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MATEMATICA E METAFISICA. Secondo René Guenon, da Leibniz in poi è stata dimenticata la metafisica riducendo tutto a un gioco di simboli

LEIBNIZ, GUENON E LA CRISI DELLA MATEMATICA. Due note (da pensare insieme): "Leibniz e il computer della creazione" e "i traditori di Pitagora". La prima di Andrea Vaccaro, la seconda di Paolo Zellini - a c. di Federico La Sala.

Per quanto assurda o eversiva, la critica di Guénon fa comunque pensare alla radicalità di interventi paralleli, nel primo Novecento, sui fondamenti della matematica e della fisica, da Brouwer a Weyl, da Hilbert a Schrödinger.
sabato 7 maggio 2011 di Federico La Sala
[...] agli occhi di Leibniz, l’utilità dell’aritmetica binaria è lampante: «non c’è miglior analogia, o perfino dimostrazione, della creazione di tutte le cose dal niente attraverso l’onnipotenza di Dio che l’origine dei numeri qui rappresentata, ovvero usando solo l’unità e lo zero, dove dal semplice impiego dell’unità tutti i numeri sono originati» [...]
[...] (René Guenon) sostiene che la scienza moderna non è la semplice prosecuzione della parola biblica o del credo pitagorico, bensì (...)

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> LEIBNIZ, GUENON E LA CRISI DELLA MATEMATICA. ---- IL SIMBOLISMO DELLA CROCE. Di che cosa parliamo quando parliamo di croce (di Alessandra Iadicicco).

martedì 30 ottobre 2012

Di che cosa parliamo quando parliamo di croce

Torna lo studio del filosofo esoterista René Guénon che analizza il simbolo attraverso le varie religioni

di Alessandra Iadicicco (La Stampa, 30.10.2012)

Tanti simboli continuano a parlarci, solo che non li comprendiamo più. Anche incompresi, o inascoltati, anche privati della loro aura sacrale e trasformati in mero segno ornamentale, non smettono di esercitare un’irresistibile forza di attrazione, di suscitare rispetto o timore, di scatenare irrazionali superstizioni o indurre una reverente soggezione.

Uno dei simboli più antichi e diffusi, ancestrali e universali, è la croce, che «in forme diverse si trova quasi ovunque sin dalle epoche più remote»: è quanto scrive René Guénon (1886-1951) in un testo che rappresenta una pietra miliare per la grammatica e la logica dei simboli e offre la lettura più intrigante ed esauriente dell’emblema su cui è fondata la civiltà occidentale cristiana.

Il simbolismo della croce però - che il filosofo esoterista franco-egiziano scrisse al Cairo nel 1931 e che dopo varie traduzioni italiane pubblicate da Luni, Rusconi, su riviste di studi della Tradizione, esce finalmente nella limpida versione di Pietro Nutrizio per Adelphi (in libreria mercoledì) - non è un testo cristiano, né si attiene alla cultura e ai culti occidentali.

Il suo autore, adepto della «scienza sacra», studioso delle religioni considerate nella loro forma tradizionale, esperto di taoismo, induismo, islam, ebraismo e cristianesimo, cercava in ciascuna di queste dottrine e nella loro reciproca corrispondenza il riflesso di una sola divinità, di un unico principio metafisico dal quale discenderebbe l’intero ordine universale.

Di tale discesa, e della successiva, salvifica risalita la croce costituisce il sistema assiale, l’intersecarsi delle coordinate di riferimento, il vettore, il segnale della direzione da tenere per un’autentica realizzazione spirituale.

I suoi bracci, scrive Guénon, si estendono in direzioni opposte, ma formano «l’unione dei complementari». In essa si stringe il legame tra il maschio e la femmina, tra l’uomo e la donna uniti nel vincolo nuziale, e si rinsalda l’insieme dell’edenico «Adamo-Eva» che nell’islam esoterico «ha il numero di Allah, e rappresenta l’Identità Suprema, l’Uomo Universale». In suo nome si combatte una guerra santa: la jihad islamica o la campagna dei crociati intesa a un superiore ristabilimento della pace.

Nel suo centro e fulcro il saggio cinese attinge il tao, il perfetto equilibrio, preservato da passioni e turbamenti. E il fedele indù riconosce nei suoi tre elementi - base, vertice, piano orizzontale - i tre stati dell’essere, «i tre guna »: il buio, la luce e la tensione umana a farli comunicare.

In quest’ottica, nelle credenze estremo orientali, la croce è specchio della Grande Triade, del macrocosmo formato dal cielo, dalla terra e dall’uomo che tra terra e cielo deve mediare.

Fusto, colonna trave portante di questa architettura cosmica è, naturalmente, l’asse verticale della croce, corrispondente all’ordito immutabile attorno a cui si intreccia la trama di ogni umana storia, al filo teso e immobile che regge la mutevolezza di ogni tessitura.

In tal senso in ogni testo sacro, o in ogni sutra (in sanscrito: «filo») contenente il canone della dottrina induista, sarebbe inscritto il simbolismo della croce. Rampa ascendente, axis mundi, scala per le sfere celesti, tronco dell’albero vitale, il legno della croce rivela tuttavia appieno il suo spessore di simbolo solo scendendo a penetrare le tenebre, l’oscurità, l’ombra del male.

Con la potenza di un’immagine irriducibile esibisce il misterioso innesto tra la vita e la morte, l’albero e il serpente, tra lo strumento della caduta - il legnum vitae, che fu proibito e precluso a Adamo ed Eva dopo la cacciata - e lo strumento della passione e resurrezione.

Anche il devoto fedele ad altri credo che ignori la storia della salvezza e il significato della crocifissione di Cristo, evoca un analogo cammino di elevazione attraverso simboli che corrispondono a quello della croce: che siano la menorah o l’albero sefirotico della Qabbalah ebraica, l’alternanza di ying e yang nel simbolismo cinese, la corda tesa sull’arco a rappresentare lo slancio dei tre guna, o i tre stadi del divenire dell’uomo concepito secondo il Vêdânta. Siamo sicuri di avere bene in mente tutto questo quando e se, da bravi cristiani, facciamo frettolosamente il segno della croce?


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