 novembre 2011 a Stoccolma gli era stato conferito il Rolf Schock Prize, l’equivalente del Nobel per la filosofia e la logica.

Putnam era un filosofo analitico, ma non aveva niente dell’angustia culturale che talvolta caratterizza questa disciplina soprattutto in Europa, dove essere filosofi analitici significa spesso parlare in inglese, ostentare indifferenza per la storia della filosofia e per la letteratura, e occuparsi di minuzie di scarso interesse. Tanto per incominciare, per Putnam, come ricorda lui stesso, c’era stato un momento in cui, bambino a Parigi, si chiamava "Hilaire Poot-nomm". A Parigi era arrivato con la famiglia e vivendoci sino all’età di otto anni, perché suo padre, Samuel, studioso di letteratura, traduttore e attivista politico (era collaboratore del Daily Worker, un organo del Partito Comunista Americano), ci si era trasferito con un gesto che ricorda Hemingway e Fitzgerald. È probabilmente a questa formazione mai dimenticata che si devono aperture inconsuete per un filosofo analitico, e per un filosofo americano, per esempio la condivisione della critica di Derrida all’amministrazione Bush e alle sue guerre. Di questa apertura sull’attualità resta il blog aperto due anni fa, "Commenti sarcastici", in memoria di quanto gli aveva detto quarant’anni fa il grande filosofo analitico inglese Peter Strawson: "Di certo metà del piacere della vita sono i commenti sarcastici sull’operetta che si svolge sotto i nostri occhi".

Inoltre, di origini ebraiche ma educato in forma laica e secolare, negli ultimi anni si era avvicinato alla filosofia di Rosenzweig, Buber, Levinas, quanto dire alla quintessenza della filosofia continentale. Non con un cambio di appartenenza, come avvenne nel caso del suo amico e rivale Richard Rorty, ma con una operazione molto più interessante, che consistette nel guardare dall’alto, per così dire con uno sguardo d’aquila, le tradizioni filosofiche, lavorando per un’unica filosofia, al di là di distinzioni che non hanno ragione di esistere, o meglio esistono solo per i minori e i minimi. Nella prospettiva di Putnam la filosofia analitica serve per evitare l’irrazionalità (dunque vale, direbbe Kant, come "catartico", come purificatore), e una buona filosofia non può mai essere in contrasto con la scienza, ma filosofi come Kierkegaard, Thoreau, Emerson, Marx e Sartre, riflettono su come viviamo e suggeriscono come dovremmo vivere, con una vocazione filosofica in cui Putnam intreccia il pragmatismo americano con l’illuminismo europeo.

Poi, mentre spesso i filosofi analitici amano pensarsi come dei tecnici, degli specialisti di un piccolo campo tanto più accademicamente pregiato quanto meno culturalmente influente e interessante, Putnam non ha accettato limiti, e ha esercitato la sua creatività filosofica in ambiti come la logica, la filosofia della matematica, la filosofia ebraica, la filosofia della mente, la filosofia della scienza, la metafisica, la filosofia del linguaggio, la filosofia morale e da ultimo anche la filosofia della percezione: una versatilità degna di Hegel. Più di venti libri, che vanno dalla teoria al commento alla discussione tecnica e alla prospettiva metafilosofica.

Infine, non aveva esitato a cambiare idea moltissime volte, al punto che il filosofo della mente Daniel Dennett aveva definito "Putnam" "l’unità minima del cambiamento delle idee". Dopo un primo periodo di realismo metafisico, era approdato, tra la metà degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta, a un "realismo interno" (cioè a un antirealismo di stampo kantiano), per poi tornare a un ben temperato "realismo del senso comune", sottolineando la differenza tra ontologia (quello che c’è) ed epistemologia (quello che sappiamo o crediamo di sapere): "Confondere la costruzione della nozione di bosone, che è qualcosa che la comunità scientifica ha messo a punto nel corso del tempo, con la costruzione dei sistemi quantistici reali significa, mi pare, scivolare nell’idealismo". Il che non è bene, ma non è nemmeno necessario. L’ontologia è indipendente dalla epistemologia, ma questo non significa che sia inconoscibile: esistono, al contrario, molte descrizioni corrette della realtà, proprio come una sedia può essere descritta in modo altrettanto corretto nel linguaggio della fisica, in quello della falegnameria o in quello del design. È in veste di realista del senso comune che Putnam aveva sostenuto che nessuna teoria della conoscenza può dirsi completa se non è in grado di rendere conto della percezione, e aveva partecipato, in dialogo con Umberto Eco, al convegno di New York sul Nuovo Realismo (il suo contributo si può leggere in Bentornata Realtà, uscito da Einaudi l’anno dopo).

Un ultimo punto. In tutte le fasi della sua filosofia, Putnam si è caratterizzato per una vivida immaginazione, che conferma la validità del detto di Borges secondo cui la metafisica è la branca più illustre della letteratura fantastica. Invece che con formule pseudo-scientifiche o con prolisse refutazioni di tesi altrui, Putnam si è spesso spiegato con esperimenti mentali degni della migliore fantascienza. Come quello delle "Terre Gemelle" (due terre parallele in cui esistono due liquidi fenomenicamente identici, solo che uno ha la formula chimica H2O, il secondo no: si può parlare di acqua? Per Putnam, no). O come quello del "Cervello in una vasca" (uno scienziato pazzo mette un cervello in un bagno organico e lo stimola elettricamente facendogli credere di avere esperienze nel mondo: sono vere esperienze? Anche in questo caso, no). A proposito, quest’ultimo esperimento non vi ricorda un celeberrimo film, tra i più famosi degli ultimi decenni? Ovvio che sì, ma - in un mondo in cui molti filosofi si servono dei film per illustrare le loro teorie - qui il filosofo ha preceduto il regista.


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