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CINEMA E PSICOANALISI. Santo Padre sul lettino: Freud, ego te absolvo ....

SIGMUND FREUD, LA CHIESA, E "HABEMUS PAPAM". Nel nuovo film di Moretti un Papa depresso in psicoanalisi. Una nota di Fabio Martini - a c. di Federico La Sala

LA CHIESA E LA PSICOANALISI. Un conflitto durato mezzo secolo. Montini riconobbe la possibilità di un aiuto psicoanalitico per i sacerdoti in difficoltà
venerdì 15 aprile 2011
[...] la cultura prevalente nelle istituzioni ecclesiastiche restava fortemente repressiva. Tanto è vero che nel luglio del 1961 il Sant’Uffizio produce un Monitum , nel quale si arriva a proibire ai sacerdoti di accedere alle cure psicoanalitiche.
E toccherà proprio a un papa, Paolo VI, sciogliere quell’interdetto: nella enciclica Sacerdotalis coelibatus del 1967 riconosce la possibilità di un aiuto psicoanalitico per i sacerdoti in difficoltà, un placet che teoricamente consentirebbe (...)

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> Per un cambiamento della monarchia pontificia, con la sua curia, come aveva chiesto il Vaticano II e proposto lo stesso Wojtyla nell’enciclica Ut unum sint (di Giancarlo Zizola - La vertigine del santo potere tra autocandidature e sofferte accettazioni)

lunedì 18 aprile 2011

La vertigine del santo potere tra autocandidature e sofferte accettazioni

di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 18 aprile 2011)

Esausto da sei mesi di durissima lotta, durante i quali sono morti quattro cardinali, il conclave del 1740 si accinge ad ascoltare il discorso del Cardinale di Bologna, Prospero Lambertini. «Volete un santo?» dice sobriamente, sotto il Giudizio della Sistina. «Eleggete Gotti. Volete un politico? Eleggete Aldrovandi. Volete un buon uomo? Eleggete me». Al termine dello scrutinio, dopo appena un’ora, il suo nome ricorre in 49 schede su 50 ed egli prende il nome di Benedetto XIV. Col suo stile semplice, ha spazzato via la retorica barocca che associa il trono pontificio al terrore del Sacro, e i giochi diplomatici che mirano a usarlo come un potere tra i poteri. «Anche se tutta la verità è racchiusa nel mio seno», ripete con la discrezione caratteristica dei Grandi «io non ne trovo la chiave».

L’autocandidatura di Lambertini fa eccezione. Lo è rispetto ai candidati rinascimentali che si compravano il soglio a suon di fiorini, mobilitavano gli armigeri del proprio partito e trattavano i voti «apud latrinas», secondo le cronache del conclave del 1458. Ma rompe anche con la mitologia tutta moderna dei candidati che aborrono dalla carica, vanno in crisi quando gli scrutini si orientano a loro favore e soffrono, secondo la vulgata, perché capiscono in quel momento che le loro spalle sono inadeguate alla carica. «Un momento di terrore» così era designato quell’istante, fra terra e cielo, che trapassa ogni volta il gesto cruciale del Cristo di Michelangelo.

Per questo i rituali della gloria che avvolgono l’elezione sono bilanciati dai rituali dell’umiliazione, la cenere sul capo dell ’eletto, lo straccio imbevuto di aceto in cima ad una canna tenuta alta sul suo viso durante l ’incoronazione. Fino alla litania «Sic transit gloria mundi» ripetuta senza posa dal cerimoniere.

Anche questo approccio afflittivo del papato che fa paura, della croce mostruosa su spalle sempre troppo fragili, che solo la grazia divina potrà soccorrere, o la psicanalisi di Nanni Moretti sedare, riflette in fondo lo stereotipo di un papato come proiezione di una potenza che trascende la storia, anche se traduce il senso di un abbandono fiducioso, mistico in alcuni, ai disegni celesti.

È ancora il papa che Gérard Bassière fa scappare dal Vaticano e immagina al volante di un taxi a Parigi, inseguito dalle polizie di mezzo mondo, dai telegrammi del segretario di Stato e dalle preghiere delle monache di tutti i chiostri dell’universo. Oppure il papa di un sogno impossibile, come il Celestino V dell’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone. Anche l’Asdrubale I di Luca Desiato sogna di farsi rubare la tiara, perdere la reliquia di San Pietro, abitare nell’inferno di una borgata. E quanto al Giovanni XXIV di Guido Morselli è più un amministratore delegato che un pastore, si muove tra Università Gregoriana formato Mit e l’Ippac (Istituto per la promozione della psicanalisi cattolica). Un aperitivo di Habemus papam.

