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INDIVIDUO E SOCIETA’ E COSTITUZIONE, IERI COME OGGI. USCIRE DALLO STATO DI MINORITA’, APRIRE GLI OCCHI: C’E’ DIO E "DIO", PATRIA E "PATRIA", E FAMIGLIA E "FAMIGLIA" .....

ROMOLO AUGUSTOLO: L’ITALIA NON E’ NUOVA A QUESTI SCENARI. C’E’ CAPO E "CAPO" E STATO E "STATO": MUSSOLINI E LENIN A CONFRONTO. L’analisi di Gramsci (già contro derive staliniste!), una bussola per non naufragare e una lezione di vita e di libertà - a c. di Federico La Sala

ANTONIO GRAMSCI (1924): "Roma non è nuova a questi scenari polverosi. Ha visto Romolo, ha visto Cesare Augusto e ha visto, al suo tramonto, Romolo Augustolo".
venerdì 21 dicembre 2012
[...] Benito Mussolini ha conquistato il governo e lo mantiene con la repressione piú violenta e
arbitraria. Egli non ha dovuto organizzare una classe, ma solo il personale di una amministrazione.
Ha smontato qualche congegno dello Stato, piú per vedere com’era fatto e impratichirsi del mestiere
che per una necessità originaria. La sua dottrina è tutta nella maschera fisica, nel roteare degli occhi
entro l’orbite, nel pugno chiuso sempre teso alla minaccia... [...]
IMMAGINARIO E (...)

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> C’E’ CAPO E "CAPO" E STATO E "STATO" --- Concetti sempre efficaci. Gramsci, un pensiero diventato mondo (di Razmig Keucheyan - "Le Monde Diplomatique").

domenica 26 maggio 2013

Concetti sempre efficaci

Gramsci, un pensiero diventato mondo

      • Condurre la battaglia delle idee per sottrarre le classi popolari all’ideologia dominante allo scopo di conquistare il potere... Frequentemente citate, ma raramente lette e molto spesso oggetto di abuso, le analisi che Antonio Gramsci sviluppa quando è incarcerato nelle prigioni fasciste all’inizio degli anni ’30 sono protagoniste di un rimarchevole revival. Dall’Europa all’India passando per l’America Latina, i suoi scritti circolano e fertilizzano i pensieri critici.

di Razmig Keucheyan

Le Monde Diplomatique, luglio 2012, pag 3

(traduzione dal francese di José F. Padova)

Perché quello che è stato possibile in Russia nel 1917, vale a dire una rivoluzione operaia, altrove è fallito dappertutto? Come mai è accaduto che all’epoca il movimento è stato sconfitto negli altri Paesi europei - in Germania, Ungheria, ma anche nell’Italia delle «assemblee di Torino», quando gli operai del Nord del Paese, negli anni 1919-1920, occuparono le loro fabbriche durante molti mesi?

Questa domanda è il punto di partenza dei celebri Quaderni dal carcere (1) di Antonio Gramsci, che, giovane rivoluzionario, era alle prime armi al tempo dell’esperienza torinese. Redatti qualche anno dopo il riflusso di quel progetto, questa opera politica del XX secolo, di fondamentale importanza, fornisce una profonda riflessione sull’insuccesso delle rivoluzioni in Europa e sul modo di superare la sconfitta del movimento operaio degli anni 1920 e 1930. Tre quarti di secolo dopo la morte di Gramsci essa continua a parlare a tutti coloro che non hanno rinunciato a trovare le vie verso un altro mondo possibile.

Stranamente, essa parla anche a quelli che si accaniscono per impedire che questo altro mondo si realizzi. «In fondo, ho fatto mia l’analisi di Gramsci: il potere si ottiene con le idee. È la prima volta che un uomo di destra fa propria quella battaglia», così dichiarava Nicolas Sarkozy qualche giorno prima del primo turno delle elezioni presidenziali del 2007 (2).

Il ricupero dell’autore dei Quaderni dal carcere da parte dell’estrema destra, dalla quale provenivano alcuni consiglieri di Sarkozy - in particolare Patrick Buisson - è in realtà un caso vecchio. Così essi sono un riferimento centrale per la «nuova destra», quando il suo principale teorico, Alain de Benoist, qualifica la sua strategia di «guerra culturale» di «gramscismo di destra» (3). Questa appropriazione indebita tuttavia non ha impedito che, lungo il secolo XX, Gramsci fosse oggetto di stimolanti reinterpretazioni da parte delle correnti rivoluzionarie nel mondo intero.

Che la rivoluzione sia stata possibile in Russia ma non nell’Europa occidentale è dovuto, secondo Gramsci, alla natura dello Stato e della società civile. Nella Russia zarista l’essenza del potere era concentrata nelle meni dello Stato; la società civile - partiti, sindacati, imprese, stampa, associazioni... - era poco sviluppata. Prendere il potere in queste condizioni, come l’hanno fatto i bolscevichi, presuppone innanzitutto impadronirsi dell’apparato dello Stato: esercito, amministrazione, polizia, giustizia... Poiché la società civile era allo stato embrionale, chiunque detiene il potere dello Stato è in grado di assoggettarla. Beninteso, una volta preso lo Stato, cominciano i problemi: guerra civile, rilancio dell’apparato produttivo, delicati rapporti fra la classe operaia e quella contadina...

Nell’Europa dell’Ovest, al contrario, la società civile è corposa e autonoma. Sotto l’effetto della rivoluzione industriale essa si costituisce progressivamente come sede della produzione. Detiene una parte importante della somma totale del potere, a tal punto che non basta impadronirsi dello Stato: occorre ancora dominare nella società civile, poiché il problema è che non la si conquista nello stesso modo. Ciò presuppone che il cambiamento sociale prenda forme distinte da quelle del caso russo. Non è che le rivoluzioni nell’Europa occidentale siano diventate impossibili, tutt’altro, ma esse dovranno inserirsi in una «guerra di posizione» di lungo corso.

Dal peronismo ai «subaltern studies»

Gramsci vuole essere fedele alla rivoluzione russa - è un ammiratore di Lenin, al quale nei Quaderni dal carcere non cessa di rendere omaggio. Ma ha anche compreso che questa fedeltà implicava, in pratica, di cambiare il modo di fare le rivoluzioni. La sua teoria dell’«egemonia» trova il suo punto di partenza in questa constatazione. La lotta delle classi, dice Gramsci, deve ormai includere una dimensione culturale, deve porsi la questione del consenso delle classi subalterne alla rivoluzione. La forza e il consenso sono i due fondamenti della conduzione degli Stati moderni, i due pilastri di una egemonia. Quando il consenso viene a mancare - come fu il caso, per esempio, nel 2011 nel mondo arabo - si creano le condizioni per il rovesciamento del potere esistente.

La prima edizione dei Quaderni dal carcere esce alla fine degli anni ’40. È messa sotto la responsabilità di Palmiro Togliatti, il segretario generale del Partito comunista italiano (PCI), che fino all’inizio degli anni ’60 manterrà il dominio sulla messa in circolazione degli scritti del suo compagno defunto. Da quest’epoca in poi l’opera di Gramsci serve come punto di incontro a tutti coloro che, nel mondo, cercano di combinare fedeltà alla rivoluzione d’Ottobre e volontà di adattare il processo a contesti sociopolitici talvolta lontani dal caso russo. Questo è ciò che spiega la rapida diffusione internazionale delle tesi di Gramsci e la costituzione di correnti gramsciane in tutto il globo. Dei Quaderni dal carcere si può così dire che si tratta di una delle prime teorie critiche a livello mondiale.