Invece Pier Paolo Pasolini vede uno sbocco negli stessi segni della sconfitta della Chiesa come apparato di potere, quelle crepe danno il via libera ad un processo di rinnovamento dei suoi rapporti col mondo e immagina un papa che vada a sistemarsi coi suoi collaboratori «in qualche scantinato di Tormarancio o del Tuscolano, non lontano dalle catacombe di San Damiano o Santa Priscilla». Al contrario, il papa di Gabriel García Márquez in Autunno del Patriarca ricalca l’icona del fastoso Potente seduto «col suo anello al dito sulla sua poltrona d’oro» in atto di regalare tramite i suoi calzettai privati dodici dozzine di calze di porpora al dittatore sudamericano, al quale però nega alla fine la canonizzazione della madre, scatenando una guerra.

Il cardinale Sarto aveva perfino paura del treno. Considerava le auto arnesi diabolici. «Se lei non accetta l’elezione il Signore potrebbe permettere un incidente ferroviario in cui Vostra Eminenza potrebbe restare vittima insieme a tanti altri. Lei avrebbe davanti a Dio la responsabilità di tante vittime». L’intimidazione del cardinale Satolli, secondo le cronache, ebbe effetto: Sarto alzò le braccia: «Sia fatta la volontà di Dio». Così fu eletto Pio X, che farà vittime d’altro genere nella lotta indiscriminata ai Modernisti.

L’elezione di Benedetto XV fu di stretta misura. La curia che non amava Giacomo Della Chiesa gli inflisse l’umiliazione di sospettarlo di avere votato per se stesso.Si riuscì a identificare la sua scheda e solo allora la manovra del partito curiale fu sconfitta. Della Chiesa aveva votato per un altro. Non meno aspra la battaglia nel conclave di Pio XI. Il cardinale Ratti, una volta eletto, preferì non rispondere alla domanda rituale del decano. Fece conoscere in seguito la sua accettazione e il nome. Quanto a Pacelli, eletto in un conclave fulmineo, la sua risposta fu col salmo. «Miserere mei Deus».

La reazione di Roncalli non appare affatto angosciata. «Eccomi pronto, o Signore, per vivere e morire con te». Votato come papa «di transizione», Giovanni XXIII deciderà con la stessa pace la grande svolta del Concilio Vaticano II nella Chiesa del Novecento. Di qui parte un processo ecclesiale che focalizza l’alternativa tra un papato come funzione o come carisma, tra potere e servizio. Un dilemma che emerge drammaticamente con l’elezione di Albino Luciani, quando fu chiaro che egli la subiva come uno shock, che «non voleva accettare» riferì König, il cardinale di Vienna. «Ma una volta accettato, si rasserenò». Il trauma era tale da togliergli il fiato, la sua voce era appena percettibile quando diceva di volersi chiamare «Giovanni Paolo I». Scrollava di continuo la testa, ricevendo i cardinali in sagrestia: «Dio vi perdoni. Sono un umile papa, un povero papa. Spero che aiuterete questo povero Cristo, il vicario di Cristo, a portare la croce».

Era di nuovo il senso di una fragilità, di una sproporzione umana, forse di una vertigine, ma questa volta forse aveva a che fare con le «lacrime di Pietro», un tema assai vivo nella tradizione ortodossa, che assume i contorni fisici, storici della figura del capo degli apostoli, ardente nella professione di fede nel Cristo ma anche suo traditore.

È il tema della crocifissione di Pietro con i piedi in alto, per simboleggiare un’autorità decapitata dalla potenza e scesa deliberatamente fino a mescolarsi alla terra calpestata dai miseri, come l’ha immortalata Caravaggio a Santa Maria del Popolo.

Per cui le frustrazioni, le crisi ascetiche, le angosce e le psicosi dei papabili potrebbero coprire forse i lettini psicanalitici di Moretti e essere registrati in attivo nei pallottolieri del Regno dei Cieli, ma finché un papa non decide di uscire dal pigro alibi della «riforma spirituale» della Chiesa e fare le riforme strutturali della sua carica assolutista, finché non si dà esito all’ipotesi di cambiamento della monarchia pontificia, con la sua curia, come aveva chiesto il Vaticano II e proposto lo stesso Wojtyla nell’enciclica Ut unum sint, il servizio petrino resterà malservito dal sistema storico incrostato sui suoi fianchi. Esso lo riveste di mantelli così pesanti da renderlo insostenibile per un uomo solo, per quanto soggettivamente dotato. E il papa se non viene assistito da un consiglio permanente rappresentativo dei vescovi dei vari continenti si trova troppo solo per svolgere la sua missione di governo, esposto alle pressioni della burocrazia centrale e isolato dal movimento della storia e dalla sua stessa Chiesa.


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