Tre casi molto diversi gli uni dagli altri illustrano questa circolazione delle sue idee. Dalla metà del XX secolo l’Argentina diventa il centro di un’importante tradizione gramsciana, prima che altri Paesi del Continente, come il Brasile, il Messico o il Cile, si immergano anch’essi nello studio dei Quaderni dal carcere. La rapidità e l’ampiezza dell’accoglienza di Gramsci in Argentina si spiega con l’importanza dell’immigrazione italiana. Esse sono ugualmente dovute al fatto che i suoi concetti principali - «egemonia» ma anche «cesarismo» o «rivoluzione passiva» - vi sono messi a contributo per comprendere questo fenomeno politico tipicamente argentino che è il peronismo.

Più in generale essi servono allora per analizzare i regimi militari «progressisti» o «espansionisti dello sviluppo» - oltre a Juan Domingo Perón in Argentina, Lázaro Cárdenas in Messico o Getúlio Vargas in Brasile - che fanno la loro comparsa nella regione. Questi poteri mettono in opera forme di «modernizzazione conservatrice», né rivoluzione né restaurazione, frequenti durante il secolo XX nei Paesi del terzo Mondo, che si modernizzano garantendosi che le ineguaglianze di classe non siano fondamentalmente rimesse in discussione.

Il concetto di «rivoluzione passiva, che Gramsci forgia nei Quaderni dal carcere quando esamina la formazione dello Stato nazionale italiano nel XIX secolo, descrive precisamente questo tipo di processo politico ambivalente. Talvolta queste rivoluzioni sono condotte da un «cesare» - da qui l’idea di «cesarismo» -, cioè da un capo carismatico che stabilisce un legame immediato con le masse, i cui esempi, anche qui, non mancano nell’America Latina dei secoli passati e presente.

Fra gli altri, pensatori come José Aricó, Juan Carlos Portantiero, Carlos Nelson Coutinho o Ernesto Laclau producono in quel tempo letture innovatrici dei Quaderni dal carcere, la cui influenza si estende molto al di là dell’America Latina (4). Sull’esempio dello stesso Gramsci molti dei loro interpreti più importanti sono impegnati nella lotta rivoluzionaria che dilagò sul Continente negli anni ’60 e ’70.

Il partito degli oppressi

All’altro capo del Pianeta le idee dell’intellettuale italiano raggiungono l’India a partire dagli anni ’60. Gramsci è un grande punto di riferimento degli studi postcoloniali (postcolonial studies). Il principale fondatore di questa corrente di pensiero, il palestinese Edward Said, vi ha fatto ricorso per formulare la sua critica dell’orientalismo, vale a dire delle rappresentazioni di «Oriente in auge nel mondo occidentale (5)». Sotto l’influsso di Said, ma anche degli storici marxisti britannici Eric Hobsbawm e E. P. Thompson, emerge negli anni ’70 un settore specifico indiano di studi postcoloniali: gli studi subalterni (subaltern studies).

Questa corrente, rappresentata particolarmente da Ranajit Guha, Partha Chatterjee (6) e Dipesh Chakrabarty, prende il suo nome direttamente da Gramsci. L’espressione «subalternes» si trova effettivamente nel titolo del Quaderno dal carcere n° 25, il cui titolo esatto è «Ai margini della storia. Storiografia dei gruppi subalterni». I «margini della storia» vogliono significare i gruppi sociali assenti dalle storie «ufficiali», ma suscettibili, quando entrano in attività, di sconvolgere l’ordine sociale.

La circolazione dei concetti gramsciani dall’Italia dell’inizio del XX secolo all’India degli anni ’70, si spiega con la prossimità delle strutture sociali di questi Paesi e in particolare con la presenza in entrambi di una classe contadina rilevante. Nel testo che scrive nel 1926, proprio prima della sua incarcerazione, «Qualche tema della questione meridionale», Gramsci preconizza un’alleanza fra la classe operaia del Nord d’Italia, numericamente minoritaria, ma economicamente e politicamente in ascesa, e quella contadina del Sud, a quell’epoca ancora numerosa. I «subalternisti» indiani presagirono il medesimo tipo di strategia nel loro Paese.

Una terza corrente si è dedicata a pensare la geopolitica con l’ausilio dei concetti proposti dall’autore dei Quaderni dal carcere. Essa si presenta sotto il nome di teoria «neogramsciana» delle relazioni internazionali. Il suo fondatore è il canadese Robert Cox, un marxista innovatore che ha anche svolto funzioni direttive presso l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) a Ginevra. Kees Van der Pijl, Henk Overbeek e Stephen Gill, fra gli altri, s’iscrivono in questa orbita. Questi autori hanno analizzato in particolare la costruzione europea, della quale cercano di comprendere l’attuale crisi (7). Da una parte, essa si spiega ai loro occhi con l’incapacità del progetto europeo di ottenere il consenso attivo delle popolazioni continentali. Ora, perché un’egemonia si stabilisca durevolmente, a livello di un Paese o di un Continente, i dominanti devono convincere i dominati che essa serve almeno in parte ai loro interessi.

D’altronde, dall’inizio del XX secolo, si assiste a un’interpenetrazione crescente fra le élite europee e americane. Questo spiega perché la costruzione europea sia stata molto sovente subordinata agli interessi dell’impero americano e non sia pervenuta a dotarsi di un progetto politico autonomo.

Gramsci non cesserà di contribuire alla costruzione del «partito degli oppressi», su scala sia italiana che mondiale, tramite le sue attività nella III Internazionale. Egli collegava quindi la teoria con la pratica, ciò che si rivela essere - purtroppo - un caso raro fra gli intellettuali critici attuali.

Al servizio della rivoluzione - Una breve biografia

Nato in Sardegna nel 1891, Antonio Gramsci cresce in una famiglia relativamente povera. Dopo aver ottenuto nel 1911 una borsa di studio che gli permette di proseguire gli studi di filologia a Torino, conosce Palmiro Togliatti, Angelo Tasca e Umberto Terracini. Insieme essi militeranno dapprima nel Partito Socialista Italiano (PSI), prima di creare nel 1919 il mitico giornale operaio L’Ordine Nuovo. Al momento della fondazione del Partito Comunista Italiano (PCI), nel 1921, Gramsci diviene membro del Comitato centrale; è nominato segretario generale nel 1924. In aprile dello stesso anno è eletto deputato al Parlamento nazionale. Si racconta che, quando Gramsci prendeva la parola nell’emiciclo con la sua voce esile, Benito Mussolini tendeva l’orecchio per non mancare una parola del discorso di questo irriducibile oppositore.

Arrestato in novembre 1926 a Roma, Gramsci è condannato nel 1928 a vent’anni di prigione. «Noi dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni», dirà il Procuratore fascista prima che la sentenza sia emessa, cosciente della minaccia che un simile avversario rappresentava per il potere in carica. Nel 1929 Gramsci ottiene il diritto di scrivere in carcere, diritto che esercita fino al 1935, al momento in cui la sua salute si degrada irrimediabilmente. Egli muore il 27 aprile del 1937 per un’emorragia cerebrale, dopo dieci anni di calvario nelle prigioni mussoliniane, lasciando un insieme di quaderni incompiuti che sconvolgeranno il marxismo della seconda metà del XX secolo.

-  (1) Antonio Gramsci, Cahiers de prison, Gallimard, coll. « Bibliothèque de philosophie », Paris, 19781992, 5 tomes.
-  (2) Le Figaro, Paris, 17 avril 2007.
-  (3) Cf Pierre-André Taguieff, «Origines et métamorphoses de la nouvelle droite », Vingtième Siècle, n° 40, Paris, 1993.
-  (4) Cf. Raúl Burgos, Los gramscianos argentinos, Siglo XXI, Buenos Aires, 2004.
-  (5) Edward Said, L’Orientalisme. L’Orient créé par l’Occident, Seuil, coll. «La couleur des idées», Paris, 2005 (l" éd. : 1978).
-  (6) Lire Partha Chatterjee, « Controverses en Inde autour de l’histoire coloniale», Le Monde diplomatique, février 2006.
-  (7) Cf par exemple Henk Overbeek et Bastiaan Van Apeldoorn (sous la dir. de), Neoliberalism in Crisis, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2012.


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